Animali fantastici e dove trovarli: un mezzo passo falso per J. K. Rowling e David Yates
Ricco di suggestioni cui però manca la giusta amalgama, Animali fantastici e dove trovarli soffre molto il suo fungere da episodio introduttivo rispetto ad un universo di cui stenta a fornire le giuste coordinate
Oggi in sala esce uno dei film più attesi della stagione. Non universalmente attesi magari, ma al quale senz’altro gli orfani di Harry Potter guardano con un misto di interesse e sospetto, entrambi giustificati. Animali fantastici e dove trovarli è un prodotto tarato per un certo pubblico, concepito e confezionato con cognizione di causa, connotati che non si possono certo negare. Tuttavia questo primo episodio conferma certi limiti, tanto della Rowling quanto di Yates.
La vicenda è incentrata su Newt (Eddie Redmayne), giovane mago che ha deciso di redigere il più completo bestiario esistente, catalogando tutti gli animali più strani e meno conosciuti che si aggirano per il pianeta. Da subito emerge la presenza di un doppio binario che genera più la sensazione di avere a che fare con due film distinti; non una storia con più trame e sottotrame, bensì proprio due soggetti diversi. Da un lato la traccia di queste creature particolarissime, non solo fantastiche ma fantasiose, in alcuni casi irresistibili, come il simil-ornitorinco e la piantina che Newt va scarrozzandosi per la New York degli anni ’20; dall’altro la disputa interna al mondo dei maghi.
New York. Ecco una di quelle componenti che meno convincono, a dispetto di una ricostruzione graficamente sontuosa. Il parallelo con Hogwarts s’impone da sé e va detto che da un simile procedimento la nuova ambientazione ne esce con le ossa rotte: la Grande Mela è un personaggio di questa nuova avventura, ma senz’anima. Più sfondo che altro, ad un certo punto la sua presenza sembra essere giustificato dal semplice desiderio di vederla devastata; il che rappresenta una misura che ha un senso per lo più in termini visivi, laddove la sua esistenza non viene affatto giustificata nell’ottica del racconto. Hogwarts era un personaggio nel senso che con quel luogo avveniva un’interazione costante, organismo vivente senza il quale le peripezie dei tre maghetti sono semplicemente impensabili. Nulla di tutto questo in Animali fantastici, che vive la sua New York come fosse un interscambiabile palcoscenico.
Mi guardo bene dal non riconoscere alla Rowling un’inclinazione notevole al fantastico, e certe sue idee sono effettivamente ammalianti: su tutte la più centrale, ovvero quella di immaginare un mondo all’interno di una valigia, in cui vivono tutti gli animali che Newt ha fin lì collezionato. L’impressione però è che laddove una così felice intuizione abbia un certo peso su carta, su pellicola (consentitemi di utilizzare questa figura retorica oramai desueta) il discorso sia ben diverso. Vuoi o non vuoi le immagini, entro una certa qual misura, tendono ad essere più limitanti delle suggestioni cui danno adito le parole, tanto più in ambito fantasy, quale che sia il segno. Un conto perciò è la forza delle immagini evocate, altro è la forza di quelle prefabbricate, costruite perciò univoche nella loro rappresentazione. In tal senso Yates qualche interessante intuizione ce l’ha, ma si tratta di trovate estemporanee.
La Rowling è dunque esponenzialmente più abile nel forgiare immagini del primo tipo, quelle che attengono alla Letteratura, che le seconde, inerenti al Cinema. Ed è una questione non da poco, perché su questo difficilissimo passaggio sono sfumati e sfumano anche i progetti più promettenti. Come sosteneva Kubrick, non esiste storia scritta che non possa essere filmata, a patto però di avere le idee chiare e una direzione forte. La regia di Yates, per esempio, non aiuta affatto specie nella prima ora o giù di lì; un problema di ritmo per il quale indubbiamente le responsabilità vanno condivise con chi si è occupato del montaggio. Ma davvero, comprendo le difficoltà nell’introdurre un nuovo universo; ok pure che questo primo tassello aveva da essere interlocutorio… però non è accettabile una prima parte così lenta e indisponente.
Ancora meno edificante se si pensa che qui Yates commette l’errore opposto rispetto a quelli commessi negli Harry Potter: lì liquidava momenti chiave senza colpo ferire, qui, al contrario, allunga inutilmente il brodo. Perché, anche a film concluso, non ci si spiega un prologo così blando. Meglio allorché si tratta di ricreare certe situazioni meno ordinarie, come quando Tina e Queenie preparano la cena: ed è tutto un tripudio d’ingredienti che fluttuano, si mescolano e si cucinano, rappresentato in maniera chiara, accattivante.
