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Diana Vreeland – L’imperatrice della moda: Recensione in Anteprima

Cineblog recensisce in anteprima Diana Vreeland – L’imperatrice della moda, presentato lo scorso anno a Venezia ed in uscita il 6 Dicembre in tre sole città italiane

pubblicato 4 Dicembre 2012 aggiornato 31 Luglio 2020 19:37

Un vestito nuovo non porta a nulla, piuttosto interessa la vita che si conduce mentre lo si indossa.

Lungi da noi voler condensare le numerose sfaccettature di una personalità come quella di Diana Vreeland in una sola frase. Eppure, specie dopo aver visto il documentario a lei dedicato, ci pare che il quasi-aforisma in apertura descriva meglio di tanti altri il personaggio in questione. Un’affermazione, quella qui sopra, che appartiene all’indiscussa imperatrice della moda del secolo scorso, così come buona parte di ciò che le è orbitato attorno. Questo perché, come apprendiamo attraverso alcune delle tante dichiarazioni riportate in questo lavoro, “Diana non fu una donna molto ricca e nemmeno tanto bella. Ma lei creò ricchezza e bellezza“.

Un film che fa luce su un personaggio alquanto particolare; visionario per alcuni, cocciuto e ostinato per altri. Ma in fin dei conti si può a ragione pensare che la Vreeland fosse un po’ di tutto ciò, e pure qualcosa di più. Lisa Immordino Vreeland firma così il suo primo lungometraggio, dedicandolo alla donna di cui ha sposato il nipote. Fatica opportuna, dato che della sempre schiva Diana si conosce solo ciò che lei ha voluto mostrarci attraverso la propria vocazione.

Ma a farla da padrone non è solo l’ex-redattrice di Harper’s Bazaar e Vogue, perché, di riflesso, Diana Vreeland: The Eye Has To Travel (questo il più affascinante titolo originale) pone enfasi sulla moda, sulla sua evoluzione, ossia su come ha raccontato alcuni dei cambiamenti più rilevanti del corso del ventesimo secolo – quello che Eric J. Hobsbawm definì secolo breve. Ed è un bel viaggiare, per l’appunto.

Mossa da istanze palesemente cinefile, la regista non resiste alle immagini di repertorio. Ci condisce pressoché il primo quarto del film, ostentando un citazionismo che tende palesemente ad accattivarsi la simpatia di chi anzitutto in questo lavoro desidera vederci un’opera cinematografica (immancabili le sequenze di Qui êtes vous, Polly Maggoo?, sofisticato film del 1966 diretto da William Klein). Ma dopo questi primi, eleganti depistaggi, l’attenzione non può che essere prepotentemente calamitata da lei, la vera protagonista.

In realtà lo scopo dell’intera operazione non è quello di suscitare clamore, cioè scoperchiando chissà quale vaso contenente chissà quale celato retroscena. La Diana Vreeland che ci consegna questo film è quella che in molti già conoscono, stipata, compressa all’interno di un unico lungometraggio.

Il lavoro della Lisa Immortino è essenzialmente suddiviso in una lunga serie di interviste, che trainano letteralmente l’intera andatura del film. Tra chi l’ha conosciuta e chi l’ha semplicemente amata, parecchi sono i nomi di coloro che si sono prestati a questo sentito tributo; da Joel Schumacher alla meravigliosa Marisa Berenson, passando attraverso Ottavio e Rosita Missoni.

Tutti a celebrare genio e sregolatezza di colei che faceva un grosso vanto della sua mancata educazione accademica, della sua “pigrizia“, della sua ossessionata e ossessionante originalità, che le hanno permesso di scorgere isole ad altri precluse. Fu lei a lanciare donne come Cher e Barbara Streisand, in modi che nessuno aveva anche solo osato immaginare di sperimentare. Ci volle un bel coraggio, per esempio, a pubblicare una foto di profilo proprio della Streisand, divenuta celebre anche per quello che veniva (viene) comunemente considerato un difetto, ossia il suo particolare naso.

