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A24, da Spring Breakers a Menashe: ritratto della compagnia che ha rivoluzionato il mercato

In soli cinque anni una piccola casa di distribuzione di New York è diventata la vera rivoluzione del mercato cinematografico americano. Un listino pieno di film alternativi, uno spiccato senso per il marketing, e mosse sorprendenti. Da Spring Breakers a Moonlight e Menashe: un ritratto di A24, ora anche casa di produzione. La più entusiasmante del momento.

pubblicato 12 Febbraio 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 01:54

In pochi l’hanno notato, ma l’acquisto al Sundance 2017 da parte di A24 di Menashe, straordinaria opera prima di Joshua Z Weinstein, è una notizia mica da poco. Si tratta di una mossa inaspettata, ma che in realtà dovrebbe sorprendere relativamente gli addetti ai lavori. Da una parte perché la A24 non è mai stata avara di ‘sorprese’, ed è anche per questo che rimane sulla cresta dell’onda. E poi perché conferma l’egemonia, anche in tempi di Amazon e Netflix, in un mercato che non smette di interrogarsi sulla sua trasformazione.

A24 significa Spring Breakers, Under the Skin, Ex Machina, The Witch, Room, Moonlight. Questo suo listino, dice qualcuno, in fondo è anche un po’ troppo fighetto, troppo focalizzato sui millennials. Qualcuno dice che il brand A24 è fin troppo hipster, giovane e cool. Ma la verità è che tutti i filmmaker donerebbero un rene per finire nella cerchia dei ‘prodotti’ targati A24. E a ragione: perché la A24 ha riportato in sala soprattutto i giovani.

L’anno scorso all’IFP Film Week di New York, dove nel 2015 partirono le trattative per l’acquisto di Lean on Pete di Andrew Haigh, i filmmaker facevano a gara per incontrare qualcuno di A24. Senza distinzione di genere o budget, visto che iniziare un rapporto con A24 a prescindere dal progetto su cui si lavora al momento significa magari poter lavorare con loro in futuro. Nel mercato newyorkese c’era solo un ‘però’ su chi poteva avere un incontro con la casa di distribuzione, visto che i progetti e i film cercati da A24 erano solo quelli in lingua inglese.

Nata come piccola casa di distribuzione nel 2012 con sede a New York, la A24 come primo film in assoluto distribuisce lo sbertucciato e già dimenticato da tutti A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III. Non una partenza col botto. Il meglio però è già dietro l’angolo, quando la compagnia acquista Spring Breakers a pochi mesi dal suo rumoroso passaggio in concorso a Venezia. I risultati sono noti: solo nel suolo americano guadagna tre volte tanto il suo budget da M, e il film resiste al tempo e diventa un cult.

Il film di Korine rappresenta in fondo l’essenza del brand A24: un film indipendente e alternativo, dalla spiccata personalità, incentrato verso un target giovane e che dal cinema vuole un’esperienza diversa ma dai toni riconoscibili (la musica di Skrillex, i colori al neon, le eroine Disney in ruoli sfrontati). Così inizia la storia di A24, che è per un certo tipo di pubblico garanzia di una qualità ‘a parte’ sin dall’apparire del suo logo. Perché il logo A24, con i suoi colori primari e le geometrie ipnotiche che lo compongono in silenzio, è già di per sé cool.

Puro marketing, quindi? Il marketing è il mezzo indispensabile per A24 per far vivere i propri film: in questo c’è molto fiuto per il mercato, ma anche una spiccata capacità nel modellarlo. Ad esempio, quando Under the Skin riceve un’accoglienza turbolenta a Venezia e Telluride, A24 ne capisce le qualità e il possibile pubblico (ancora una volta molto giovane). Decide quindi di imbarcarsi in un progetto in teoria molto difficile da ‘vendere’, ma ne vende appunto i punti di forza: lo stile unico e difficile, la personalità misteriosa, Scarlett Johansson in un ruolo totalmente inedito nella sua carriera. Fattori che per altri distributori sarebbero sinonimo di peste, più o meno.

Non tutto però sembra funzionare. Prendiamo il caso di Equals, altro titolo veneziano distrutto dalla critica senza se e senza ma. A24 l’acquista a un mese dalla sua premiere in concorso al Lido: per molti è un suicidio, nonostante la presenza di Kristen Stewart che dovrebbe essere garanzia di pubblico. Il film fa una capatina a Tribeca, e poi arriva in sala a luglio. Non guadagna manco 0K. Ma il trucco c’è e non si vede: A24 aveva infatti acquistato il titolo assieme a DirecTv, che ne sfrutta i diritti per trenta giorni prima dell’uscita in sala (motivo per il quale il film si trovava già in rete).

Piano piano insomma l’indipendente A24 comincia a prendere il posto di un Harvey Weinstein, colmando un vuoto nella distribuzione americana, modellando i gusti di una fetta di pubblico, e persino entrando nella corsa agli Oscar. L’anno scorso per la casa di NYC la cerimonia dell’Academy è stata un trionfo. Dopo soli quattro anni, A24 accumula 7 nomination, di cui ne trasforma due in statuetta senza alcuna fatica (Brie Larson per Room ed Amy miglior documentario). Ottiene pure una vittoria che lascia sbalorditi: l’Oscar per gli effetti speciali a Ex Machina.

