Diamanti grezzi, recensione, Adam Sandler danza come poche altre volte
Dopo Good Times, i fratelli Safdie si affidano ad un travolgente Adam Sandler. Leggete la nostra recensione di Uncut Gems
C’ha messo mesi Howard (Adam Sandler) a farsi spedire dall’Etiopia un’opale grezza, ancora incastonata nella pietra. Gemma dal fascino estremo, i fratelli Safdie ci si perdono e ci fanno perdere al suo interno, con quell’inquadratura che ricorrere all’inizio e alla fine, e che ci fa letteralmente entrare dentro a quel minerale incomprensibile. Quei colori irresistibili che prendono forma gassosa, quasi ci stessero conducendo altrove; in questo caso nello strambo mondo del gioielliere Howard Ratner.
Un Sandler chiamato di nuovo ad integrare la sua verve in un contesto drammatico, rendere verosimile un personaggio che comico forse lo è, benché suo malgrado. Un cartoon a cui non gliene va bene una, incapace di fare la cosa giusta eppure ostinato a volerci riuscire, il classico loser che più si strugge più appare bislacco, fuori posto. Come evidenziato in apertura, Howard ha tra le mani l’affare di una vita, quello che dovrebbe farlo svoltare. Il processo attraverso il quale viene in possesso di questa gemma viene a più riprese evocato ma mai del tutto chiarito, il che ci sta; in fondo, impacciato quanto si vuole, il protagonista di Diamanti grezzi non è un outcast coeniano, la qual cosa, se si vuole, lo rende ancora più mediocre, visto che nella vita alcuni risultati li ha ottenuti, ma di nessuna di queste cose sembra essere in grado di goderne davvero – che si tratti del suo lavoro, la rete di conoscenze, l’amante o la famiglia.
L’andamento è teso a travolgere dall’inizio, ritmo alto, colonna sonora incalzante, indice di una condizione, quella di chi sente di essere braccato; non solo dai creditori, e Howard ne ha parecchi, alcuni dei quali pericolosi. No, è più uno stato esistenziale, che si ricollega a quanto espresso circa la sua incapacità di vivere a pieno il momento e quindi quelle belle cose che eppure ha. Quasi fosse su una pista da ballo, costretto ad improvvisare una coreografia, lui che a malapena riesce a muoversi, Howard impegna oggetti di valore, si fa dare e gira ad altri somme ingenti perché quel vizietto delle scommesse non smette di tormentarlo. D’altronde uno che non ha né arte né parte non può che essere visceralmente attratto dall’idea dei soldi facili; mica per i soldi, figurarsi, quelli sono una scusa. Lo dirà ad una star dell’NBA avanti nel film: «io e te siamo uguali, tutti ci vorrebbero vedere sconfitti, e questo ci fa ardere all’idea di dimostrare loro il contrario, ossia che alla fine ne usciremo vincitori». Non è testuale, ma il senso rimane pressoché intatto.
La fattispecie su cui si fonda la sceneggiatura dei Safdie consiste in quest’accumulo di guai in cui Howard si caccia da solo, per un misto di stupidità e protervia, una spirale che a catena innesca una serie di problemi: immaginate una nave che fa acqua da una parte e, nel tentativo di chiudere quella falla, ecco aprirsene un’altra e poi un’altra ancora. Verrebbe da chiedersi fino a che punto una tale cretineria sia possibile (e lo è), senonché l’azione non smette un secondo pressarci, e quando non veniamo agganciati dall’ennesima cazzata del nostro, è qualcos’altro a calamitare la nostra attenzione, a distrarci, così come Howard è distratto, vittima anch’egi di questa frenesia che non dà tempo di riflettere.
In modo analogo a Good Time, da cui Diamanti grezzi mutua non tanto la struttura tesa a mantenere l’unità di tempo, quanto le sensazioni in grado di generare uno sviluppo che procede senza alcun salto temporale, un registro che richiede una certa bravura nell’essere maneggiato, nell’ambito del quale basta un minimo cedimento ed il rischio di spararci fuori è alto, come se la malia s’interrompesse di colpo; allora diventerebbe arduo riuscire a farci salire di nuovo. Le peripezie di Howard, al contrario, ci coinvolgono e trascinano dall’inizio alla fine, riservandoci alcune soprese perfino: a un certo punto la situazione sembra così incartata che davvero non si capisce quale possa essere lo step successivo… ma non si ha manco il tempo di rimuginarci più di tanto, che ecco sbloccarsi il tutto mediante un seppur minuscolo spiraglio che concede un altro briciolo di vita ad Howard, ed alla sua vicenda con lui.
Lo si vive così Diamanti grezzi, come in procinto di vedere venir meno l’ossigeno, finché un istante prima di soffocare qualcuno o qualcosa non ti passa un’altra bomboletta ora più capiente, ora meno, rispetto alla precedente. L’entrare e uscire dalla gioielleria di Howard, in teoria luogo blindato e sicuro, con telecamere, vetri antiproiettile e tutto, è metafora della posizione in cui si trova il personaggio di Sandler, che sembra essere al sicuro da ogni cosa… finché non lo è più. Il passaggio da un contesto all’altro è sempre sfumato, incerto, ed è questo che rende ancora più interessante il dipanarsi dell’avventura, il non essere mai abbastanza convinti se Howard sia con le chiappe al sicuro oppure sull’orlo del precipizio.
Un lungo climax, insomma, che non ci tenta ma ci ammalia, mentre osserviamo l’incedere cialtronesco e sgraziato di un personaggio con cui però quasi subito è possibile stabilire un contatto, entrare almeno un pochino in quei panni; panni di chi vuole tutto e lo vuole alle proprie condizioni, come se gli fosse dovuto, a confermarlo certe espressioni, quel volto inebetito, quella faccia da schiaffi di chi, pur non avendo la più pallida idea di cosa stia accadendo, non smette di reagire in ogni modo. Come con il Barry di Ubriaco d’amore (2002), Sandler riesce a conseguire delle tonalità precluse a tanti, quelle di un adulto bislacco perché in fondo ancora un bambino, che fa cose da bambini, con la differenza che a certe marachelle non si può porre rimedio con un semplice rimprovero. E nel non riuscire a stabilire davvero se Howard sia un bambino che gioca a fare l’adulto oppure un adulto che crede di poter giocare come fosse un bambino sta senz’altro il punto di forza di Diamanti grezzi, che lascia aperta la questione, risolvendola con una punta di cupa ironia e Gigi D’Agostino.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
Diamanti grezzi (Uncut Gems, USA, 2019) di Benny e Josh Safdie. Con Adam Sandler, Lakeith Stanfield, Idina Menzel, Judd Hirsch, Eric Bogosian, Pom Klementieff, Robbie DeRaffele, Samantha Mishinski, Hannah Kelsy, Julia Fox, Kevin Garnett, The Weeknd, Jonathan Aranbayev, Jacob Igielski, Noa Fisher, Paloma Elsesser, Keith Williams Richards e Tommy Kominik. Su Netflix dal 31 gennaio 2020.