Home Recensioni A-Team: le recensioni della critica

A-Team: le recensioni della critica

Come è stato accolto il film sull’A-Team dalla critica italiana? A noi non ha convinto, a voi è piaciuto quindi ora lasciamo la parola ai giornalisti della carta stampata:Francesco Alò – Il Messaggero: Dopo Bastardi senza gloria, Hurt Locker e prima di Losers e Expendables, ancora al cinema un gruppo di omaccioni che si vogliono

di carla
pubblicato 28 Giugno 2010 aggiornato 1 Agosto 2020 23:13


Come è stato accolto il film sull’A-Team dalla critica italiana? A noi non ha convinto, a voi è piaciuto quindi ora lasciamo la parola ai giornalisti della carta stampata:

Francesco Alò – Il Messaggero: Dopo Bastardi senza gloria, Hurt Locker e prima di Losers e Expendables, ancora al cinema un gruppo di omaccioni che si vogliono bene. (…) La serie tv era abbastanza ridicola. Il film niente affatto. Prima di perdersi in un finale incoerente, il mix di azione, risate, testosterone e sentimento (i quattro si coccolano senza vergogna) funziona alla grande soprattutto nella scena in cui il quartetto precipita dentro un carro armato che prova a volare sparando colpi di cannone. Non è musica da camera. E’ cinema da cameratismo, ma con insospettabili risvolti psicologici: Sberla cerca l’approvazione, e il superamento, del “padre” Hannibal; Barackus sperimenta la via della nonviolenza gandhiana. Intorno a loro doppi giochi, mercenari e un governo schifoso. Per un blockbuster per ragazzini, non c’è male davvero. Ottimi i quattro attori.

Massimo Bertarelli – Il Giornale: Per chi sta sopportando le vuvuzelas del Mondiale il terribile fragore di A-Team sembrerà un coro d’angeli. A parte il frastuono e il sapore del già visto, non è male questo fumettone avventuroso che ricicla, in meglio, un popolare telefilm degli anni Ottanta. Protagonisti quattro soldatacci, ingiustamente degradati e messi dentro che evadono per una vendetta impossibile, con una paio di scene da cineteca. Il veterano Liam Neeson e l’atletico Bradley Cooper guidano il poker, inseguito dalla bellissima collega Jessica Biel. Una presenza assolutamente superflua, ma molto gradevole.

film-the-a-team-jessica-biel-

Paola Casella – Europa: Se avete 12 anni, se avevate 12 anni negli anni Ottanta, se vi sentite dodicenni dentro, allora questo è il film per voi. Se fate ancora con la bocca il rumore del jet che decolla, del mitra che spara e della folla allo stadio, questo film è molto per voi. Se avete nostalgia della serie televisiva di cui A-Team è il remake cinematografico e dei quattro mercenari protagonisti ritroverete negli attori che li interpretano sul grande schermo il ricordo degli originali, anche se l’unico azzeccato è Bradley Cooper nei panni di Sberla, mentre Liam Neeson è troppo bonaccione per fare Hannibal, Quinton Jackson non ha il carisma silenzioso di Mr T e anche se Sharlto Colpey è un Murdock interessante, non è sufficientemente schizzato. Se infine vi piacciono gli action movie fracassoni in cui scoppia una bomba o un incendio al minuto, in cui nessun vetro resta intatto, gli aerei volano alla velocità del suono e le auto si scontrano come al luna park, questo è decisamente il film per voi, e vi divertirete un sacco. Per tutti gli altri, tenevi stretti i soldi del biglietto.

