Berlino 2017: Una mujer fantástica – recensione del film di Sebastián Lelio
L’elaborazione del lutto nella Santiago del Cile dei giorni nostri in Una mujer fantástica. Sebastian Lelio torna a Berlino con un film diretto e onesto
Orlando ha perso qualcosa. Cerca nel cruscotto, sulla scrivania del suo ufficio, ma niente… non la trova. Di lì a poco deve incontrarsi con Marina per festeggiare il compleanno di quest’ultima. La serata procede tranquillamente, i due cenano in un bel ristorante, qualche effusione, poi si torna a casa. Durante la notte però Orlando non si sente bene: si alza, trema, non si regge in piedi. Marina decide di accompagnarlo all’ospedale, solo che, mentre chiama l’ascensore, il suo compagno cade dalle scale, ferendosi alla testa. Poco importa. Si corre verso il pronto soccorso, con Orlando che invita Marina a far presto. Arrivati in loco passa poco tempo: Orlando muore.
Una mujer fantástica racconta la storia di Marina, transessuale di Santiago del Cile, e della sua storia d’amore. Uno magari pensa che, specie in considerazione del fatto che siamo a Berlino, il rischio di trovarsi davanti il film che asseconda una certa corrente, se non addirittura un’agenda sia alto; film politico, ideologico, lo si definisca come più aggrada ma quello è. In realtà però Sebastian Lelio sa che per certe cose non è più tempo e sebbene nessuno, men che meno lui, è così ingenuo da credere che l’identità sessuale di Marina rappresenti un aspetto secondario, c’è comunque abbastanza onestà per credere a questa storia. Una storia molto umana, che si sofferma su una realtà ben precisa, all’interno della quale il regista di Gloria eccede giusto in uno o due passaggi.
Il problema che si presenta subito dopo la morte di Orlando è che la famiglia di quest’ultimo vuole immediatamente tagliare i ponti con Marina, facendo finta che nemmeno esista; perciò l’invito, più o meno cordiale, a non presentarsi al funerale, così come la richiesta di restituire quanto prima sia le chiavi della macchina che quelle dell’appartamento. Marina non sembra affatto contrariata dal dovere privarsi di tutto ciò, senonché i modi le fanno avvertire un senso di profonda ingiustizia. Proprio a proposito dell’onestà sopra evocata, lucida è l’uscita del cognato di Marina, che invita a non presentarsi al funerale perché sarebbe una provocazione del tutto gratuita; ed in effetti, a un certo punto, proprio perché incalzata a quel modo, Marina cede all’intento provocatorio, che a sua volta subisce proprio perché forzato, mosso dalla rabbia più che dalla ferma intenzione di offendere.
C’entra poco il soffermarsi sul seppure evocato aspetto giuridico della questione, poiché Lelio è più interessato a trattare la faccenda dalla prospettiva spiccatamente personale, di Marina, che non per forza rappresenta un’intera categoria. Marina è davvero legata ad Orlando, al quale ha voluto bene, diremmo pure che si è innamorata se solo certe cose non fossero inflazionate e misconosciute, insomma, se sapessimo di che si tratta; in fin dei conti Una mujer fantástica mostra una delle tante, possibili elaborazioni di un lutto, sul fare i conti con l’improvvisa dipartita di una persona cara, realtà alla quale non ci si vuole piegare.
Ancora più complesso se di mezzo c’è una transessuale che, oltre al dolore per la perdita, deve anche vedersela con la mancata accettazione, non per forza violenta, ostile. Anzi, a fare più male è l’atteggiamento di chi è in buona fede o chi comunque ci prova a reprimere il disagio davanti ad una situazione che fatica a capire. Non esiste forse peggiore sofferenza di chi non sa chi sia o come sia, di chi non si conosce oppure sì ma comincia ad avere dei sospetti, alimentati dalla diffidenza altrui. Perfino a Marina, che di dubbi non ne ha, ad un certo punto tocca guardarsi allo specchio nella più telefonata delle scene, non tanto per comprendere chi sia ma per capire come riuscire a farlo comprendere agli altri. Ed in questa lotta Marina si scopre sola, quella radicale solitudine che nessuno di noi può eludere: la protagonista lo sa e percorre questa strada senza aspettare qualcuno che l’accompagni.
Questo struggersi su due fronti così delicati è qualcosa che tocca potenzialmente chiunque, e per cui Lelio cerca di evitare pressoché tutte le scorciatoie, sebbene l’impulso retorico talvolta affiora, e lì probabilmente ci si lascia un po’ prendere la mano. Non perché poco verosimili episodi del genere, bensì perché meno potenti, rischiosamente invaladanti rispetto ad altre fattispecie ben più incisive: viene da pensare al mezzo rapimento, così come al trito e ritrito sfogo in discoteca. Ad ogni modo, Lelio gira senza sbavature, in maniera molto precisa, quasi rigorosa, azzeccando quasi tutto, specie quei passaggi in cui la realtà si fa da parte, come la coreografia sempre in discoteca ed il teso e toccante inseguimento sul finire. Tutto sommato finanche con discrezione, rispettando non solo i suoi personaggi ma anche lo spettatore.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”7.5″ layout=”left”]
Una mujer fantástica (Cile, 2017) di Sebastian Lelio. Con Luis Gnecco, Aline Küppenheim, Amparo Noguera, Francisco Reyes, Daniela Vega, Néstor Cantillana, Alejandro Goic e Sergio Hernández.