Achille e la tartaruga – di Takeshi Kitano: recensione in anteprima
Achille e la tartaruga (Akiresu to kame, Giappone, 2008) di Takeshi Kitano; con Takeshi Kitano, Kanako Higuchi, Nao Omori, Kumiko Aso, Ren Osugi, Masatô Ibu, Yûrei Yanagi, Akira Nakao, Mariko Tsutsui, Eri Tokunaga.C’è una scena in Achille e la tartaruga che mette i brividi per i contenuti morali che mette in ballo. Non possiamo raccontarvela,
Achille e la tartaruga (Akiresu to kame, Giappone, 2008) di Takeshi Kitano; con Takeshi Kitano, Kanako Higuchi, Nao Omori, Kumiko Aso, Ren Osugi, Masatô Ibu, Yûrei Yanagi, Akira Nakao, Mariko Tsutsui, Eri Tokunaga.
C’è una scena in Achille e la tartaruga che mette i brividi per i contenuti morali che mette in ballo. Non possiamo raccontarvela, sarebbe uno spoiler che guasterebbe un po’ l’emozione del film, ma basta sapere per ora che tratta del rapporto con l’arte vissuto anche nel momento atroce della morte.
Takeshi Kitano torna al lungometraggio per concludere la sua “trilogia del suicidio artistico”, ma lo fa con una pellicola che rimette in ballo la definizione stessa della trilogia che tutti conoscono. Dopo Takeshis’ e Glory to the Filmmaker!, per chi scrive i suoi film meno riusciti nonostante tentino la carta dell’originalità, ci si aspettava tutto meno che un ritorno ad un cinema come quello di Achille e la tartaruga.
Che però conclude il percorso cominciato da Takeshis’ proprio sulla figura dell’artista Kitano: il regista prende in mano il suo personaggio, il suo cinema, la sua arte e tenta di tirare le fila del discorso. Non con episodi e scenette, ma con un’idea ben precisa e comunque non poco pericolosa, come quella di girare un film dai toni autobiografici che sia anche un po’ la summa del suo pensiero sul cinema, sull’arte e della sua filmografia.
Achille e la tartaruga inizia con una spiegazione del paradosso di Zenone in stile anime. Poi si divide in quattro parti per narrarci la vita di Machisu, che sin da piccolo ha voluto diventare un pittore. Nel tempo però questa professione non sembra portargli fortuna, e intanto attorno a lui la situazione familiare e sentimentale non va affatto benissimo…
Uno stacco netto rispetto ai precedenti due film, ma anche un passo in avanti, piccolo o grande che sia. Che non si dimentica comunque affatto di Takeshis’ e Glory to the Filmmaker!, ma ne recupera in parte in alcuni momenti la follia delirante e la comicità, così come accadeva in Getting Any?: basti vedere la fantastica, geniale scena di Machisu che chiede alla moglie di tenerlo sott’acqua nella vasca da bagno quasi fino al punto di morire, così magari potrebbe avere delle idee per i suoi quadri.
La parabola è sin troppo chiara, si dirà, e anche il fatto che i quadri di Machisu siano (ancora una volta) quelli dello stesso Kitano quasi sfacciato nel discorso della pellicola: ma Achille e la tartatuga è di una semplicità che lascia disarmati. E recupera anche un po’ di Hana-Bi, de L’estate di Kikujiro, in un mix che continua un percorso che ha sempre e comunque trattato di cinema, di vita, di arte e di illusione.
L’arte diventa ossessione, e passa attraverso vari stili e correnti dell’arte contemporanea che Machisu sperimenta per trovare la sua strada (vi ricorda qualcosa?). Il tutto finalizzato a trovare un senso che non si riesce a trovare, forse perché non c’è. Ma la ricerca deve continuare, anche a costo di gesti folli, come nella scena accennata nell’inizio della recensione: forse quello che davvero si sta cercando è un posto nel mondo.
Non è un film perfetto Achille e la tartaruga: nella prima parte la tragedia sembra essere troppo opprimente, ad esempio, sottolineata da una musica onnipresente. Ma ha il coraggio forse un po’ spudorato di interrogarsi, di porsi domande. E, come ai bei tempi, riesce ad affiancare ad un sorriso una sincera lacrima. Ed è così che forse Kitano, dopo un po’ di tempo a questa parte, raggiunse la tartaruga…
Voto Gabriele: 8
Voto Simona: 7
Dal 28 agosto al cinema.