Atlantis Down: trailer del film di fantascienza e intervista con il regista Max Bartoli
Il regista italiano Max Bartoli racconta a Cineblog il suo ultimo film: Atlantis Down
Oggi Cineblog lascia uno spazio a Max Bartoli, un regista italiano emigrato negli Stati Uniti dove ha recentemente girato il film di fantascienza Atlantis Down. Vi spiego la trama e poi vi lascio all’intervista: Siamo nel 2025, il Programma Shuttle è stato privatizzato e la navetta Atlantis è stata trasformata in un taxi che trasporta personale militare e scientifico. Durante una missione di routine la nave incontra due lampi di luce accecante. L’equipaggio cerca di riparare il danno ma improvvisamente si trovano in luogo sconosciuto. Lentamente cominciano a rendersi conto che sono stati scelti per giocare una specie di partita a scacchi dove in gioco ci sono le loro vite. Chi è il loro avversario? Perché sono stati scelti?
Ciao Max, parlaci un po’ di te
Ho 41 anni e sono laureato in legge. Al terzo anno, dopo 23 esami, mi sono accorto che non era esattamente quello che volevo fare nella vita; così ho finito la scuola e sono andato in Inghilterra per fare il produttore. Lì ho lavorato con un amico nella sua società di produzione e ho cominciato ad aiutarlo in video, commercial, cose del genere. Nel 2003 ho iniziato a collaborare con clienti italiani su lavori in pubblicità fino al 2005 con grosse società anche istituzionali. A quel punto volevo vedere se ero in grado di dirigere, avevo già fatto il regista per alcuni spot e video ma volevo avvicinarmi al cinema, così ho fatto un corto.
Ignotus…
Sì, qui ho fortunatamente utilizzato quello che avevo imparato. Mi dicevano che non si poteva fare un corto come volevo io; con 85 costumi, scene medievali, combattimenti, cavalli etc… con il budget che avevo. E invece alla fine l’ho fatto con quei soldi anche perché erano gli unici che avevo! Il corto è stato messo sul mercato, ha vinto 25 premi a livello internazionale e, aldilà dei premi, mi ha aperto i tombini (non le porte, i tombini!) ad Hollywood. Nel 2007 mi sono trasferito a Los Angeles cercando di inventarmi una strada. Per un anno ho cercato di capire come funzionasse il sistema e nel 2008 abbiamo iniziato a scrivere la stesura di un film finanziato da un fondo di investimento. Ad ottobre 2008 vengo a sapere che il fondo non esiste più.
Ah. Quindi che è successo?
A quel punto ho deciso di fare qualche telefonata e di dirigere e produrre il film, Atlantis Down, con un budget inferiore. E in 11 mesi abbiamo fatto tutto, passando da un budget di 12 milioni di dollari ad 1 milione. Le riprese sono durate 13 giorni con ritmi allucinanti e, visto il budget limitato, mi sono portato dall’Italia aiuto, scenografia, montaggio, costumi e storyboard perché sono persone con cui lavoro da anni, ci conosciamo bene e sapevo che su di loro potevo fare affidamento. Le altri parti della troupe venivano dalla Virginia e da Los Angeles.
E poi?
Il film è stato presentato al Chinese Theatre di Hollywood lo scorso 20 febbraio e il 29 aprile all’Apollo Cinema di Londra. Tra l’altro quel giorno c’era il matrimonio reale di Kate e William quindi pensavo fossimo solo in tre, io e due amici… e invece, non so come, abbiamo riempito il 90% della sala. Con mia grande sorpresa vedevo gente entrare e chiedere biglietti per Atlantis Down…
Ed è piaciuto?
Pare proprio di si. E’ un film particolare perché non è la tipica americanata di mostri o disastri. Primo perché sono italiano e questo mi dà un approccio diverso e poi perché non c’erano gli strumenti finanziari per fare mostri o disastri! Ho cercato di dare al film un po’ di spessore dove tutto si spiega alla fine e dove occorre far lavorare un po’ il cervello per cercare di capire cosa succede.
Il film è girato in studio?
8 location e 6 set. Mi sono preso un palazzo di quattro piani in Virginia e me lo sono usato tutto. I set erano lì dentro.
Qual è stata la difficoltà maggiore nel realizzare il film?
