Barbie, recensione: una brillante parodia che punta in alto pronta ad irritare i moderni maschilisti
Leggi la recensione di Cineblog del film live-action di “Barbie”, diretto da Greta Gerwig e interpretato da Margot Robbie, Ryan Gosling, America Ferrera e Will Ferrell.
Barbie come il Pinocchio di Collodi si fa carne ed ossa per gli spettatori, e da icona dei giocattoli assume il volto di una donna moderna, che ha il volto di un bellissima e bravissima Margot Robbie, che combatte stereotipi sessisti e un patriarcato diventato parodia di se stesso.
Uno sviluppo lungo e travagliato
Partiamo dall’inizio, lo sviluppo di un film live-action di “Barbie” inizia nel lontano settembre 2009, quando viene annunciato che Mattel aveva firmato una partnership per sviluppare il progetto con la Universal Pictures, progetto che non andò buon fine. Nell’aprile 2014, Mattel stavolta fa squadra con Sony Pictures per produrre il film con una sceneggiatura di Jenny Bicks. Le riprese all’epoca dovevano iniziare entro la fine dell’anno con Diablo Cody (Juno) coinvolta nel progetto per riscrivere la sceneggiatura ed Amy Pascal che si era unita al team di produzione. La Sony Pictures avrebbe nuovamente riscritto la sceneggiatura nel corso dello stesso anno, assumendo Lindsey Beer, Bert V. Royal e Hillary Winston per scrivere bozze separate.
A dicembre 2016, Amy Schumer (Un disastro di ragazza) avvia trattative per recitare nel ruolo della protagonista con la sceneggiatura di Winston; Schumer ha aiutato a riscrivere la sceneggiatura con sua sorella, Kim Caramele. Nel marzo 2017 Schumer abbandona a causa di conflitti di programmazione con l’inizio delle riprese previsto per giugno 2017. Successivamente nel 2023 l’attrice rivelerà che in realtà aveva lasciato il progetto a causa di divergenze creative con gli allora produttori del film. A luglio di quell’anno Anne Hathaway (Il diavolo veste Prada) viene presa in considerazione per il ruolo principale, con la Sony Pictures che ingaggia Olivia Milch per riscrivere la sceneggiatura e si rivolge ad Alethea Jones per dirigere come mezzo per convincere Hathaway a firmare.
L’arrivo di Margot Robbie rilancia il film
A ottobre 2018 la scadenza dell’opzione di Sony Pictures sul progetto e il suo trasferimento alla Warner Bros. Pictures causano l’uscita di scena Hathaway e Pascal. A questo punto con il progetto azzerato entra in scena Margot Robbie che avvia trattative per il ruolo di protagonista, con Patty Jenkins (Wonder Woman) brevemente considerata per la posizione di regista.
Robbie si appassiona al progetto così tanto che decide di diventarne anche produttrice e di proporre in prima persona il film alla Warner Bros. Durante l’incontro con lo studio Robbie paragona il film a Jurassic Park di Steven Spielberg e suggerisce scherzosamente che “Barbie” avrebbe poteva superare il miliardo di dollari al botteghino.
Successivamente da fan dei film di Greta Gerwig, i particolare del nuovo adattamento di Piccole Donne, Robbie la avvicina per il posto di sceneggiatrice. Gerwig all’epoca era in post-produzione per un altro film e accetta il lavoro a condizione che anche il suo partner, Noah Baumbach, sia coinvolto come co-autore. Gerwig in seguito ha firmato per dirigere anche il film nel luglio 2021, con Robbie che parlando dell’obiettivo del film affermò che era quello di sovvertire le aspettative e dare al pubblico “qualcosa che non si aspetta”.
Una Barbie che parla alle donne…ma soprattutto agli uomini
Sono trascorsi 14 anni da quella prima idea di un film live-action di “Barbie” e Hollywood nel lungo percorso di sviluppo ha macinato diversi sceneggiatori e optato per tre protagoniste molto diverse tra loro per giungere a Margot Robbie e Greta Gerwig, un duo che ha saputo accontentare Mattel e Warner Bros. in cerca di un progetto che attirasse pubblico e aderisse al concept di blockbuster, ma al contempo veicolasse anche al pubblico una visione energica ed esteticamente potente della figura femminile nella società odierna.
