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A Ghost Story: recensione in anteprima

Il film che David Lowery ha girato in segreto e portato al Sundance 2017 segna una nuova svolta nella carriera di uno dei registi americani più speciali in circolazione. A Ghost Story è un film già iconico e a suo modo magico, che ridà senso alla parola ‘visionario.’

pubblicato 19 Luglio 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 04:01

L’altra faccia del film sulla metabolizzazione del lutto (che è quasi un sottogenere a sé, e che promette ampie riflessioni sulla vita, emozioni forti, ecc.). Ecco: immaginate se il protagonista di un film di questo tipo sia la persona defunta, quindi il fantasma. Viene subito da pensare a Ghost. Ma da ora in poi vi verrà in mente solo e soltanto A Ghost Story, alla faccia di chi dice che non ci può più essere nulla di iconico, soprattutto nel cinema americano. Non penseremo e guarderemo più ai fantasmi coperti da lenzuolo allo stesso modo.

C’è Casey Affleck che fa il musicista e, tempo pochi minuti, lo troviamo schiantato in macchina contro un albero vicino a casa sua. Quando è in ospedale, il suo cadavere – coperto da un lenzuolo – si alza e cammina. Un fantasma si aggira per il Texas! Poi c’è Rooney Mara che interpreta la sua fidanzata e che mangia una torta intera in un pianosequenza a camera fissa, quasi roba alla Tsai Ming-liang.

Non cito Tsai a sproposito: ho come l’impressione che Lowery si sia visto tanto cinema asiatico recente che conta, forse addirittura quello dell’annata d’oro degli inizi del 2000. A Ghost Story ha infatti l’ironia di un Takeshi Kitano e il tocco del Kim Ki-duk di Ferro 3. L’ambizione del film è enorme, e quella di David Lowery è una ‘visione’ vera. Sì: si può ancora usare il termine ‘visionario’ senza risultare ridicoli.

Ironia e lampi di commozione improvvisa pervadono un’esperienza che all’inizio non si sa manco come prendere del tutto. Poi ‘C’, il personaggio di Affleck, saluta un altro fantasma che sta nella casa di fronte a lui: si capiscono al volo e noi seguiamo il loro discorso via sottotitoli. Si ride in modo quasi tenero per questo momento un po’ naive, prima che il secondo fantasma affermi che non si ricorda esattamente chi stia aspettando in quella casa.

Da quel momento il film vola alto e non scende più, tranne in un lungo monologo centrale (che però, se si vuole, ha un suo peso specifico). A Ghost Story è la storia di un singolo fantasma, del suo viaggio, del suo ritorno a casa. Con un ritmo interno mai sempre uguale a sé stesso, A Ghost Story gioca costantemente con le aspettative dello spettatore, che difficilmente anticiperà cosa sta per succedere.

Soprattutto, può capitare facilmente di trovarsi impreparati a rispondere agli stimoli del film. C’è tutto un segmento in cui Lowery pare voler affrontare di petto la questione del tempo: ci sono il passato, rappresentato da una famigliola probabilmente nel vecchio New England (come in The Witch, altro titolo A24?), e c’è il futuro, rappresentato da una città ai neon, elettrica e notturna. Mi pare che invece sia una riflessione più centrata su un luogo.

Il fantasma non torna direttamente dalla sua ragazza, ma torna a casa: è lì che ci sono delle cose lasciate in sospeso, ed è quello l’ultimo posto dove il ragazzo ha speso la sua ultima parte di vita. La sua casa è costruita su un terreno dove ci sono i resti di un’America che fu (con tutti i suoi fantasmi!), ed è il terreno per un’America che sarà. Che anche il fantasma ‘vicino di casa’ non ricordi il motivo per cui si trova lì, ma non se ne vada, dovrebbe già dire tanto. La mente nasconde, ma non cancella.

A Ghost Story diventa così anche un film sui fantasmi di una nazione, quelli che la definiscono. Sono i fantasmi e le prospettive future a creare l’identità. Il film si apre così a possibilità e riflessioni come un libro aperto. Lowery gioca con i cliché sui fantasmi (altrimenti perché il lenzuolo?), e da ciò costruisce un ritratto intimo e allo stesso tempo cosmico, come le qualità della superba colonna sonora di Daniel Hart. Il ritratto di un singolo fantasma la cui storia diventa metro di paragone di una nazione intera.

Girato in digitale, ma con lenti da Super16 che permettono il formato 4:3 e il look vintage, A Ghost Story è quanto più lontano un regista che ormai lavora a Hollywood farebbe. Dopo un paio di film indie, tra cui il bel Ain’t Them Bodies Saints proprio con Affleck a Mara, Lowery aveva girato il potabile film Disney Il Drago Invisibile.

È straordinario che abbia voluto dedicarsi a un progetto del genere, confermando il suo spirito da vero indipendente sopra ogni sistema. Qualunque sia il percorso di Lowery d’ora in avanti, ci ha almeno regalato una delle opere più originali del cinema americano contemporaneo. Con in più uno dei finali più concisi e giusti che si siano visti da molti anni.

[rating title=”Voto di Gabriele” value=”9″ layout=”left”]

A Ghost Story (USA 2017, dramma/fantasy 92′) di David Lowery; Casey Affleck, Rooney Mara, McColm Cephas Jr., Kenneisha Thompson, Grover Coulson, Liz Franke. Sconosciuta la data d’uscita italiana.