Girare 90 minuti in 13 giorni non è facile. Tu sai che devi girare senza rete, senza margine di errore. Di solito quando giri in quattro settimane ci sono diverse fasi: la prima settimana si chiama Paradise Week dove tutti si conoscono, sono tutti contenti e blablabla, la seconda è normale mentre le ultime due sono The Hell, l’Inferno… dove nessuno si sopporta più. In 13 giorni non hai tempo per correggere niente, io ho dovuto fare 6 mesi di preparazione, non ho potuto improvvisare niente. Bisognava essere preparati perché i soldi erano quelli e devi avere meno imprevisti possibile, anche perché gli imprevisti ci sono sempre e comunque.
In Italia questo film non poteva nascere?
No, in Italia sappiamo fare il cinema ma pochissimi ci danno la possibilità. Io in 11 mesi ho fatto tutto: dalla scrittura al finanziamento alle riprese. In Italia stavo ancora lì a bussare alle porte.
In Italia pensi sia un problema di distribuzione o cosa?
Un problema di sistema. Ci sono due modi diversi di vedere il cinema: l’America rappresenta un estremo e l’Europa, in particolare l’Italia, è l’altro. Già in Francia il sistema funziona. Lì il sistema produce e si rigenera, in Italia si investe senza criterio e alla fine i film non vanno da nessuna parte. E le storie non vengono viste da nessuno. Il cinema è arte e cultura ma deve essere visto. Lorenzo de’ Medici non faceva fare le opere d’arte per tenerle in cantina ma per esporle. I film devono essere inseriti in una distribuzione no?
Atlantis Down sarà distribuito in America?
Sì, ho firmato con un distributore che adesso si occuperà di questo settore.
E in Italia?
Vedremo, ora andiamo a Cannes per il mercato dove siamo rappresentati dal nostro distributore. Lì presenteremo il prossimo progetto: una specie di caccia al tesoro, tra Indiana Jones e Templari, tutto ambientato a Roma, Nome in codice Oracolo.
Con quali attori ti piacerebbe lavorare?
Mi piace lavorare con tutti: la lista sarebbe lunga due chilometri! Vorrei lavorare con Jennifer Connelly, Matthew McConaughey o Mark Wahlberg… gli sto andando dietro per il prossimo film. Sicuramente lavorerò ancora con Michael Rooker perché è diventato un amico ed è un attore incredibilmente versatile. A me va di lavorare con gente di talento, che sia famosa o meno. Perché più gente di talento ho, più riescono a compensare i miei limiti.
E di attori italiani?
Di bravi ce ne sono tanti, mi piacerebbe lavorare con Favino, con Lo Cascio, con Bova. Il bello di questo lavoro è che tu racconti delle storie, è un’espressione artistica. E’ sbagliato secondo me affrontare questo lavoro dicendo “Ah il cinema è arte!”, il cinema può essere arte dopo ma tu non parti dicendo “Faccio un’opera d’arte”, tu racconti solo una storia, poi non spetta a te decidere se è un’opera d’arte, lo devono decidere gli altri. In questi termini a me interessa raccontare delle storie belle e mi farebbe piacere raccontare delle storie italiane vendibili all’estero. Il problema del nostro cinema è che spesso raccontiamo delle storie che rimangono confinate all’Italia. Dovremmo fare dei film in inglese o con più lingue…
Film preferiti?
Vuoi la lista lunga o quella corta? Ce ne sono tantissimi. Da La corazzata Potëmkin a Quarto Potere che sono due capolavori e Il Settimo Sigillo e altri, se andiamo a vedere gli ultimi 30 anni… tra Scorsese, Eastwood, Ron Howard, Lynch, Spielberg…
Ma non hai un film del cuore che magari rivedi spesso?
Uno che mi piace particolarmente è Braveheart; non condivido ovviamente le sue sparate razziste ma come artista e come regista l’ho sempre ammirato molto.
Ringrazio Max per la disponibilità, vi ricordo il cast di Atlantis Down: Tony Ware, Travis Quentin Young, Darla Grese, Greg Travis, Mae Flores, Dean Haglund, Kera O’Bryon e Michael Rooker e vi linko il sito ufficiale. Il film è scritto da Max Bartoli, Doug Burch e Sam Ingraffia. Qui potete vedere il trailer ufficiale in lingua inglese.