Una visione quella concepita da Gerwig di come si è evoluta la figura femminile rispetto alla iconica bambola che ha fatto sognare milioni di bambine e diverse generazioni di donne; adattandosi di volta in volta a nuovi canoni estetici, incappando in qualche inciampo (Midge la Barbie incinta col pancione e l’attempato Sugar Daddy Ken), ma restando per Mattel una delle proprietà più iconiche e durature, grazie anche all’espandersi di un franchise nel multimediale che include tra le molte cose film d’animazione e videogiochi.
Greta Gerwig e il marito Noah Baumbach hanno utilizzato il mondo plastificato, stereotipato e rosa shocking di Barbie per narrare della società odierna, della difficoltà di giovani donne bombardate da riferimenti estetici spesso irraggiungibili; giudicate ad ogni piè sospinto da uomini che portano avanti teorie deliranti, vedi il “femminismo tossico”, o lo stigma della “poco di buono” inferto invece da generazioni precedenti che hanno il patriarcato impresso a fuoco nel DNA. Se ciò non bastasse al calderone dell’intolleranza si aggiungono omofobia, sessismo e le vittime di femminicidio, vera piaga quest’ultima che qualcuno ha il coraggio di criticare come “sostantivo” arrivando a giudicarlo discriminatorio verso gli uomini o addirittura a sminuirlo citando numeri e casistiche, come se una sola donna uccisa per gelosia non sia un’onta indelebile per l’intero genere maschile.
Una Barbie ribelle in un mondo di Ken
Il film di Gerwig parte dall’idea che una Barbie (Margot Robbie), anzi la Barbie per antonomasia definita “stereotipo”, ad un certo punto nel suo mondo cristallizzato, fatto di felicità programmata e giornate scandite da un routine “robotica”, riceva un input esterno che risvegli in lei qualcosa. Possiamo paragonare questo risveglio a quello di un’Intelligenza Artificiale che ad un certo punto diventa consapevole di sé e comincia ad elaborare sentimenti ed emozioni umane. Nel caso della Barbie di Robbie questo risveglio si palesa con il pensiero di una fine, il pensiero di invecchiare e morire che accompagna dormiente l’essere umano per la sua intera esistenza, pensiero che diventa per la Barbie “stereotipo” l’innesco di un contatto con una realtà parallela e l’inizio di un viaggio. Si tratta di un percorso di lenta consapevolezza che la trasformerà da giocattolo a “donna vera”, con tutta la confusione e le difficoltà di essere una ex Barbie in un mondo di uomini, mondo che lo spassoso Ken di Ryan Gosling ritrae in tutti i suoi spesso ridicoli riferimenti “machisti” che in realtà molto spesso nascondono enormi fragilità e senso di inadeguatezza, sentimenti che una donna forte e capace è in grado di portare in superficie con le nefaste conseguenze che tutti ben conosciamo.
Il film di Barbie però non è solo “girl power” e ficcante satira, Barbie è anche una commedia in cui si ride e ci si lascia immergere in incantevoli scenografie che ci riportano all’infanzia e non solo; a questo proposito la Barbieland del film è un riuscito mix d’incanto alla vista e serpeggiante inquietudine che si percepisce appena sotto la superficie, quei sorrisi di plastica e qui ruoli imposti e impostati ricordano un po’ le perfette casalinghe di “La fabbrica delle mogli” di Ira Levin, romanzo adattato due volte per il grande schermo, quello più recente è La donna perfetta (The Stepford Wives), film con protagonisti Nicole Kidman e Matthew Broderick.
Il film di Barbie quindi va ben oltre le aspettative, non sappiamo quale idea fosse quella iniziale, ma il prodotto finito che Margot Robbie e Greta Gerwig hanno portato sul grande schermo è un ottimo esempio di come unire intrattenimento a messaggi di un certo spessore. Inoltre con tutto quel rosa sparato a schermo, termini come “patriarcato” e il ritratto dei Ken come immaturi e fragili macho, rendono il film di Barbie un perfetto escamotage per scovare i moderni maschilisti che spesso mantengono un basso profilo; colui che stroncherà / distruggerà senza pietà questo film potrebbe essere irrimediabilmente affetto da “maschilismo tossico” altrimenti definita “Sindrome di Ken”.