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Alla ricerca di Vivian Maier: Recensione in Anteprima

Storia di un’illustre sconosciuta, Alla ricerca di Vivian Maier offre un intrigante approccio al mistero di una delle più prolifiche fotografe di sempre

pubblicato 15 Aprile 2014 aggiornato 31 Luglio 2020 02:34

È il 21 aprile del 2009. Nei pressi di una panchina si scorge la sagoma di un’anziana signora, di stazza a dire il vero imponente. Nessuno nell’area di Rogers Park, Chicago, conosce il nome di questo strano personaggio, sebbene grossomodo chiunque risieda in zona l’abbia vista almeno una volta: «stava lì, seduta su quella panca, oppure a rovistare tra i cesti dell’immondizia», dirà una ragazza pochi anni dopo. Quanto alla sua identità, nessuno sa niente.

Qualche tempo prima rispetto a questa insufficiente testimonianza, il giovane John Maloof andava trattando un lotto di scatti fotografici. Una collezione sconfinata, tra materiale sviluppato ed altro ancora stipato sotto forma di negativi; trattasi di fotografie alquanto interessanti, opera di un professionista, mica del primo foto-amatore che capita. Tuttavia non si sa chi sia l’autore. Può mai essere che un artista di quel calibro, così prolifico e dotato, non abbia un volto? Come mai tutto quell’accumulo di materiale senza alcuna indicazione, magari una dicitura che dica qualcosa di più su chi ne fosse il vero proprietario?

Da qui parte la ricerca di Maloof, ricerca il cui oggetto di lì a poco assumerà un volto, un nome, un indirizzo: Vivian Maier. Chi è costei? Cosa faceva? Dove viveva? Scoprire questo nome si rivela una ben magra consolazione. Di lei non c’è traccia sulla rete, il che ad oggi rende ardua qualsivoglia indagine. Ma l’ambizioso filmmaker non si arrende e capisce che l’unico modo per risalire alla vera identità di questa donna è raccogliere quanto più materiale possibile. Foto, filmati, appunti, ce n’è a iosa di cose che appartennero a Vivian. Maloof le colleziona tutte (o per lo meno tutte quelle che trova), acquisendo un archivio per cui adesso si sta dovendo servire di un museo quale ausilio per la loro catalogazione. Un lavorone insomma.

Ma la protagonista resta lei, Vivian Maier. O Meier. Mayer. Questi sono i nomi che andava fornendo, che so… alla lavanderia presso la quale lasciava i propri panni sporchi, ad uno studio di sviluppo pellicole. O addirittura ai suoi datori di lavoro. Sì perché il lavoro Vivian era bambinaia e questo ha fatto per tutta la vita. Sono talmente poche e disarticolate le informazioni che si hanno su di lei che questa, insieme alla passione viscerale per la fotografia, rappresentano le uniche certezze in merito a questo particolare essere umano.

L’intuizione di Maloof è più che felice, per quanto semplice e o addirittura ovvia: risalire alla fonte ripercorrendo in ordine sparso il lavoro dell’artista. Ogni foto una storia; ogni storia un riferimento. Tutti indizi di cui il fortunato nonché involontario “erede” di tutto quel malloppo si serve ad uno ad uno, così da venire a contatto con coloro che hanno conosciuto l’autrice.

E Vivian quasi mai è la stessa. A parte pochi, specifici riferimenti, un giorno è francese, il giorno dopo è americana; per alcuni è un amorevole donnona che passa a stento dalle porte, per altri è un’instabile zitella che si diverte a mortificare i bambini che le vengono affidati. Niente da fare: della Vivian “privata” poco è possibile sapere. La sua è una figura a tratti impenetrabile, che quando sembra di aver in qualche modo inquadrato, torna ad essere sfuggente già a partire dall’aneddoto successivo. E ce ne sono di testimonianze. Gente che con lei, a vario titolo, ha avuto a che fare e che già allora non riusciva in alcun modo a farsi un’idea di questa singolare persona, amante della solitudine, ma soprattutto della fotografia. Con quella sua macchina fotografica sempre al collo, pronta a scattare dovunque, in qualunque momento.

Il percorso attraverso il quale ci conduce Maloof è genuinamente intrigante, non solo per la figura in sé. I suoi scatti, quelli della Maier, in qualche modo ci parlano, indicandoci qualcosa. Lei era solita accumulare giornali, attirata dalle storie più assurde e bizzarre che lì venivano pubblicate. Donna senz’altro dotata di una spiccata sensibilità, che per certi versi fa rima con intelligenza, Dio solo sa come Vivian abbia col tempo registrato ciò che le accadeva intorno. Lei che la realtà andava componendola in maniera così fine, abile nell’andare al cuore di ciò che intendeva mostrare. Dal documentario si evince una persona difficilmente impressionabile, curiosissima, che attraverso la sua arte riusciva magari ad esorcizzare (sicuramente ad incanalare) il suo profondo desiderio di stabilire un contatto.

«Io e te siamo amiche», dirà non molto prima di morire ad un’anziana signora per cui aveva lavorato anni e anni prima. Un incontro fortuito, a distanza di troppo tempo per una persona “ordinaria” ma non per Vivian, il cui ricordo di quell’esperienza, nient’affatto semplice, sembrava essere qualcosa di vivo, presente. E dire che, nonostante tale allusione affiori prima, l’idea dell’artista geniale ma pessimo nella gestione dei rapporti interpersonali è un registro che monta in maniera potente solo sul finire. Senza scadere affatto nella banalità, peraltro. Lasciando giustamente irrisolti certi quesiti, come l’assurda pretesa di stabilire se la diretta interessata avrebbe o meno acconsentito a tutto questo clamore; lei che per tutta la sua vita ha custodito così gelosamente, al limite con la paranoia ossessiva, il proprio anonimato.

Alla ricerca di Vivian Maier si preoccupa quasi per l’intera sua durata di tracciare il profilo di un’artista, piluccando qua e là quelle informazioni che possono dirci di più sulla donna. Un modo di procedere organico e che, dunque, per forza di cose, alla fine ricongiunge le due dimensioni in quella summa così straordinaria e atipica che fu Vivian Maier. Oggi che la sua opera è stata scoperta, le mostre ad essa dedicate riempiono i musei, mettendo per una volta d’accordo pubblico e critica circa la portata del lavoro di questa illustre sconosciuta. Un ossimoro, sì. Colpa del mistero, come quello che troppo spesso separa nettamente, e non di rado con violenza, il talento dal successo. E la storia di questa bambinaia né è un abbagliante esempio; di quelli che anzitutto appassionano.

Voto di Antonio: 8

Alla ricerca di Vivian Maier (Finding Vivian Maier, USA, 2013) di John Maloof e Charlie Siskel. Con John Maloof, Mary Ellen Mark, Phil Donahue e Vivian Maier. Nelle nostre sale da giovedì 17 aprile.