a-team-si-discute

Boris Sollazzo – Liberazione: L’ A-Team o, come alcuni lo chiamavano per quel rapporto tanto stretto tra omaccioni respinti ingiustamente dall’esercito per un errore giudiziario, il gAy-Team, è un cult difficile da dimenticare. Fa parte di quella prima nuova era televisiva dei serial, quella degli anni ’80, che sapeva entusiasmare con mezzi limitati. Già, perchè a rivederli nelle mattine Mediaset ora, fanno sorridere: effetti speciali improbabili, sceneggiature naif (ma dialoghi di ferro), regia zoppicante. Ma avevano una genuinità e un’ingenuità impagabili. Questo A-Team cinematografico, fracassone e mai divertente- se si esclude la scena dei passaporti e alcune battute involontariamente comiche (P.E. che cita Gandhi, sic, o che si fa una pettinatura alla Samuel L. Jackson in Pulp Fiction) – delude invece da subito. Forse perchè l’antefatto dura più di metà del film, alla Robin Hood, e fiacca anche il fan più affezionato. Certo, diranno i direttori marketing, era inevitabile perchè volevamo farne una saga, ma l’impressione è che sequel non ce ne saranno. E nel pur volenteroso Liam Neeson facciamo fatica a riconoscere un colonnello Hannibal Smith vagamente credibile, così come nel nuovo P.E. Barracus, Quinton Jackson, non si ritrova che una pallida copia di Mr.T. Meglio vanno un sempre più lanciato Bradley Cooper, buon Sberla, e Sharlto Copley, l’antieroe del geniale District 9 , un ottimo Murdock. Ma questi ultimi due, ovviamente sono sotto e male utilizzati. E così ci si ritrova di fronte a due ore di rumoroso nulla, a una trama che è pretesto più che testo, su cui gli attori e un regista che precipita inspiegabilmente nella mediocrità piatta, Joe Carnahan (e dire che l’efficace Narc e l’ottimo Smokin’ Aces sono suoi), non riescono a lavorare decentemente. E così di fronte all’ A-Team ci annoiamo come mai è successo, in alcuna puntata televisiva, dal 1983 al 1987. Si perdono persino i contenuti contro le gerarchie militari e il potere costituito (generali corrotti, Cia composta da avidi e/o idioti, ingiustizie sparse) che tanto rendeva anarchico e un po’ situazionista il telefilm. Appare stanca e goffa la pellicola quando non ci si trova sul campo di battaglia, necessita di flash-back in pillole per risvegliare lo spettatore, persino la musica caratteristica a mo’ di jingle e le battute ripetute fino alla nausea – “Adoro i piani ben riusciti” è la più gettonata – sembrano mosse che stanno tra lo spot e Zelig: prendiamo uno slogan, un tormentone, e appiccichiamoci su un racconto qualsiasi, tanto per giustificare i soldi spesi (davvero troppi) e le attese. E, ciliegina su una torta mal lievitata, i cammei dal passato, clip post titoli di coda comprese, mettono solo tristezza. E tanta nostalgia.

liam-neeson-the-a-team

Dario Zonta – L’Unità: A quando l’adattamento cinematografico di Dallas o di Dinasty? Cosa rimane ancora da pescare dal gran sacco delle fiction anni Ottanta? Dopo la versione per il grande schermo di Starsky e Hutch, di Charle’s Angel, di Azard e ora questa di A team, cosa rimane? Il problema è che a ben vedere troppo rimane di quella stagione, e a qualche genio degli Studios americani potrebbe venire l’idea di dar fondo a quel sacco, e appunto proporre Magnum P.I. o Dallas e chissa cosa d’altro. Perdonate questo leggero ma sano sarcasmo, ma è naturale tirarlo fuori dopo aver visto questo nuovo A team, tutto calato al presente e dimentico di quello che era non dico la storia ma l’ironia della antica serie. Maggior preoccupazione degli autori e produttori, infatti, è stata innovare il più possibile e rendere competitiva la pellicola con i blockbuster d’azione. (…) La domanda è: a che serve andare a scomodare una vecchia e gloriosa fiction tv, con il carico della sua memoria e di quella dei suoi tanti fan nostalgici, per tradurre il tutto in un film d’azione come tanti e peggio di altri?

