Addio al linguaggio – Adieu au Langage: recensione in anteprima del film di Jean-Luc Godard in concorso a Cannes 2014
Festival di Cannes 2014: un ufo totale. Jean-Luc Godard porta in concorso Adieu au Langage, un’opera-Frankenstein che ragiona sul ruolo del mezzo cinematografico e dello spettatore, sul suo passato e sul suo futuro. Soprattutto ragiona sul presente, ovvero il 3D: che sorprendentemente il regista reinventa…
Coloro a cui manca l’immaginazione si rifugiano nella realtà.
E se Adieu au Langage (Addio al linguaggio) fosse per gli spettatori e la critica di oggi quello che Fino all’ultimo respiro fu per gli spettatori e la critica degli anni 60? Le premesse stanno lì, nella presentazione stessa dell’ultimo film di Jean-Luc Godard, nell’idea del progetto e nel suo titolo: l’addio al linguaggio cinematografico così come lo abbiamo conosciuto finora.
Adieu au Langage come un Fino all’ultimo respiro 2.0, quindi? Andiamo con ordine. 70 minuti secchi e densi, pregni di immagini, concetti, pensieri, monologhi, idee, e molta, moltissima ironia tipica del regista. Adieu au Langage è un ufo totale che costringe lo spettatore a ripensare il suo ruolo e il ruolo del mezzo cinematografico stesso, prima di prendere una posizione vera e propria nei confronti del risultato dell’opera.
In Adieu au Langage vediamo di tutto e di più. Nella stessa inquadratura ci sono un libro che viene sfogliato e uno smartphone touchscreen in cui si “sfogliano” delle immagini. Ci si chiede se sia “possibile produrre un concetto di Africa” o se sia possibile trovare una metafora di verità (forse due bambini che giocano ai dadi?). Si discute sul Pensatore di Rodin e sul concetto di eguaglianza mentre si è in bagno a fare la cacca.
C’è pure spazio anche per un intermezzo in costume con Lord Byron e Mary Shelley, nel periodo in cui la scrittrice sta scrivendo Frankenstein. Adieu au Langage è proprio un film-Frankenstein: assemblato di pezzi dello stesso tipo (l’audiovisivo), ma anche tra loro molto diversi. Nell’era Youtube, infatti, tutti possono fare film e montare delle opere cinematografiche assemblando concettualmente qualunque tipo di materiale audiovisivo.
Così si presenta Adieu au Langage: come un montaggio di spezzoni e scene girati con diversi tipi di videocamere poco costose, che quindi chiunque potrebbe permettersi a livello economico. È la democratizzazione del mezzo, sia in termine di creazione che di friuzione. Il risultato è un film che è un continuo interrompersi e ricominciare, in cui tutto si sovrappone e persino i suoni vengono trattati come le immagini: interrotte, rallentate, velocizzate, distorte.
Però è da sempre che Godard lavora in questo senso, quindi perché ora, oggi, “addio al linguaggio”? In fondo se ci si pensa cos’altro è Adieu au Langage se non la storia di due amanti che si rincorrono, si amano, non si capiscono, si confrontano e hanno opinioni differenti? Per lui è arrivato il momento di avere dei figli, mentre lei non è ancora pronta: meglio prendere un cane! E il cane, Roxy, è il terzo protagonista del film.
Roxy parla, produce pensieri, vuole comunicare le proprie notizie, contempla, vaga per la natura, si fa trascinare dalla corrente di un fiume. Roxy è Godard e Roxy è lo spettatore: non un personaggio come i due umani (“Detesto i personaggi”), che essendo personaggi restano imprigionati tra le immagini, in cerca di un senso. Perché l’esterno lo si può contemplare al massimo “solo attraverso gli occhi di un animale”. Forse i suoi occhi sono puri e incontaminati, mentre gli occhi umani, dopo decenni di cinema e materiale audiovisivo non più.
E quindi: addio al linguaggio per davvero oppure no? Forse Godard crede che ormai il cinema sia questo, ed è diventato così nel corso del tempo. Ma sorprendentemente una risposta per il futuro la dà proprio il regista. C’è ancora la possibilità perdutasi da troppo tempo di ripensare e ricreare i codici, come Fino all’ultimo respiro aveva fatto in primis col montaggio nel 1960.
La possibilità sta proprio nel 3D, che Godard aveva già sperimentato nel suo corto I Tre Disastri di 3x3D. Diciamo subito che la terza dimensione di Adieu au Langage è spesso profondissima, e lascia davvero a bocca aperta soprattutto quando si intuisce che è un 3D nativo.
Se Alfonso Cuaron ha poi finalmente “codificato” il 3D nell’uso migliore, o sicuramente più compiuto fino a oggi, usando i codici della stereoscopia come l’abbiamo vista e vissuta finora in sala, Godard va oltre. In un certo senso fa “ripartire” il 3D su grande schermo, e quello di Adieu au Langage non lo abbiamo davvero mai visto in nessun altro film.
Godard crea per la prima volta nella Storia del cinema la “dissolvenza incrociata 3D”, utilizzata in almeno un paio di occasioni (di cui una a livello narrativo!). Sono due inquadrature 3D sovrapposte, e se si chiude un occhio si può vedere ben nitida una delle due. A primo impatto sembra che sullo schermo appaiano dei fantasmi.
Forse Godard ha calcolato persino queste “apparizioni”: come ha calcolato ad esempio il fatto di non mettere sottotitoli francesi a certe battute pronunciate in inglese e viceversa. Addio al linguaggio? Quello canonico senz’altro, perché abbiamo scoperto che ci sono codici che non abbiamo ancora utilizzato. Benvenuto futuro: firmato un regista che ha fatto la Storia e che ha esordito nel 1960 già cambiandola per sempre.
Voto di Gabriele: 8
Voto di Antonio: 8,5
Adieu au Langage (Francia 2014, sperimentale 70′) di Jean-Luc Godard; con Kamel Abdeli, Dimitri Basil, Zoé Bruneau, Richard Chevallier.