A24 può così anche ormai permettersi il lusso di ‘salvare’ film come The Lobster e La Foresta dei Sogni dall’oblio. Nel primo caso il film è stato salvato dal fallimento della Alchemy, casa di distribuzione che dopo l’acquisto del film a Cannes iniziò ad avere grossi problemi, prima di dover dichiarare bancarotta. A24 trasforma The Lobster da film a rischio sparizione in un successo, grazie a una geniale campagna di marketing ancora una volta indirizzata a vendere la spiccata personalità del film e un Colin Farrell mai visto prima. Risultato? Più di M al botteghino americano e una nomination agli Oscar per la sceneggiatura.

Nel secondo caso, tutti si sono chiesti se la A24 fosse davvero impazzita, vista l’accoglienza mortale ricevuta dal film di Van San a Cannes nel 2015. La Roadside Attractions, che aveva acquistato il film prima del concorso cannense (ma cosa ci avevano visto?), abbandona infatti il film in fretta e furia. Con A24, La Foresta dei Sogni guadagna al botteghino americano la cifra ridicola di poco più di 0K. Il trucco ancora una volta c’è: lo stesso giorno in cui esce in sala, il film si trova anche in piattaforme VOD tra cui Amazon, con la quale A24 ha un contratto in esclusiva. E il mercato VOD, nonostante i numeri difficili da monitorare, è l’unico possibile per un film del genere.

Solo nel 2016 la A24, tra i vari successi, ha: vinto tre Oscar all’inizio dell’anno; ricevuto 10 nomination agli Oscar alla fine dell’anno (8 per Moonlight, una per 20th Century Women, e quella per The Lobster); vinto un Premio della Giuria a Cannes (per American Honey); racimolato la cifra pazzesca di oltre 5M al box office americano per The Witch. Moonlight ovviamente è il suo fiore all’occhiello, visto che è il suo primo film anche prodotto e non solo distribuito. Una scommessa su cui la A24 ha creduto fortemente, con risultati di critica e pubblico spettacolari.

Nel 2013, A24 guadagna complessivamente 8M al botteghino, la metà grazie a Spring Breakers. Nel 2014 appena 3M: capita anche ai migliori, e soprattutto a chi ‘ci prova’. Tutto si sistema nel 2015, quando guadagna ben 5M. Nel 2016 sono addirittura 5M, più di quanti ne fa Weinstein (che senza Tarantino sarebbe sepolto dalla nostalgia dei ‘bei’ tempi andati). E mentre si gode i successi in patria, A24 si apre anche per la prima volta all’estero, distribuendo nei cinema inglesi Swiss Army Man, la folle opera prima dei Daniels acquistata per il mercato domestico al Sundance.

La volontà di aprirsi ad altri mercati è confermata proprio dall’acquisto di Menashe al Sundance 2017. Una mossa davvero coraggiosa, visto che il primo film non in lingua inglese della casa indie è un piccolo ritratto della comunità hassidica di Williamsburg, a Brooklyn. Il film, che ha un budget ridicolo, è interamente parlato in Yiddish. Un esordio nel mercato dei film in lingua straniera, decisamente complicato negli States, davvero col botto, che ribadisce le scelte originali della compagnia più entusiasmante del momento.

Quest’anno, oltre a Menashe e Lean on Pete (che potrebbe apparire a Cannes), la A24 distribuirà tra gli altri Under the Silver Lake di David Robert Mitchell, Good Time dei Safdie, l’acclamato ritorno indie di David Lowery A Ghost Story, How to Talk to Girls at Parties di John Cameron Mitchell, e The Killing of a Sacred Deer di Yorgos Lanthimos. Un’annata che è appena agli inizi e che comunque già si preannuncia come la sua migliore, se possibile.

Soprattutto, la A24 ci regalerà la sua seconda produzione originale dopo Moonlight, ovvero It Comes at Night, l’opera seconda di Trey Edward Shults, di cui aveva distribuito l’opera d’esordio Krisha. Il primo geniale poster e il trailer hanno scatenato più entusiasmo del nuovo film di Sofia Coppola, il cui trailer è stato rilasciato lo stesso giorno. Segno che A24 continua a capire come funzionano le cose là fuori, e certo pubblico in qualche modo pende dalle meraviglie che partorisce.

E chissà se il corto Toru presentato a sorpresa al Sundance non sia l’inizio di una collaborazione coi talentuosi registi Jonathan Minard e Scott Rashap, di cui magari A24 potrebbe produrre il primo film, il (sulla carta) fantastico Archive. E chissà che, dopo aver aperto una sede a Los Angeles, la A24 non si decida anche a tuffarsi seriamente nel mondo della TV, dopo qualche tentativo decisamente minore. Quel che è certo è che l’impero di A24 sembra solo agli inizi…