A proposito di Davis – Inside Llewyn Davis: recensione in anteprima del film dei fratelli Coen
I fratelli Coen portano Inside Llewyn Davis in concorso al Festival di Cannes 2013. Tutt’altro che un’opera minore: un vero concentrato del loro cinema, tra dialoghi brillanti, musica pazzesca e atmosfere personali. Un film straordinario, premiato col Gran Premio della Giuria sulla Croisette. Ecco la nostra recensione.
Gaslight Café, 1961, nel Greenwich Village. Llewyn Davis canta un paio di canzoni di fronte alla platea del bar, poi esce dal locale e viene picchiato da uno sconosciuto. Il ragazzo è un cantautore di folk che un tempo aveva inciso un disco con un amico: si facevano chiamare Timlin & Davies. Oggi non ha fissa dimora e vive da amici e conoscenti, dormendo sul divano. Un giorno, dopo aver dormito a casa di un vecchio professore, chiude per sbaglio la porta dell’appartamento dopo che il gatto è già scappato. È solo l’inizio di una serie di disavventure…
Vi diranno che Inside Llewyn Davis è un film bellissimo anche se “minore” nella filmografia dei Coen. Si giustificheranno dicendo che non c’è nulla di male: i fratelli di Minneapolis spesso tirano fuori dal cilindro le loro opere più belle proprio con i titoli più piccoli. No, ci sbilanciamo: altro che film piccolo, altro che film “minore”. Inside Llewyn Davis è un’opera straordinaria che racchiude tutto il cinema dei suoi autori.
Si tratta di un’opera molto complessa, decisamente stratificata, che non perde di vista il ritmo, che si costruisce attorno al suo protagonista e che descrive un’epoca. Lo fa senza puntare alla nostalgia diretta, ma piuttosto creando un’atmosfera molto personale dal quale gli anni 60 fuoriescono tutti: filtrati dall’occhio dei Coen, dal loro stile e dal loro humour. Inside LLewyn Davis si basa sulla vita di Dave van Ronk, musicista folk rimasto nell’ombra di altri cantautori dell’epoca, come l’amico Bob Dylan. Però questo è solo il punto di partenza.
Per dire: il vero Van Ronk non guidava e si dice non avesse manco la patente, mentre il Llewyn Davis dei Coen guida eccome. I registi regalano sì un omaggio sentito ad un autore dimenticato, ma continuano soprattutto un percorso tutto loro, e il risultato per certi versi ricorda molto da vicino A Serious Man. Dopotutto, con tutto quello che gli accade, non è che Llewyn Davis è un po’ sfigato come Larry Gopnik? Solo che qui non c’è un “disegno” religioso o qualcosa di simile, ma soltanto un ambiente ostile che guarda dall’alto in basso il protagonista.
Lo guarda dall’alto in basso il suo discografico, Mel, che non lo paga. Lo guarda dall’alto in basso Jean (Carey Mulligan: notare la differenza della sua interpretazione rispetto a quella de Il Grande Gatsby), compagna del suo amico Jim (Justin Timberlake), che ha appena scoperto di essere incinta: il figlio è suo, e per questo è costretto a pagarle l’aborto. La ragazza poi non fa altro che insultarlo a suon di asshole e frasi come “Tutto ciò che tocchi diventa merda”. Anche la sorella non ha una grande reputazione di Llewyn, e lo vede come il tipico fannullone che ha tentato la strada artistica fallendo miserevolmente: una sciagura, visto che i genitori erano proprio musicisti.
E poi ci sono vari incontri, come quello con Troy, uno stralunato cantautore che lui reputa mediocre ma che intanto ha strappato un contratto con Bud Grossman, uno dei pezzi forti dell’industria musicale di Chicago. Partendo per Chicago in cerca di un’audizione con Bud, Llewyn incontra Roland Turner (un enorme John Goodman in versione tipicamente coeniana), suonatore di jazz che si fa scarrozzare dal suo personale valet (un inedito Garret Hedlund che sembra fare il verso al suo Dean Moriarty di On the Road) e che gli sputa addosso tutta la sua arroganza da uomo ricco e già arrivato.
In mezzo alle persone che ruotano attorno al protagonista ci sta lei: la New York degli anni 60, e nello specifico proprio il mitico Greenwich Village. Geniale il modo in cui il quartiere ci viene introdotto: per farlo i Coen scelgono una scena in cui questo “mondo a parte” viene visto ad altezza di… gatto. In una delle prime scene, Llewyn è in metro con il gatto in braccio, e l’animale guarda quasi stordito i nomi delle varie fermate che gli sfrecciano velocissime davanti agli occhi.
Nel Greenwich Village sono tanti a provare la strada del successo, ma in pochi in fin dei conti vogliono solo riuscire a campare dignitosamente del loro lavoro. Come vorrebbe Llewyn, che però non riesce proprio ad emergere. “Non connetti col pubblico”, gli dicono, mentre il ragazzo continua a cambiare stanze, divani e pavimenti su cui dormire, passando tra corridoi curiosamente sempre strettissimi e claustrofobici degli edifici.
Inside LLewyn Davis rappresenta la grande occasione per Oscar Isaac di far notare il suo talento. L’attore si cuce addosso il personaggio, ovviamente già delineato brillantemente dai due autori (notare come il suo passato e alcuni piccoli particolari vengono svelati solo da un certo punto in avanti): ma Llewyn prende vita grazie alla sua straordinaria interpretazione. Il pubblico ci mette due secondi ad entrare in empatia con lui, il quale riesce pure ad essere di una tenerezza disarmante.
Il film è un parente stretto di A Serious Man per molti versi, ma racchiude come si diceva molto cinema dei Coen: anche solo per la sezione on the road e per la quantità di musica (che spesso porta alle lacrime), non si può non pensare a Fratello dove sei?, mentre alcune inquadrature ed atmosfere sembrano venire dritte da Barton Fink e L’uomo che non c’era. E il nome del gatto del professore è tutto un programma. Va da sé che la sceneggiatura e i dialoghi sono perfetti, e che ci sono momenti in cui non si può fare a meno di applaudire. Uno su tutti: la canzone Please, Mr. Kennedy.
Voto di Gabriele: 9
Inside Llewyn Davis (USA 2013, drammatico 105′) di Joel ed Ethan Coen; con Oscar Isaac, Justin Timberlake, Carey Mulligan, Garrett Hedlund, John Goodman, Adam Driver, F. Murray Abraham, Max Casella, Ethan Phillips, Alex Karpovsky. Qui il trailer. Prossimamente in sala grazie a Lucky Red.