Blue Jasmine: Recensione in Anteprima del film di Woody Allen
Woody Allen torna entro i confini degli States per girare una delle sue commedie più cupe, senz’altro la più cupa da un po’ di anni a questa parte. Con una Cate Blanchett monumentale, alla quale sarà difficile strappare l’Oscar il prossimo marzo
Non servì certo From Rome with Love per dare manforte a certe critiche che parlavano già di un Allen post-Allen, alla stregua di come si usa fare con la nostra epoca, fino a qualche tempo fa definita post-modernismo in assenza di soluzioni migliori. Mancava a tanti, troppi, l’Allen straripante dei suoi film, quelli, per intenderci, dove oltre ad essere il burattinaio era anche il burattino. Uno spiraglio si intravide con Basta che funzioni, con il fugace intermezzo dell’Oscar a Midnight in Paris per il newyorkese globetrotter che salta da una capitale all’altra per girare i propri film. Comunque troppo poco: la voce girava già da troppo tempo ed oramai sembra dura spiccicare l’etichetta dell’Allen usato, di seconda, terza o forse addirittura quarta mano.
Poi arriva Blue Jasmine, che, lo diciamo subito, non ha necessariamente bisogno di una così corposa filmografia come quella del regista americano di origini ebraiche. Un film insomma che sta in piedi da solo, sebbene viva e si moltiplichi seguendo quella formula base, segreta ma non troppo, che alimenta un po’ tutti i film di Woody Allen. Perché oramai quest’ultimo è tornato bruscamente con i piedi per terra, ed il tenore trasognante, quasi scanzonato delle sue due ultime pellicole sembrano essere un remoto ricordo.
Blue Jasmine è ciò che dice di essere sin dall’inizio, quando il sottofondo jazz e certi nostalgici quantunque minimali titoli di testa sembrano introdurci qualcosa di più della semplice commedia. Che non sia un noir? Sapete, le etichette sono spesso ambigue, o per lo meno limitanti, laddove non siano addirittura fuorvianti. Ma qui di indizi ce n’è eccome, ancor prima che il tutto si palesi definitivamente: quando, per intenderci, si scopre chi è il maggiordomo e chi l’assassinato.
Assecondando il registro classico, Allen attualizza come più può certe tematiche a lui care, in primis certe nevrosi compulsive, tese a minare l’equilibrio del povero malcapitato di turno in maniera radicale. L’humor raffinato di Allen assume qui tinte nere, a tratti nerissime, come nerissimo è il finale. In confronto alla condizione di Jasmine (Cate Blanchett), le “fisime” di buona parte dei vecchi personaggi di Allen sembrano per lo più insicurezze adolescenziali. Il regista cala il tutto nella crisi dei nostri giorni, pur guardandosi bene dallo sporcare la propria storia con un eccesso di quotidianità alla portata.
L’avvenente e non più giovane Jasmine è la moglie di un ricchissimo uomo d’affari, Hal (Alec Baldwin), uno che ha costruito un impero servendosi della finanza più sfrenata e sregolata. In altre parole, truffando tutti. Finché il marito non viene incastrato ed allora Jasmine è costretta ad abbandonare il suo mondo dorato, fatto di feste con gente altolocata, gioielli, abiti e ville da sogno, per trasferirsi nel ben più modesto spicchio di universo che è San Francisco, dove vive la sorella Ginger (Sally Hawkins).
Un modo come un altro per fuggire dai fantasmi che la tormentavano nella Grande Mela, ambiente oramai invivibile per una abituata allo sfarzo mentre invece deve a questo punto accontentarsi di Brooklyn. Con sé porta comunque un recente passato che non può in alcun modo fuggire, inerme com’è dinanzi a tutto ciò che le è capitato, esaurimento nervoso incluso.
Ma se nella costruzione di questo personaggio Allen mostra una certa perizia, è al lavoro mastodontico della Blanchett che bisogna assolutamente guardare se si vuole evidenziare il reale valore aggiunto di questa pellicola. Jasmine rappresenta un caso borderline, uno di quelli a cui non basta più qualche seduta liberatoria. Imbottita di Xanax, che oramai assume con una frequenza ed in quantità disarmanti, l’elegante donna si trascina dovunque lei vada. Parlandosi addosso, come all’inizio, quando per un viaggio intero tedia l’anziana signora che ha avuto la somma sfortuna di capitarle accanto in aereo, sottoposta ad un interminabile monologo dal quale riuscirà a sottrarsi solo quando non saranno costretti a separarsi dopo aver preso i rispettivi bagagli.
