Ave, Cesare!: recensione in anteprima del film dei fratelli Coen
Film citazionista ma non per questo “cinefilo”, Ave, Cesare! dei fratelli Coen opta per un approccio diverso rispetto a Barton Fink, più diretto diciamo, pur soffermandosi sulla Hollywood classica. Un humor meno sofisticato rispetto ad altre volte, ma non per questo meno pungente e stimolante
[quote layout=”big” cite=”Voce narrante]Le storie iniziano. Le storie finiscono.[/quote]
Partiamo dall’aforisma che in pratica apre A Serious Man, uno dei film più coeniani in circolazione, e per questo frainteso, o quantomeno poco apprezzato: «Ricevi con semplicità tutto ciò che ti accade» (Rashi). Una frase, questa, che è sintesi quasi perfetta dell’opera dei Coen, così ancorata all’esistenza senza per forza riversarsi in alcun esistenzialismo. Semplicemente, i due cineasti di St. Louis Park sono da sempre attratti dall’assurdità di ciò che accade, e di fronte al «caso», la «Provvidenza», la «sorte», il «destino» e chi più ne ha più ne metta, la loro risposta non è la ribellione bensì l’accettazione, con l’umorismo che ne deriva. Nero, s’intende, l’umorismo in questione non può che essere nero.
Dapprima tale premura viene declinata al noir, facendo proprio un linguaggio cinematografico specifico, veicolando perciò attraverso il genere questa loro tensione verso l’inspiegabile, già a partire da Blood Simple, debutto indipendente del duo. Qui incappiamo in un primo spunto, incarnato in quella che sembra una rottura mentre, a parere di chi scrive, pare un ovvio, organico sviluppo. Eddie Mannix (Josh Brolin) è a capo dei Capitol Studios, che nella Hollywood di inizio anni ’50 è impegnata in tutta una serie di produzioni, che spaziano dal western (Luna lazzarona) alla commedia, passando per il film drammatico (Beati balliamo). Ce n’è una però che sta più a cuore a Mannix, un tipo di produzione che di lì a poco avrebbe spopolato, ovvero i film incentrati su pagine della Bibbia.
Ave, Cesare! è la storia del Cristo, vista attraverso gli occhi di uno spavaldo centurione romano (George Clooney) che alla fine si converte. Ma come comincia Ave, Cesare! (il film dei Coen, non il film nel film)? Come un noir, con Mannix sulle tracce di una star che si sta facendo fare delle foto osé dentro uno squallido appartamentino di periferia; quasi fosse un investigatore privato, voce narrante che lo introduce, il nostro è assorto nei suoi pensieri dentro l’auto, mentre l’inquadratura lo ritrae intento a contemplare l’appartamento illuminato in cui di lì a poco irromperà. Solo che lui non è un investigatore, e quello non è un caso. Succede anche poco più avanti, quando Baird Whitlock (Clooney) viene rapito da un gruppo di sceneggiatori comunisti; tutto predisposto affinché questa divenga la traccia del film, ossia scoprire l’identità dei rapitori. Nulla da fare. Il “mistero” viene svelato praticamente subito.In questo loro negarci un genere, i Coen si pongono in netta distanza da chi i loro film li ha voluti racchiudere dentro ad uno in particolare. Ave, Cesare!, semmai, reitera una verità chiara da tempo ma che non Fratello, dove sei? si è manifestata in tutta la sua magnificenza: non c’è modo migliore di dar ragione di una storia, qualunque storia, se non mediante il ricorso alla mitologia. Lì l’opera di Omero, in A Serious Man il Libro di Giobbe. Senza contare il remake de Il grinta, western puro, così come altri elementi afferenti al genere riscontrabili altrove (il cowboy che funge da voce narrante ne Il grande Lebowski).
Laddove però nella vicenda che che vede coinvolto Mannix alle prese con attori, registi, giornalisti ed emittenti, la realtà del film si dimena, sfuggendo alle etichette, i Coen inseriscono qua e là interi spezzoni di film che conosciamo, che abbiamo visto, servendosi di personaggi che rimandano ad altri, anch’essi reali. Film che, ça va sans dire, sono strettamente confinati al genere. Facendo un po’ il verso a Trumbo, dato che, tra le varie storie, Ave, Cesare! contiene anche quella su cui è incentrato il film di Jay Roach, solo che questo è territorio dei Coen, perciò i comunisti sono un manipolo di sceneggiatori in balia di un filosofo tedesco (Herbert Marcuse) e delle sue strampalate teorie di stampo marxista, enfatizzate e perciò stesso distrutte dal più iconico dei motivetti del coro dell’Armata Rossa – il cui ritmo ricalca lo stesso del film peraltro, in crescendo.
