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Cannes 2019, Bacurau, recensione: cinema emancipato per un Brasile arrabbiato

Festival di Cannes 2019: distopia pecualiare quella di Mendonça Filho e Dornelles, registro attraverso il quale leggere il sociale

pubblicato 16 Maggio 2019 aggiornato 29 Luglio 2020 19:20

C’è un villaggio che, a un certo punto, non si trova più su alcuna mappa. È Bacurau, una quarantina di anime, qualche animale ed una situazione apparentemente indecifrabile. Quando arriva la bella Teresa (Barbara Colen) tutti stanno piangendo la morte di una delle due donne più anziane; l’altra è Donna Domingas (Sonia Braga), che sbraita accusando tutti preventivamente, poiché convinta che, quando toccherà a lei, non ci sarà tutto ‘sto gran rumore.

Kleber Mendonça Filho e Juliano Dornelles se la rischiano eccome, infarcendo Bacurau di così tante cose che lì per lì, se non addirittura indigesto, può per lo meno stordire. Non è infatti agevole barcamenarsi all’interno di questo scenario che oscilla tra reale e surreale, con stoccate dirette ed altre meno esplicite, optando per tutta una serie di metafore e soluzioni bizzarre che riguardano vari aspetti. Dall’inizio proprio, con quelle bare disseminate lungo la strada, e un camion a doversi muovere a zig zag per evitarle; per poi scoprire che si è trattato di un altro furgone che trasportava queste bare, coinvolto in un incidente in cui un giovane ha perso la vita, investito. Tutto talmente chiaro nel rimando, che star qui a proporre un’interpretazione finirebbe col banalizzare ulteriormente.

Nondimeno è chiaro che Mendonça Filho e Dornelles vogliano parlarci del Brasile odierno, magari non direttamente di Bolsonaro, dato che il film è stato concepito e probabilmente in larga parte girato prima del suo insediamento quale Capo del Governo, ma è chiaro che quanto sta accadendo da quelle parti non inizia con l’attuale Presidente né finisce con lui. Bacurau potrebbe allora rappresentare il Paese tutto, quel misto di ingiustizie, frustrazioni e speranze covate da quella parte, ed è la fetta maggiore, tagliata fuori, rimasta inesorabilmente indietro.

Ma Bacurau è anzitutto un film spiazzante, da cui in qualche misura bisogna lasciarsi destabilizzare, anche a costo di venirne a tratti travolto. Mosso da una rabbia che sa anche essere illuminante ancorché viscerale, in alcuni punti addirittura abbagliante. Non siamo più dalle parti de Il suono intorno (2012) o Aquarius (2016), che affondavano nel ritratto sociale con una spiccata vocazione alla realtà, quella voluta e in larga parte acquisita verosimiglianza dovuta all’ambizione di voler appunto raccontare vicende che fossero quanto più possibile aderenti alle dinamiche concrete, reali che riportavano.

In Bacurau ci s’inoltra per un sentiero del tutto diverso, un registro che sfocia a sprazzi nello sperimentale, che volontariamente tende a ubriacarci, sparandoci in faccia scene e situazioni che non sempre è possibile collegare razionalmente. Eppure in qualche modo passano, arrivano, come dicono alcuni; affidandosi ai personaggi, che non sono mai solo personaggi, specie gli americani che tengono sotto scacco il villaggio per motivi che non saranno mai del tutto chiari, pronti a una sorta di genocidio, apparentemente organizzati mentre si tratta semplicemente di maniaci, gente che è lì perché a casa propria si annoiava e voleva perciò divertirsi con fucili e pistole.

Il sindaco, Tony Junior, paraculo come nessun altro, profilo che conosciamo, mentre arriva scortato dal suo tabellone luminoso e musica a palla, pronto a promettere mari e monti a quella gente ridotta quasi alla miseria, e che infatti si rintana nelle proprie abitazioni lasciando le strade deserte. È la morte della Politica? Beh, può darsi. Ad ogni buon conto… chi può dirlo? Quel che si può dire è che alla violenza che monta latente per buona parte del film, Mendonça Filho e Dornelles a un certo punto non oppongono più alcuna resistenza, lasciandosi andare ad un ultimo atto nel corso del quale la furia montante prende corpo, ed allora saltano le teste (letteralmente).

Quando tutto finisce ci si ridesta quasi si fosse usciti da un sogno che forse è un incubo; neanche su questo si può essere troppo sicuri. Sta di fatto che Bacurau è mosso da quel demone del Cinema che pulsa ma vuole essere cercato; sregolato, forse addirittura coraggioso, indispone anche e soprattutto perché non si piega alle reazioni immediate, pretendendo che sia il tempo a svelare con maggior verità il suo potenziale. C’è peraltro che l’entità della sua portata va colta a partire da certi dettagli, quei passaggi o riferimenti che non di rado si percepiscono appena, e che coinvolgono sfere immense, dalla sessualità alla crisi sociale, passando appunto dalla Politica. Una distopia appena accennata, per un Brasile oltremodo saturo, incazzato. C’è tanto, troppo da metabolizzare in Bacurau, di cui intanto se ne apprezza la sua emancipazione rispetto a tanto altro cinema.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]

Bacurau (Brasile, 2019) di Kleber Mendonça Filho e Juliano Dornelles. Con Udo Kier, Sonia Braga, Bárbara Colen, Chris Doubek, Jonny Mars, Alli Willow, Karine Teles, Antonio Saboia, Silvero Pereira, Brian Townes e Julia Marie Peterson. Concorso.

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