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Roma 2017, A Prayer Before Dawn: Recensione in Anteprima

40 anni dopo Fuga di Mezzanotte l’incubo carcerario torna in sala con un’altra storia vera grazie al film A Prayer Before Dawn.

pubblicato 2 Novembre 2017 aggiornato 28 Agosto 2020 00:16

Visto all’ultimo Festival di Cannes ma incredibilmente fuori Concorso, tra le proiezioni di mezzanotte, A Prayer Before Dawn di Jean-Stéphane Sauvaire è stato meritatamente ripescato dai selezionatori della 12esima Festa del Cinema di Roma, in attesa di un’uscita in sala firmata Lucky Red che diverrà realtà nel 2018.

Diretto da Jean-Stéphane Sauvaire, qui alla sua opera seconda 10 anni dopo il pluri-premiato Johnny Mad Dog, il film adatta l’autobiografia del pugile britannico Billy Moore, per tre anni rinchiuso in una delle prigioni più violente e tristemente famose della Thailandia. Eronoimane fuggito dal proprio Paese e dai propri affetti, Moore finisce in un incubo segnato dalla brutalità quotidiana, tra stupri di gruppo, omicidi e celle sovraffollate, punizioni corporali e compagni animaleschi, incapaci di dialogare senza saltarsi addosso e scannarsi a vicenda. A salvarlo dal baratro, raschiato dopo un tentato suicidio, la boxe thailandese, con la palestra della prigione vera valvola di sfogo per allontanarsi dalle droghe, per provare a tornare a galla, a rinascere.

E’ una pellicola carnale, in cui sangue, sudore ed epidermide la fanno da padroni, quella diretta con straordinaria efficacia da Sauvaire. Un’opera quasi in prima persona, perché il regista segue il suo protagonista come un’ombra, con la macchina attaccata al suo volto, ai suoi occhi azzurri divorati dalla solitudine e dalla rabbia, ai suoi muscoli furenti. Come in Fuga di mezzanotte di Alan Parker, uscito 40 anni fa, l’inferno del carcere torna su grande schermo in tutta la sua sconcertante atrocità.

Dalla Turchia del 1978 alla Thailandia di oggi, con uomini ammassati l’uno sull’altro, costretti a picchiarsi persino per un bicchiere d’acqua, tra diritti non solo negati ma semplicemente sconosciuti. Lo scontro è perenne, apparente unica via d’uscita per riuscire a sopravvivere, tanto da coinvolgere persino due pesci in una brocca d’acqua, incitati ad ammazzarsi come se fossero due cani accecati dalla fame.

Joe Cole, 28enne attore britannico da poco uscito nelle sale d’America con Thank You for Your Service, incarna paurosamente i conflitti interiori e la complessità di questo ragazzo ritrovatosi in una galera da incubo, solo, unico bianco tra thailandesi ricoperti di tatuaggi che non parlano la sua lingua. Amplificati rumori e voci, l’approccio sensoriale cavalcato da Sauvaire si fa ancora più realistico grazie ad una messa in scena feroce, con lunghi e barbari combattimenti girati con sconcertante credibilità, spesso in piano-sequenza, quasi in apnea.

Un brutale disagio che si fa terrore, quello vissuto da un Moore stretto ad una boxe che da sempre fa rima con rispetto e disciplina, vista come salvagente a cui aggrapparsi prima di annegare del tutto tra i fumi dell’eroina. Graziato dal Re della Tahilandia nel 2010, il vero Billy appare nel finale regalando un sorriso al suo doppio cinematografico, perché da allora disintossicatosi e riemerso da un tormento fisico e interiore ai limiti dell’autodistruzione.

[rating title=”Voto di Federico” value=”7.5″ layout=”left”]

A Prayer Before Dawn (Francia, 2017, biopic) di Jean-Stéphane Sauvaire; con Joe Cole, Vithaya Pansringarm, Nicolas Shake – uscita in sala: 2018

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