Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie: Recensione in Anteprima
In un mondo in cui l’umanità è quasi scomparsa, le scimmie cominciano gradatamente a sviluppare la propria civiltà. È l’inizio del lungo processo che porterà alla supremazia di quest’ultima specie quello narrato in Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie
Sono trascorsi «dieci inverni» dalla quasi totale estinzione del genere umano; salvo un esiguo numero di persone, geneticamente immuni al virus delle scimmie, l’umanità è stata pressoché cancellata. È questa, come recita il titolo originale del film (Dawn of the Planet of the Apes), la vera Alba per le scimmie, non quella mostrata nel fortunato film del 2011. Dopo all’incirca quindici anni dagli eventi di San Francisco, quando Cesare e le altre scimmie ripiegarono nella foresta, la comunità di questa razza ha registrato uno sviluppo notevole.
Le vicende di Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie si aprono e chiudono proprio sul carismatico leader, traghettatore della sua specie dalla cattività di zoo e laboratori alla lenta ma inesorabile formazione di una vera e propria civiltà. Non prima chiaramente di averci sinteticamente illustrato quanto avvenuto tra L’alba del Pianeta delle scimmie e questo sequel del prequel, a mo’ di reportage giornalistico che illustra molto rapidamente il diffondersi del virus che ha decimato la popolazione mondiale. Tutti passaggi che ci condurranno al terza, telefonata incarnazione: nel primo gli umani soverchiano le scimmie; in questo il rapporto pare essere grossomodo di 1 a 1; nel terzo, presumibilmente, verrà portato a termine il processo di conquista del pianeta.
Checché se ne dica in merito alla sua efficacia, questa saga, in linea col genere d’appartenenza, si prefigge ancora una volta di stimolare un dibattito che tocchi l’attualità più viva. Il fil rouge che legava Rise of the Planet of the Apes era evidentemente quello di stampo ecologista, mentre qui pare emergere in maniera seppur meno netta l’annosa questione “razziale”: è possibile una convivenza pacifica tra due o più razze diverse sotto lo stesso tetto? Parliamo di fantascienza, dunque il concetto di razza, grazie al cielo superato, va trasposto nella nostra realtà in termini di culture e/o popolazioni. Gli autori di Apes Revolution intendono rimanere sul pezzo, opponendo una civiltà nascente ad una oramai in decadenza, mentre prova a rialzarsi dall’onda d’urto che l’ha travolta.
Diciamo che in tal senso è di gran lunga più apprezzabile lo sforzo nel far emergere simili questioni, mentre a livello di scrittura non si segnalano particolari rischi. Nel film lo scontro tra scimmie e uomini è costantemente vissuto come inevitabile non tanto perché una razza superiore all’altra, quanto perché la natura di entrambe resta fortemente segnata dalla violenza. Sia da un lato che dall’altro la risposta più spontanea al confronto è la soppressione del “nemico” quale fonte anzitutto di paura; nella misura in cui l’uno vive l’altro come una minaccia l’ovvio corollario è la guerra. Lezione di storia a suo modo banale, ma che ci rende ancora più persuasi circa la connotazione ancora una volta politica degli eventi raccontati.
In fin dei conti i due gruppi che si contendono l’egemonia sul pianeta entrano in guerra, come sempre accade, per via di avvenimenti specifici, frutto a loro volta di un accumulo di situazioni pregresse. Guerra di cui, per intenderci, non ne scorgiamo che le avvisaglie in questo capitolo. La vendetta quale catalizzatore dello svolgersi narrativo, che di fatto procede ed è segnato nei suoi punti chiave da circostanze segnate dalla brama di restituire uno o più torti subiti. È questa la componente pregnante dell’intero film, a cui la trama è totalmente asservita, tanto da limitarsi, quest’ultima, ad un format visto e rivisto. Un modello le cui dinamiche non sorprendono, perché in fondo non serve essere chissà quanto smaliziati per anticipare la piega successiva con almeno un passaggio d’anticipo.