the-a-team-una-scena-del-film

Alessandra Levantesi – La Stampa: A-Team, che si ispira all’omonima serie tv in auge negli anni ’80, ha provocato irritate reazioni di critica. Come apprezzare l’ennesima pellicola che, avvitandosi su un insulso pretesto, procede a furia di spari, fughe, salti, ammazzamenti, esplosioni? E poi, dove è finito il fattore umano? Una volta fra una scena di azione e l’altra avevamo modo di simpatizzare con i protagonisti, scoprirne i punti di forza e le debolezze, partecipare ai loro problemi. Adesso non ce n’è il tempo: in un’estrema radicalizzazione della famosa battuta hitchcockiana «Il cinema è la vita con le parti noiose tagliate», una frenesia da video gioco ha invaso il grande schermo. In tale ottica, attualizzata la cornice di guerra dal Vietnam all’Iraq, raddoppiato il livello di violenza e concessa la licenza di uccidere, la strada scelta da Joe Carnahan, regista e sceneggiatore di A-Team, è stata quella di dare per scontati i personaggi riproponendo in chiave ultrasintetica le caratteristiche basilari di ognuno: saldamente autorevole Hannibal Smith/Liam Neeson, che ha sempre pronto un piano; mercuriale e donnaiolo «Sberla» Peck/Bradley Copper; forzuto e ingenuo Baracus/Quinton «Rampage» Jackson e demenziale ma (forse) non demente come appare il superpilota Murdock/Sharlto Copley. (…) Il resto è confusione, però a questo punto occorre precisare che promotori dell’impresa sono i due fratelli Scott. In veste di produttori Ridley e Tony pilotano l’operazione secondo i ben oliati parametri del loro cinema, ispirandosi ai fumetti senza preoccuparsi di dare al film una profondità maggiore che alla serie tv, tanto non funziona quasi mai (il sofisticato Miami Vice di Michael Mann docet); e conferendo all’avventura un’indiscutibile livello di qualità formale. Sarà un cinema epidermico, ambiguo e stupido, ma è realizzato con maestria e, per chi ama il genere, il divertimento è sicuro.

bradley-cooper-a-team

Paolo D’Agostini La Repubblica: Dal telefilm, ora, un film. Super-adrenalinico. Il contesto storico ovviamente cambia, si aggiorna all’Iraq. Ma tutti gli ingredienti ritornano. Il colonnello che mastica soddisfatto sigari cubani alla fine di ogni missione riuscita è Liam Neeson, veramente un po’ fuori parte, almeno fintanto che non riusciamo a togliercelo dalla testa come Schindler. Poi c’è lo sciupafemmine “Sberla”(Bradley Cooper), il mastodontico Baracus (interpretato da un campione di arti marziali) che non può separarsi dal furgone nero imponente come lui che diventa il mezzo di trasporto ufficiale del quartetto; quando non si tratta di volare pericolosamente affidandosi al pilota con molte rotelle fuori posto chiamato Murdock (Sharlto Copley). (…) Per divertirsi ci si diverte. Dentro un frullatore nel cui bicchierone sono state versate dosi di prototipi diversi. Un po’ di M.A.S.H. con il suo sapore di disincanto contestatore, un po’ di Quella sporca dozzina per quando i giochi si fanno proprio duri. E, almeno sotto i nostri occhi italiani, un po’ di botti e buon umore alla Bud Spencer e Terence Hill d’annata.

a-team- il film-cast

Alessio Guzzano – City: La serie tv anni ’80, ideata da Frank Lupo, è un cult pirotecnico: amicizia e marchingegni bellici artigianali per . Il film ne rispetta lo spirito: gioca d’astuzia fumettistica, si fa forte dei propri punti deboli, ammicca, sgomma, precipita, decolla, esagera, non vede l’ora di usare i grattacieli come scivoli e di tuffarsi nel gran finale tra gru, container e bazooka nel porto di Los Angeles. I Fantastici 4 (ex) militari – super-non-eroi, mercenari, evasi braccati – oggi sono reduci dall’Iraq: Liam Neeson è Hannibal in scia a George Peppard: sigaro, modi e capelli bianchi sempre a un passo dal salto nell’iperspazio comico/assurdo di Leslie Nielsen nelle Pallottole Spuntate. Il belloccio in rampa di lancio Bradley Cooper è Sberla; il protagonista di “District 9” fa il pilota pazzoide; un lottatore sostituisce il mitico wrestler Mr. T che non ha accettato la comparsata. Godetevi l’autocitazione musical/rombante in realistico 3D. Devono recuperare matrici di dollaroni a Baghdad, dove la Cia (ma va?) ha giocato sporco. Jessica Biel garantisce vampate sexy, lo sceneggiatore di “Mission Impossible 3” e il regista di “Smokin’ Aces” la confusione senza fallo. Tra le boiate di fine stagione – leggi sulle intercettazioni e squalifiche per bestemmia – non è la peggiore.