Berlino 2013: La Religieuse – la recensione
Il direttore della Berlinale Dieter Kosslick aveva annunciato un’edizione particolarmente femminile, non solo per la presenza di numerose registe donne nella sezione della competizione ma anche per le molte protagoniste delle storie dei film nella selezione ufficiale.
E una storia tutta femminile è appunto quella di La religieuse, film del francese Guillaume Nicloux, tratto dall’omonimo libro di Dennis Diderot (in italiano “La monaca”).
La storia tratta di una giovane ragazza Suzanne (Pauline Etienne) che nel XVIII secolo all’età di 16 anni aspira a sposarsi e vivere il mondo. I genitori la obbligano ad un anno di educazione in un convento che presto proporranno di trasformare in una scelta definitiva. Un ricatto morale della madre durante una visita a casa per le vacanze, la convince a prendere i voti e restare in convento. Si tratta però di una scelta non dettata dalla vocazione e che molto presto si rivela troppo difficile da sostenere. La rapida scomparse dell’unica figura amica nel convento getta Suzanne in un tunnel di scontri con l’ottusa gerarchia ecclesiastica.
Deve passare attraverso a lunghe giornate di isolamento e pene talmente severe da arrivare al paradosso di imporre il divieto alla preghiera. Suzanne riesce con un sotterfugio a fare uscire dal convento una lettera in cui chiede di iniziare un procedimento legale per annullare i voti presi. Il documento raggiunge un avvocato, ma la missione si preannuncia impossibile. Il trasferimento ad un altro convento sembra solo in apparenza migliorare la situazione. Però dietro la bontà della madre superiora, interpretata da una scostante Isabelle Huppert, si nascondono secondi fini che poco hanno a che vedere con la vocazione.
Scritto nel 1758 il libro è considerato l’opera più moderna dello scrittore illuminista per rivendicare il diritto di una donna alla propria libertà e all’autodeterminazione. Basato su fatti realmente accaduti il testo denuncia l’ingiusta privazione fisica e spirituale con cui una figlia è costretta a riparare alle colpe materne. Allo stesso modo la storia punta il dito contro l’impoverimento della natura umana una volta costretta dalla segregazione conventuale.
Come il libro, il film contiene una satira feroce della situazione dei conventi e offre una cronaca del lento e doloroso dischiudersi di una identità femminile, del suo prendere coscienza di sé e della propria natura quale unica realtà da contrapporre a chi per purificarla la segrega e le impedisce di pregare o confessarsi. L’attrice protagonista è capace di fare immedesimare negli eventi che scorrono sullo schermo anche una platea distante di secoli. L’apparizione poi di Isabelle Huppert arricchisce il film donando alla traduzione cinematografica quel tocco tragicomico e rocambolesco che pervade il classico di Diderot, ma che riesce solo a trapelare in pochi passaggi nel film di Nicloux.
Nonostante non sia il genere di tema in grado di vincere a questo tipo di festival, un discreto applauso alla fine della prima proiezione ufficiale, così come i commenti di corridoio fanno pensare che il prossimo sabato “La Religieuse” potrebbe ricevere almeno un premio.
Voto e Recensione di Laura Lucchini: 8
Profilo Twitter: @NenaDarling
La Religieuse (Francia, Germania, Belgio 2013 – Drammatico – 100 minuti) di Guillaume Nicloux con Isabelle Huppert, Martina Gedeck, Pauline Etienne, Louise Bourgoin, Alice de Lencquesaing, Agathe Bonitzer, François Negret, Gilles Cohen, Françoise Lebrun, Pascal Bongard, Marc Barbé, Alexia Depicker, Pierre Nisse, Eloïse Dogustan, Nicolas Jouhet, Jean-Yves Dupuis.