E qui giungiamo all’altro elemento essenziale del film, anch’esso discretamente subordinato al leitmotiv di cui sopra: la tecnica. Come nel caso del prequel uscito nel 2011, su questo fronte il lavoro della WETA di Letteri e Lemmon pone l’opera su livelli decisamente alti. Altra storia rispetto all’altrettanto performante CGI à la Bay e soci, perché qui non è tanto la spettacolarità a farla da padrone quanto la verosimiglianza. Parliamo di un film, Apes Revolution, in cui il ricorso alla computer grafica è notevolissimo, per cui cedere limitatamente a tale aspetto avrebbe significato vanificare l’intero progetto. Ed invece quello che ci troviamo dinanzi è un contesto dove l’ampio uso di effetti speciali si nota appena, e per lo più nelle fasi che si vogliono maggiormente movimentate. Perciò bene, anzi meglio.
Sì perché a dire il vero impressionante è l’uso del motion capture, che tocca qui vette ineguagliate, per via non solo di un dettaglio eccezionale ma anche di una fisica oltremodo dignitosa. Movenze ed espressioni facciali vengono bene integrate al contesto, sebbene la speranza è che si sia solo all’inizio di un lungo processo in cui la CGI verrà completamente addomesticata, diventando parte di un linguaggio (o essa stessa linguaggio) inedito nell’ambito del medium cinematografico – traguardo alla portata ma ancora lontano, film d’animazione a parte. Sta di fatto che tale veste assume un ruolo predominante, risultato che ad alcuni potrà lusingare mentre ad altri infastidire. Anche perché, come già evidenziato, non è la sceneggiatura ad imporsi nell’economia del tutto.
Azione incalzante solo nell’ultima fase, quando la struttura narrativa converge verso quei canali aperti all’inizio e che man mano vanno sempre più restringendosi. Cesare, che ha sviluppato un forte senso di responsabilità verso la propria specie, ma in particolare verso la propria famiglia, deve poco alla volta ricredersi, mantenendo la sua posizione di eroe così per come ci è stata trasmessa nel corso dell’intera saga; tanto che l’epilogo non farà che confermare le sue contrastanti emozioni/sensazioni di cui alle prime battute del film. Gli uomini, dal canto loro, sono palesemente dei comprimari, ad eccezione del solo Malcom, unico contatto con quella razza di cui la desolata e devastata San Francisco ne è l’emblema. Tuttavia il gioco delle sfumature viene in qualche modo tenuto in vita, perciò, sebbene in maniera prevedibile, non tutto è bianco o nero. Guardandolo capirete perché.
Apes Revolution si mostra dunque come un prodotto ben calibrato, che a dispetto di certi limiti trova anche un suo equilibrio. Intrattiene e lo fa con gusto, ammiccando in direzione dei più scafati tecnicamente parlando, senza però dimenticare affatto un pubblico ben più eterogeneo. Non è fantascienza dal respiro così ampio come dall’altra parte dell’Oceano in tanti, quasi tutti, vorrebbero farci credere, pur soffermandosi per lo più sulla sua propensione all’action, però… Ben girato, anche con qualche piccolo virtuosismo, non eccede in profondità proprio affinché più gente possibile possa salirci sopra e godersi lo spettacolo; concedendosi peraltro qualche estemporanea e genuina parentesi che chiama un sorriso laddove non proprio un risata. E al netto dei sempre ineludibili compromessi, Matt Reeves riesce a barcamenarsi piuttosto bene; forse addirittura meglio del collega Wyatt. D’altronde la guerra è appena cominciata.
Voto di Antonio: 7
Voto di Federico: 7.5
Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie (Dawn of the Planet of the Apes, USA, 2014) di Matt Reeves. Con Andy Serkis, Jason Clarke, Gary Oldman, Keri Russell, Toby Kebbell, Judy Greer, Kodi Smit-McPhee, Kirk Acevedo, Angela Kerecz, Kevin Rankin, Keir O’Donnell, Terry Notary, Larramie Doc Shaw, Enrique Murciano, J.D. Evermore, Karin Konoval, Christopher Berry, Steven Wiig, John L. Armijo e Lombardo Boyar. Nelle nostre sale da mercoledì 30 luglio.