Update 13 maggio: Max Bartoli mi spedisce questo messaggio per rispondere ai vostri commenti. Ve lo copio:
Salve,
Ho letto i commenti postati a seguito dell’intervista che avevo rilasciato a Cineblog e vorrei replicare ad alcuni di essi, cogliendo l’occasione anche per alcune precisazioni d’obbligo.
Iniziamo da queste ultime. Atlantis Down non è costato un milione di dollari, ma meno di cento mila. L’unica ragione per cui pubblicamente è’ stato deciso di inserire su IMDB la cifra di un milione è per ragioni commerciali (il film vale questo in termini produttivi). Io faccio il regista e il produttore e NON il distributore e di conseguenza non sono responsabile delle strategie commerciali adottate.A chi mi ha giudicato un “mero raccomandato” rispondo semplicemente facendo presente che gli Stati Uniti d’America non sono – PER FORTUNA – l’Italia, dove i raccomandati vanno tanto di moda. Dalle mie parti, a meno che tu non faccia di cognome Coppola, Spielberg o Lucas (ed io faccio Bartoli), il concetto di raccomandazione non esiste. Se qualcuno ti da’ dei soldi, lo fa perchè tu lo hai saputo convincere ed in genere, a meno che ancora non crediate a Babbo Natale, la gente i soldi li rivuole indietro; il che significa che se produci qualcosa non di non vendibile, i soldi non li puoi restituire e smetti di lavorare.
Il sottoscritto e’ arrivato negli USA da totale outsider e nel giro di tre anni ha scritto due film e una serie televisiva, ha trovato finanziatori per realizzare uno dei due film e la serie TV che è stata e messa in onda da un’emittente americana. Se il mio film e’ stato presentato al Chinese Theater di Hollywood e all’Apollo Theatre a Londra non e’ stato perche’ sono un “raccomandato”, ma perche’ forse a qualcuno il prodotto e’ piaciuto; il film ha trovato una distribuzione solida nel giro di due mesi; certo non e’ la Lionsgate, ma e’ pur sempre una societa’ molto solida nel settore. Ogni film ha una sua audience, ma probabilmente anche questo e’ successo perche’ ero “ raccomandato”.
Tutto questo non fa di me una star, ne’ un esempio, ma se chi ha commentato con tanta facilità che sono un raccomandato pensa di fare molto meglio in Italia e/o all’estero, me lo faccia sapere, sarò piu’ che felice di fargli i miei complimenti di persona. Se le stesse persone ritengono poi di essere in grado di poter girare un film complesso come questo (che non hanno ancora visto) in 13 giorni, con una troupe di 50 persone, usando 8 locations, 6 sets e 225 CGI shots e con il mio budget, sarò ben felici di rimborsarle del budget speso dopo aver visionato il prodotto finito.
Con gli amici della Lionsgate ho avuto il piacere di parlare personalmente e da loro ho ricevuto complimenti per il film (CHE LORO HANNO VISTO NELLA SUA INTEREZZA !), sia per la qualita’ espressa con il budget a disposizione sia per il modello di business usato per realizzare il film. Chi vuole citare gli articoli e le strategie della Lionsgate, dovrebbe anche cercare di studiare l’industria un pochino di piu’ perche’ le informazioni che ci arrivano dalla stampa devono essere contestualizzate.
E, last but not least, premesso che chiunque voglia fare questo lavoro (quello di regista e/o produttore) sa di non poter accontentare tutti e deve essere pronto ad accettare ogni commento e/o critica, ho personalmente trovato imbarazzante, gratuita e anche offensiva la facilita’ con cui alcuni di voi hanno fatto commenti, non tanto sulla qualita’ del trailer (che preciso non ho montato io ma il distributore senza la mia approvazione… che non avrebbe mai avuto), ma sulla qualità professionale del team da me usato. Ma come vi permettete di sparare giudizi su chi ha realizzato un prodotto soltanto sulla base di un trailer? L’articolo era su di me e, in qualità di regista, sono l’unico responsabile del successo e/o insuccesso del mio film. Se avete commenti fateli su di me e non sul mio team, tanto più che non avete alcun elemento per poter esprimere un giudizio di merito su di loro.
Ringraziandovi per la cortese attenzione prestatami
Distinti saluti
Max Bartoli