Il che mi porta a soffermarmi sul nuovo gruppo di protagonisti. Un gruppo a cui manca affiatamento e di cui, a parte Tina, non viene fatto alcun cenno circa i retaggi dei suoi componenti. In Harry Potter era chiaro sin da subito l’interessamento verso i suoi piccoli personaggi, la loro collocazione nell’ambito di quegli eventi, le loro difficoltà e soprattutto il loro trovarsi insieme e condividere il disagio rispetto ad un contesto così schiacciante. Certo, si dirà che l’età in questo senso gioca un ruolo non da poco, ed è vero: più agevole risulta avere a che fare con dei bambini “strappati” alle loro famiglie e posti dinanzi ad una realtà così misteriosa. In Animali fantastici l’artefatta casualità con cui vengono a contatto i quattro protagonisti, unita a questa difficoltà di renderceli interessanti, rappresenta un limite che il film si trascina fino alla fine. Tralasciando oltretutto altri personaggi, come quelli interpretati da Ezra Miller e Colin Farrell: il primo macchietta all’inverosimile, ancor più in relazione al suo sviluppo, il secondo sfuggente ma non nell’accezione di «interessante».
In certi casi non ci sono ricette, ma basta guardare all’elemento che, solo, riesce in qualche modo a risollevare le cose, ovvero l’irrompere delle strane creature. Qui si capisce che tutto il resto è contorno, elementi tutt’al più funzionali a mostrare la straordinarietà di queste bestie, con le loro peculiarità, in alcuni casi davvero adorabili. Malgrado tutto, però, ritengo che un prodotto del genere non possa né debba reggersi sulla telefonata simpatia e tenerezza di alcune creaturine. Anzi, tendo ad avvertire pure una sorta di ricatto, per cui, proprio perché così irresistibilmente deliziose, debbo passar sopra alle criticità sin qui espresse.
Non ho motivo di dubitare della capacità della Rowling di rimettere il tutto in carreggiata nel corso dei successivi episodi, d’altra parte i suoi sono puzzle che respirano alla lunga, che anzi necessitano proprio di questa diluizione. Così per com’è però questo primo capitolo c’introduce ad un mondo tendenzialmente incoerente al proprio interno, un calderone d’idee e storie per lo più autonome l’una rispetto all’altra piuttosto che un universo con delle leggi specifiche e ben amalgamate. Si guardi a Jacob Kowalski (Dan Fogler): tolti gli animali, il personaggio più riuscito. Cosa ad ogni modo ci faccia invischiato in questa diatriba tra maghi ed investigatori non è dato saperlo. Né tantomeno i toni sono quelli epici del Mito, che di solito sbrigano la pratica del prescelto (o dei prescelti) in maniera credibile pur senza bisogno di svelare chissà quale antefatto – così avviene proprio in Harry Potter, per esempio.
Questione di equilibri, insomma, nell’ambito dei quali la Rowling sceneggiatrice fatica a destreggiarsi. Questa mancata compattezza ha delle ripercussioni evidenti sulla resa del film, che non è all’altezza degli addirittura geniali spunti che questo racconto talvolta propone. Non si discute l’ingegno, dunque, ma finanche quando la brava scrittrice s’industria ad iniettare tematiche più sul pezzo, come il discorso sulla «diversità», il suo argomentare appare molto sfocato, il passo incerto. Quasi a voler inserire a forza un tema evidentemente così sentito, da non preoccuparsi di considerare quanto la metafora o quello che è risulti efficace: i ruoli sono infatti così ambigui da impedire un discorso sensato. Certo è che questi maghi nella New York del 1926, buoni o cattivi che siano, sono evidentemente un pericolo per tutti gli altri, ed il film, a forza di strade sventrare ed edifici rasi al suolo, non fa che dar ragione di questa affermazione. Ma è un po’ il leitmotiv di Animali fantastici, ossia questa ambiguità mal calibrata che, anziché dare adito a schemi complessi ma congrui, cela per lo più incertezza. E no, purtroppo lo spettacolo non basta.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”5″ layout=”left”]
Animali Fantastici e Dove Trovarli (Fantastic Beasts and Where To Find Them, USA/Regno Unito, 2016) di David Yates. Con Ezra Miller, Eddie Redmayne, Colin Farrell, Ron Perlman, Jon Voight, Samantha Morton, Gemma Chan, Katherine Waterston, Carmen Ejogo, Dan Fogler, Christine Marzano, Lasco Atkins, Alison Sudol, Peter Breitmayer, Jenn Murray, Lucie Pohl, Jason Newell. Nelle nostre sale da giovedì 17 novembre.