Ave, Cesare! si sostanzia in un continuo entra-ed-esci dalla patinata finzione delle produzioni blasonate à la Million Dollar Mermaid (La ninfa degli antipodi), con una scontrosa, viziata e sboccata parodia di Esther Williams, o à la Un giorno a New York, con un brillante Gene Kelly ballerino. La mitologia in questione è perciò quella hollywoodiana, la stessa che ha svezzato i Coen così come tutta l’America di quel periodo. Un periodo letto ed ispirato dall’afflato postmoderno e metacinematografico di due cineasti piombati nell’industria per dissacrare tutto ciò che la loro cultura ha di più caro. Poco sopra parlavamo di ribellione, lasciando intendere che un simile atteggiamento non appartenga ai Coen. Tocca aggiustare il tiro. Non si equivochi infatti il garbo e la posatezza di questi figli del Minnesota, il loro distacco, per indifferenza, se non addirittura superiorità; d’altronde «mantenersi un uno stato di rivolta richiede buon umore», diceva Chesterton.
La commedia perciò diventa fonte d’ispirazione anche stavolta, senza lasciarsi però limitare da essa. Nel caso dei Coen, infatti, la commedia è l’unico genere che davvero s’impone, malgrado essi stessi, il che non deve destare sospetto se è vero, come faceva notare Howard Hawks, che «è molto più facile fare della commedia se non si inizia il film cercando di essere divertenti». E, per quanto possa contrariare qualcuno, i Coen non si sforzano affatto di esserlo: bastano i loro personaggi e le situazioni in cui incappano. Anche qui, come altrove nella loro filmografia, certi stilemi vengono reiterati, segno di una voce oramai matura, che da tempo non accetta compromessi. Come il loro saper fare anche cinema popolare, si guardi alla scena-barzelletta in cui un rabbino ebreo, un prete cattolico, un pope ortodosso ed un pastore protestante vengono riuniti allo stesso tavolo per discutere sulla liceità della sceneggiatura del film.
Difatti, anche qui aleggia sulle teste dei protagonisti quell’ineluttabilità che è matrice di ogni storia dei Coen, per cui non sono loro a prendersi gioco di questi poveri personaggi, bensì quella forza che tutti li sovrasta, rendendo vano il loro affannarsi nel tentativo di rimediare alle rispettive situazioni. In Ave, Cesare! molti, ma soprattutto Mannix, guardano costantemente l’orologio, ed i Coen non lesinano di mostrarci il dettaglio dell’ora: hanno fretta, perché scappano da qualcuno o inseguono qualcosa. Ciò che li rende credibili è proprio questo loro incessante desiderare, il loro anelare a qualcosa, che non viene mai meno. Si tratta di una costante nei film dei Coen, nonché la componente che più di ogni altra ha sempre fatto la differenza tra il mero nonsense ed uno invece più “controllato”, accessibile.
Hollywood è solo un altro dei tanti palcoscenici di cui i due si sono serviti, rispettandolo, finanche celebrandolo, poiché Ave, Cesare! è infarcito di citazionismo neutro, né nostalgico né troppo irriverente. Cedendo volentieri a quel regionalismo che ciclicamente ritorna nei loro film, perché in fondo anche l’industria dorata è provincia, se non addirittura provinciale. Popolato da persone, uomini e donne, che non sanno darsi pace, chi per un motivo chi per un altro. L’invito perciò ad accettare ogni cosa con semplicità non può che rappresentare l’ennesimo, sofisticato joke dei Coen: comunque tu ti ponga, cambia poco. L’ambiguità non viene meno neanche stavolta però, quasi che il loro fosse un becero fatalismo da quattro soldi. Storie inizieranno, storie finiranno. E Mannix continuerà a scrivere la sua servendosi di quella «luce eterna» che per un attimo sembrava essere venuta meno.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
Ave, Cesare! (Hail, Caesar!, USA, 2016) di Joel ed Ethan Coen. Con George Clooney, Josh Brolin, Channing Tatum, Ralph Fiennes, Tilda Swinton, Scarlett Johansson, Jonah Hill, Alden Ehrenreich, Frances McDormand, Christopher Lambert, Patrick Fischler, David Krumholtz, Fisher Stevens, Clancy Brown, Emily Beecham e Dolph Lundgren. Nelle nostre sale da giovedì 10 marzo.