Home Curiosità L’arrivo del treno dei fratelli Lumière, girato nel 1896, da oggi in 4K a 60fps

L’arrivo del treno dei fratelli Lumière, girato nel 1896, da oggi in 4K a 60fps

Il celebre filmato di Auguste e Louis Lumière per la prima volta in 4K e a 60 frame per secondo grazie alla machine learning

pubblicato 6 Febbraio 2020 aggiornato 29 Luglio 2020 13:49


(Clicca sull’immagine per guardare il video)

Partiamo dalla notizia. Un tale di nome Denis Shiryaev ha avuto un’intuizione, ossia prendere uno dei primi filmati di sempre, L’Arrivée d’un train en gare de La Ciotat (L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat), nonché uno dei più iconici, girato dai fratelli Lumière presso le Bocche del Rodano, e trasformarlo in un video in 4K. Non solo, perché, mentre che c’era, ha pensato bene di portare i frame per secondo a 60.

Tecnicamente Shiryaev ha operato un upscaling, ossia un incremento di pixel rispetto alla fonte originale, lavorando inoltre sulla fluidità dell’immagine, aumentando in questo caso il numero di frame. Per riuscirci si è servito di due programmi, ossia Gigapixel AI e DAIN, rispetto al cui funzionamento il sito Engadget offre una comprensibile spiegazione, alla quale vi rimandiamo.

Resta il fatto che l’idea di Shiryaev desta meraviglia e preoccupazione al contempo. Si guardi al risultato: è come se qualcuno avesse tirato fuori il proprio smartphone ed avesse girato sul posto il video. Come viene fatto a ragion veduta notare, vi sono delle imperfezioni, gli algoritmi alla base dei due programmi in grado di conseguire un effetto sì stupefacente ma ancora posticcio. La domanda, o per meglio dire, le domande, restano in capo alle possibili, future applicazioni.

In epoca di apprendimento profondo (deep learning), branca del più vasto fenomeno di apprendimento automatico (machine learning), strumenti come la rete neurale convoluzionale (CNN, abbreviazione di convolutional neural network) hanno già aperto una voragine rispetto a ciò che è già possibile non soltanto fare ma concepire di fare in relazione alle immagini. Nel caso specifico, uno dei campi d’applicazione più immediato potrebbe essere quello di un rifacimento profondo, oserei dire strutturale, di intere filmografie inerenti ai primi decenni del ‘900.

Il punto è che tale operazione verrebbe gestita in larga parte, se non quasi in toto, dall’intelligenza artificiale, il cui contributo non si limiterebbe a mero strumento – basti leggere con un po’ più d’attenzione fino a che punto l’intervento in casi del genere diventa invasivo, con gli alrgoritmi a cui viene affidato pressoché l’intero processo di ricostruzione.

Mi fermo qui sulla componente tecnica, anche perché temo di non essere attualmente in grado di proseguire senza sproloquiare. Prima di congedarmi, tuttavia, mi pare opportuno dare ragione circa il perché ritengo le possibilità a cui dà adito la tecnologia in questione capace di destare meraviglia e preoccupazione al contempo. Non deve sorprendere una reazione apparentemente così contraddittoria, la quale, al contrario, mi pare la più sensata, oltre che sana, alla luce di uno stravolgimento epocale quale quello che si sta venendo a configurare.

Il futuro delle immagini pensato e preparato dall’uomo è affidato alle macchine, il che, al di là di ogni prospettiva vagamente fantascientifica, dice molto per lo più in ambito scientifico, con riferimento alla potenza di calcolo che oramai abbiamo a disposizione, tale da portare a termini processi di una complessità incredibile. Ma cosa significa tutto ciò per la nostra cultura? Quali le concrete ripercussioni? Queste a mio parere, per quanto generiche, sono le giuste domande. In un mondo in cui, oramai da secoli, vedere è credere (ma per quanto ancora?), lo statuto di realtà, verosimiglianza e verità, concetti di per sé diversi tra loro, fino a che punto potrebbero risentire a fronte di quello che non lesino a definire un vero e proprio spostamento di asse?

Andrebbero interpellati neurologi, psichiatri ma anche filosofi e (perché no?) teologi a riguardo. Vedere e conoscere, nella nostra cultura, sempre meno occidentale e sempre più globale, contemplano un significato vieppù sovrapponibile; risulta perciò capitale, in un contesto i cui anticorpi sembrano funzionare nell’ottica di espellere qualsivoglia astrazione, incoraggiando perciò a disimparare/disapprendere una delle facoltà su cui l’uomo ha costruito sé stesso e ciò che lo circonda, interrogarsi senza posa sulla portata di tale fenomeno. Non tanto per evitare che si concretizzi, quanto per adottare le misure atte a prevenire quegli effetti negativi che potrebbe portare in dote (diciamoci pure possibilisti, ok, anche se francamente non ho dubbi che non siano tutte rose e fiori).