Benvenuto bis a Woody che non si era smarrito e ci ha ricordato gli “interiors”
Con “Blue Jasmine” il grande regista torna al suo primo film in cui non compariva, e per il quale aveva avuto uno straordinario modello
Ho segnalato tre film che mi sono piaciuti: “Dietro i candelabri”, “Il passato”, “Blue Jasmine”. Quest’ultimo è diretto da Woody Allen e sta avendo un grande successo dovunque. In una stagione di varie feste meste, con film validi (allungherò presto il breve elenco), il famoso regista ci provoca, o meglio mi provoca, e spero che se ne possa discutere. Non sto a ripetere trama e qualità di Blue Jasmine, in cui la Blanchett, convince per la bellissima interpretazione di una donna che cammina sul filo del rasoio di amore e disamore, con la sua verità: sobria, intensa, sincera.
La donna si confessa parlando soltanto il necessario, lasciando affiorare nel corpo, nel volto, negli sguardi il tremito di una vita precaria, fra pretese esistenziali (anche verso se stessa) e l’angoscia di scoprire di inattesi colpi di scena, veri colpi potenti sotto la cintura di protezione, come quella che devono indossare sul ring. Intorno alla protagonista assoluta, non compaiono figure schematiche (se non quella del marito traditore e corruttore corrotto) ma figure semplici, molto umane, persino troppo umane: la sorellastra, i fidanzati di costei, tutti insieme in una realtà altrettanto precaria come quella della protagonista, vissuta senza una profonda pena interiore.
Interiore, interiorità, interiors. Una parola che ha tanti significati tanto nella lingua inglese quanto in quella italiana. Ma Woody gioca opportunamente sulla parola che vuol dire ambienti, casa, arredamento; e però anche interiorità, profondità e coscienza intima in divenire. Il regista nel lontano 1978 aveva intitolato un film Interiors, e non compariva tra gli attori scelti: Diane Keaton, Geraldine Page, E.G. Marshall, Maureen Stapleton. Nevrosi e frustrazioni pronte a esplodere, ed esplodono, in una tipica famiglia americana benestante.
Il richiamo, colto da tutti, era alla lezione di Ingmar Bergman e alle sue storie calate negli abissi delle persone, magistrali e potenti. Scene da un matrimonio, una summa di amore e disamore andata realizzata e andata in onda, comunque a pieno titolo della filmografia bergmaniana, è precedente di soli cinque anni a “Interiors”. Ebreo, Allen si collegava al protestante Bergman, per raccontare la immersione tra superficie e interiorità, attraversando i flutti della ricerca della felicità e la scoperta del dolore, con la speranza di trovare finalmente la felicità. Con chiaro e delicato punto di domanda.
Una tematica da cui l’americano Allen si è allontanato, è tornato, con una ironia amara sulla labbra e una consapevolezza che si è andata approfondendo tra la vita osservata negli altri e la propria vita, privata, in due o in tre; insomma, nei viaggi nei sentimenti e dell’eros che la società occidentale ha cercato da sempre di mettere in divisa, nel nome di dogmi e di regole prescrittivi: motori di delusione e di infelicità.
Di fronte a uno spettacolo così- “Blue Jasmine” è uno spettacolo di “interiors”-, mi è sorto un quesito che vi sottopongo. Riguarda il confronto fra questo film (che può essere assimilato a “Il passato” persino a “Dietro i candelabri”) e il nostro,caro cinema italiano. Come mai non c’è più un film, un regista, uno sceneggiatore e un produttore (ma sì diciamolo pure) in cui anche una pallida idea di “interiors” riesca ad essere affrontata e ad emergere? Il cinema italiano ha avuto in autori come Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini, Valerio Zurlini, Luchino Visconti, Antonio Pietrangeli, e non cito altri, che sono stati capaci di fare fuochi di qualità e di intrattenimento.
Nelle terrazze, negli appartamenti, nelle cantine, nei casini, nelle case ricche e povere, nelle campagne e nelle fabbriche, fra anziani, giovani, spesso giovanissimi essi hanno cercato di raccontare le pene e le illusioni degli “interiors”, con senso alto, drammatico, facendo spettacolo. Si dirà: il mondo, l’Italia sono cambiati. Vero, ma ogni attenzione, ogni capacità di guardare in faccia il rimescolamento di sentimenti, dalla paura al desiderio, dal sogno all’incubo, sembrano spariti. Sotto il tallone della politica che ha livellato e compresso, congedato e sepolto molte energie, e ripeto molti desideri, e se non tutti. Un tallone che macina film come carta da macero. Qualche titolo? Lo potrei fare. Ma perché non scorrere adesso l’elenco dei film in programmazion, e scoprire così la miseria e le sconclusionate proposte del nostro cinema. Le eccezioni, in questo e preciso momento, dormono nelle pizze come bare.