New York New York, il cortometraggio di Spike Lee
Ecco il cortometraggio che Spike Lee dedica alla propria città in tempo di coronavirus
(Clicca sull’immagine per vedere il corto)
Una lettera d’amore? Un invito a rialzarsi? Qualunque cosa significhino questi tre minuti e passa, che prendono il titolo di New York New York, sono il collage di un regista tra i più newyorkesi, quello Spike Lee che, fra qualche giorno, sarebbe stato il primo Presidente di Giuria nero nella storia del Festival di Cannes. Ed invece sappiamo com’è andata.
Proprio questo passaggio mi ha dato da pensare: la parabola del regista che esordì con Fa’ la cosa giusta (1989) avrebbe dovuto aprirsi al mondo, incontrare la Storia, proprio per via di questa sua nomina; per ovvie ragioni Cannes salta, ed ecco che il nostro deve tornare, in prossimità della data in cui l’appuntamento si sarebbe potuto finalmente consumare, alla sua città, al suo territorio. Come dire, il mondo e la Storia possono ancora aspettare.
Quanto al cortometraggio, sulle note del celeberrimo nonché omonimo brano cantato da Frank Sinatra, si tratta di una Grande Mela spettrale, fascinosa ma inquietante; la città che non dorme mai costretta a vivere in questo stato di sospensione senza coloro che la animano, i newyorkesi, residenti o di passaggio.
Una prima parte dedicata a questa iconica bellezza, vuota pressoché in ogni sua parte, salvo poi riempire gli spazi con quelle persone che in realtà ci sono ancora, in fila al supermercato o in farmacia, oppure di quella categoria che, volente o nolente, è già assurta ad emblema di questa prima parte del 2020, ossia infermieri ed infermiere. In un periodo in cui forse New York è un po’ meno centro del mondo rispetto a quanto non fosse alla fine del secolo scorso, queste immagini tendono a restituirle in qualche modo un certo status. Immagini impastate con la pellicola, peraltro. E non a caso.