Ma in fondo la Vreeland era così: “hai un difetto? esaltalo!“, diceva alle proprie modelle. E a dispetto di una progressione piuttosto semplice, senza particolari licenze poetiche, è innegabile la curiosità montante una sequenza dopo l’altra. Si è davvero portati a chiedersi cosa vedesse, quali immagini bagnassero la fervida immaginazione di Diana. Immagini, ecco la vera svolta nella sua carriera.

Dopo un inizio presuntuoso, ma condotto con lo stile che la contraddistinguerà per il resto dei suoi giorni, ci vorranno anni per capire davvero quale sarebbe stato il suo indirizzo. Lei stessa sorride rievocando i tempi in cui, per Harper’s Bazaar, teneva una stravagante rubrica (Why don’t you…?) in cui si potevano leggere esortazioni del tipo: “Perché non fare lo shampoo ai vostri figli con lo champagne del giorno dopo, così da rendere i loro capelli dorati?” e cose di siffatto tenore. Erano gli anni della Grande Depressione.

Dopo anni, però, la dipartita professionale da quel suo primo, fortunato incarico, per assumerne uno di rilievo ben maggiore come capo-redattrice di Vogue. Da lì fu tutto in discesa. Non tanto perché da allora la sua vita fu più facile, quanto perché fu proprio a quel punto che emerse lo stile Vreeland, quello che stravolse il campo della moda dalle fondamenta, e le valse l’appellativo di imperatrice di quel mondo.

E pur non indulgendo su una vita privata gelosamente custodita, Diana Vreeland – L’imperatrice della moda tratteggia un personaggio unico in maniera elegante, sobria, per quanto sobria potesse essere una donna che durante i suoi anni a Vogue non ha mai badato a spese pur di realizzare le proprie estasi, quasi mistiche. Una regista in prestito ad un altro settore, così possiamo definire la Vreeland. Una donna che ha vissuto i propri sogni e che tale documentario non fa che mitizzare ancora di più, non negando le naturali crepe che la diretta interessata riuscì comunque a seppellire con encomiabile classe, espressione di un gusto che, piaccia o meno, ha influenzato come forse nessun altro un universo che ha contribuito in maniera determinante a costruire.

Una finestra attraverso cui vale la pena sbirciare, conoscendo uno dei personaggi più influenti del secolo scorso. I toni, ragionevolmente celebrativi, non incidono comunque su una storia che senza dubbio vale la pena di essere raccontata. Nel tentativo di capire in fondo cosa si celi dietro una donna che oggi, ai nostri occhi, sembrava così piena di stupore per ogni cosa, entusiasmata da tutto ciò che la circondava. Non solo, ma anche da ciò che serbava per sé stessa, come l’amore per quell’uomo da cui ha tratto il proprio cognome, e dinanzi al quale, parole sue, si è sempre sentita in dovere di “mostrarsi all’altezza“. Dando così un calcio a certe derive femministe, anche esplicitamente per bocca sua; lei che riuscì in un periodo in cui di certo non spopolava l’immaginario della cosiddetta donna in carriera. Perché in fondo, ed è forse l’unica cosa che si può dire con certezza, per tutti era Diana Vreeland… mentre per sé stessa rimase sempre quella piccola, non tanto avvenente ragazzina che risponde al nome di Diana Dalziel.

Diana Vreeland – L’imperatrice della moda (Diana Vreeland: The Eye Has To Travel, USA, 2011), di Lisa Immordino Vreeland. In uscita solo il 6 Dicembre a Roma (Cinema Barberini) e Milano (Cinema Arcobaleno), e solo il 12 Dicembre a Bologna (Cinema Lumière). Qui trovate il trailer italiano.

Voto di Antonio: 7

Noi vi lasciamo con lo stesso brano che chiude il film, degna conclusione del viaggio nei meandri di questo pittoresco universo. Un po’ bondiano, se vogliamo, ma d’altronde è pur sempre di una certa raffinatezza che si parla.