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Berlino 2017: On Body and Soul – recensione del film di Ildiko Enyedi

Il rapporto tra corpo e spirito mediante una bizarra storia d’amore in chiave dark comedy, meno cupa del solito ma non meno divertente. È il film dell’ungherese Ildikò Enyedi, in Concorso

pubblicato 10 Febbraio 2017 aggiornato 30 Luglio 2020 01:51

A Maria non mancano i problemi; addetta al controllo igiene presso una macelleria di Budapest, la donna ha le sue manie, tipo, manco a dirlo, quella di pulire dovunque, anche fosse un goccia d’acqua o qualche briciola di pane. Quanto ai rapporti interpersonali, non ne parliamo: relazionarsi con gli altri è un’impresa, come se fosse caduta sulla Terra per puro caso e non avesse la più pallida idea delle convenzioni sociali di base. Maria però in realtà lo sa, perciò mette a priori dei paletti, tipo che odia essere chiamata Marika e che non sopporta alcun tipo di contatto fisico. Quando Endre, il direttore finanziario della macelleria, l’avvicina, succede però qualcosa. Quel “qualcosa” emerge allorché una psicologa del lavoro sottopone il personale ad alcune domande, ed allora si scopre che Maria ed Endre fanno lo stesso sogno: sognano di essere dei cervi, che camminano all’interno di questa cornice innevata, accanto ad un romantico lago.

Enyedi riesce discretamente bene a mescolare i toni, lasciando che la scena umoristica estemporanea irrompa quando meno ce lo si aspetta, anche perché si tratta di uno scenario sul triste andante. A tratti sembra quasi di guardare uno di quei film scandinavi, rimando con ogni probabilità voluto sebbene in ottica canzonatoria. C’è il gelo dei rapporti, i dialoghi telegrafici, l’umorismo nero; ecco perciò servita la dark comedy all’ungherese, che anziché prendersi gioco dei suoi personaggi e delle loro vicissitudini, sta dalla loro parte, preferendo scagliare le proprie invettive verso una visione del mondo specifica, quella cupa, asfissiante, che proprio a Berlino non è mancata nelle ultime due edizioni, grazie ai polacchi Szumowska e Wasilewski, poi andati a premi.

Qui addirittura c’è un tentativo di elevarsi attraverso la metafora onirica, affare pericoloso ma in cui vale la pena immischiarsi di tanto in tanto. On Body and Soul perciò con una mano allontana lo spettatore, mentre con l’altra lo tira a sé invitandolo ad aspettare, ché non è tutto lì, nella difficoltà a tratti poco sostenibile di queste due persone diverse, non a caso viste con sospetto, se non sarcasmo, da chi non è come loro. A differenza però di pellicole dal tenore simile, non si cerca pressoché in nessun caso di alienarsi totalmente dalla verosimiglianza, creando una sorta di realtà alternativa, come per esempio fa Roy Andersson, il cui cinema ha dei punti di contatto con questo lavoro di Enyedi. Il titolo non sta lì per caso: quella dei due protagonisti è una favola, radicata però nella quotidianità di superfici che si sfiorano con le mani, battiti accelerati, pensieri stravaganti, ed in generale tutto quel ventaglio di situazioni che attengono tanto allo spirito quanto alla materia.

Di fatto il percorso di On Body and Soul si risolve in una parabola che conduce verso la riconquista del proprio corpo, la consapevolezza della sua importanza, e quindi dell’importanza che non resti isolato, rintanato in un ideale che non esiste se non nella nostra mente. Film dunque sul contatto, nonché sull’accettazione di tutti i limiti ad esso collegati, di conseguenza molto umano e per nulla astratto come sarebbe seppur lecito supporre. Certo, taluni riferimenti stanno al limite, come il fatto che questa atipica storia d’amore abbia inizio e si snodi sullo sfondo di una macelleria, rimando oltremodo diretto alla carnalità che in più occasioni viene evocata, in un modo o nell’altro. Ma si tratta di una licenza che va concessa, anche perché per il resto si tratta di un film che senso della misura ne ha abbastanza.

[rating title=”Voto di Antonio” value=”7″ layout=”left”]

On Body and Soul (A teströl és a lélekröl, Ungheria, 2017) di Ildikò Enyedi. Con Morcsányi Géza, Alexandra Borbély, Ervin Nagy, Pál Mácsai, Júlia Nyakó, Tamás Jordán e Gusztáv Molnár.

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