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I Cultissimi di Cineblog: Akira di Katsuhiro Otomo, recensione e foto gallery

Akira (id. Giappone 1988) di Katsuhiro Otomo con Mitsuo Iwata, Nozomu Sasaki, Mami Koyama.Siamo nella Nuova Tokyo del 2019. Quella vecchia, per la cronaca, è stata coventrizzata a seguito della Terza Guerra Mondiale conclusasi nel 1988. Nuova Tokyo è una sorta di Babilonia veterotestamentaria, una città allo sbando, mal governata e lasciata a sé stessa,

pubblicato 15 Aprile 2008 aggiornato 2 Agosto 2020 21:02



Akira (id. Giappone 1988) di Katsuhiro Otomo con Mitsuo Iwata, Nozomu Sasaki, Mami Koyama.

Siamo nella Nuova Tokyo del 2019. Quella vecchia, per la cronaca, è stata coventrizzata a seguito della Terza Guerra Mondiale conclusasi nel 1988. Nuova Tokyo è una sorta di Babilonia veterotestamentaria, una città allo sbando, mal governata e lasciata a sé stessa, in cui i giovani non trovano di meglio da fare che organizzarsi in bande di centauri e scorrazzare qua e là, in una lotta continua fra gang, e in cui i gruppi di rivoluzionari tentano in ogni modo di modificare lo status quo. Fra le varie bande di giovani motociclisti c’è quella capeggiata da Kaneda, in continua lotta con i rivali Clowns. Compagno di Kaneda è la mascotte Tetsuo, il più giovane del gruppo, in sostanza il classico sfigato, un po’ succube del carisma del capetto e
inconsciamente insofferente per questa situazione.

Le cose cambiano quando Testsuo si imbatte in uno strano bambino dal volto incartapecorito come quello di un vecchio: si tratta di uno degli Esper, persone con poteri psichici frutto di esperimenti governativi, fuggito, grazie ai rivoluzionari, alla cattività in cui l’esercito l’aveva coattamente rinchiuso. Quando le forze speciali, condotte da un colonnello grande, grosso e marziale, si palesano per recuperare l’Esper, Tetsuo è lì con lui, e viene anch’egli prelevato, rinchiuso e sottoposto a degli esperimenti per risvegliare la sua forza psichica. Qualcosa non va come dovrebbe: Tetsuo acquista incredibili poteri, ma allo stesso tempo perde la testa. Vuole rifarsi di tutta una vita in cui è stato la spalla del capo, conquistando, con la forza, potere e onori. Il suo obiettivo, quindi, è quello di trovare e distruggere Akira, l’unico Esper in possesso di poteri più grandi dei suoi.

Tratto dall’omonimo, visionario manga dello stesso regista (o per meglio dire supervisore, ma spiegheremo la differenza più in là), Katsuhiro Otomo, uscito in Giappone tra il 1982 e il 1990, “Akira”, pur non essendo probabilmente il miglior lungometraggio animato della storia del cinema, ha invece il gigantesco merito di essere stato l’ariete di sfondamento che ha permesso all’animazione cinematografica giapponese di avere successo in occidente.

I Cultissimi di Cineblog: Akira di Katsuhiro Otomo

Negli Stati Uniti questo film è tuttora un culto professato da moltissimi fan, tanto che il buon Leonardo Di Caprio sta progettando la realizzazione (come produttore e attore principale) di un adattamento in live action da realizzarsi in due lungometraggi, supervisionati dall’onnipresente Otomo e diretti da un oscuro mestierante. Anche in Italia, d’altronde, stranamente l’impatto di questa pellicola è stato molto forte, tanto da spingere la Panini Comics a una doppia riedizione (l’ultima terminata nel 2005) dello splendido manga originale.

E proprio dell’omonimo manga da cui è tratto il film ci apprestiamo a parlare in questo paragrafo. Il fumetto è un’epica storia che consta di 2182 pagine, discretamente difficili da comprimere in due ore di film. E se quattro anni prima, nel 1984, anche un maestro come Hayao Miyazaki aveva fallito nell’adattare il suo unico, bellissimo manga, “Nausicaa della valle del vento” nell’omonimo film, non essendo riuscito a mantenere la potenza e la bellezza originarie del fumetto, allora si può ben affermare che Otomo andava incontro a un arduo
compito.

La soluzione adottata è semplicemente pazzesca. Otomo fonda la Akira Committee, in cui convergono straordinariamente e una tantum 8 diverse major produttive giapponesi, che raccolgono i 10 milioni di dollari necessari per stipendiare 5000 animatori che mantengano la lavorazione del film attiva, grazie a dei turni e a speciali accordi sindacali, 24 ore al giorno. A causa delle prevalenti scene notturne, inoltre, a questa frotta di animatori viene anche chiesto di creare 50 nuove colorazioni per avere così la maggiore rendita possibile da tutte le scene scure (il fumetto era in bianco e nero, e quindi non aveva avuto di questi problemi).

Il risultato è, a livello di sceneggiatura, una versione inevitabilmente ristretta, a volte ottimamente a volte meno, del fumetto e, a livello visivo, un’infinita orgia per lo sguardo dello spettatore. Un film di fantascienza violento, distruttivo, caotico, senza dolcezza, con poca, pochissima speranza e, soprattutto, inquietante. Inquietante nelle musiche, nella messa in scena, nel pirotecnico finale e specialmente nel personaggio di Tetsuo: cattivo, sadico, malato, incontrollabile. Inquietante anche nell’idea marcescente di società che serpeggia in tutto il film, nell’indifferenza dei giovani nei confronti di questa società. Inquietante nella sua struttura a imbuto, che conduce dritti verso un inevitabile, catastrofico finale. Inquietante. Punto.