Ma a fare la differenza non sono tanto le uscite estemporanee, quanto insomma c’è di “scritto” nel personaggio di Jasmine. Nient’affatto. A rendere così viva, tristemente concreta, questa pietosa figura è il talento indiscutibile di una Blanchett in stato di grazia. La sua è un’interpretazione spinta ai massimi livelli, tesa come una corda di violino per l’intera durata del film. Coerente, dai ritmi serrati, mentre ci mostra per lo più l’esito di un percorso che possiamo solo supporre e che tuttavia ci viene suggerito da un montaggio che alterna senza alcuna soluzione ricercata presente e recente passato, così da avere una panoramica un po’ più ampia sulle disgrazie della protagonista. Ma la Jasmine dell’ora attuale non è mai troppo diversa da quella spensierata, quella che non si poneva alcuna domanda, quando le cose filavano lisce e la vita le sorrideva. Per sciacquarsi la coscienza bastava qualche attività filantropica, alternata ad uno shopping di alto livello.
Ogni minuscolo dettaglio del lavoro svolto dalla meravigliosa attrice ci informa della potenza di questa sua interpretazione: gli occhi costantemente lucidi, lo sguardo perso chissà dove, le movenze a tratti rigidamente codificate per poi esplodere in un lassismo che è il peggiore dei peccati per una signora come lei. Ma l’intuizione più geniale, lo ripetiamo, in fondo è la stessa Blanchett. A posteriori, non riusciremmo ad immaginare nessuna attrice più adatta di lei per questo ruolo. Un colpo da maestro, perché senza quella sua cifra stilistica, così forte, così dannatamente affascinante in tutto (nel portamento, nel modo di porsi, persino nel sudare), semplicemente, il personaggio di Jasmine sarebbe rimasta una chimera.
Ed è invece esattamente questa l’idea che travolge, che ammalia. Quello che lascia a bocca aperta non sono certi siparietti, certe battute sagaci e quant’altro appartenga all’immaginario dell’Allen autore, bensì certi primi piani. Il volto dolce e aggraziato della protagonista devastato dal male che la rode dall’interno, come se quel suo stato di malessere fosse insito da sempre nella sua personale storia; un destino ineluttabile, che più si cerca di evitare e più violentemente si manifesta. Difficile descrivere la portata di un lavoro così intenso, impreziosito peraltro da un doppiaggio eccezionale, per cui ad Emanuela Rossi (la doppiatrice della Blanchett) va tributato un plauso tutto particolare.
Allen stavolta affonda i denti nell’attualità, oramai ineludibile, mostrando a suo modo l’artificialità di un mondo di cui evidentemente conosce una sola parte: abbastanza credibile quando si tratta di evocare certe dinamiche operanti nell’ambito dell’ex-nuova nobiltà, quella arricchitasi grazie a Wall Street e affini; meno incisivo quando l’attenzione si sposta sul cosiddetto ceto debole, quello delle cassiere del supermercato, dei traslocatori o dei meccanici, quest’ultimi tratteggiati in maniera quasi macchettistica, sebbene funzionale al discorso.
Alle variopinte polo Ralph Lauren e completi Dior dell’inconsistente favola (mal)vissuta da Jasmine, vengono opposti gli abiti a buon mercato e per nulla abbinati di Ginger, che frequenta solo «sfigati» perché in fondo non ha avuto la fortuna di nascere coi geni buoni, come la sorella – altra sarcastica invettiva di Allen, nemmeno troppo velata.
Blue Jasmine ci parla dunque di un regista che, quale che sia il motivo, si trova ad un punto del proprio percorso in cui ha ripiegato su una malinconia ancora più cupa rispetto al passato. Un film che scolpisce questa deriva per certi aspetti naturale e spontanea nel cinema di Allen, la cui poetica riesce nell’encomiabile intento di mettere in scena una tragedia smussata nei toni, ma che fa in tempo ad esserci restituita nella sua prorompente vitalità (o mortalità, che dir si voglia). E se quel finale non lascia con uno strano magone, non è certo perché qua e là si ha avuto modo di sorridere nel corso degli eventi che lo hanno preceduto. Assistere ad un tale spoglio di così tanta grazia è qualcosa che lascia il segno.
Voto di Antonio: 8,5
Voto di Federico: 8
Voto di Gabriele: 9
Blue Jasmine (USA, 2013) di Woody Allen. Con Alec Baldwin, Cate Blanchett, Louis C.K., Bobby Cannavale, Andrew Dice Clay, Sally Hawkins, Peter Sarsgaard, Michael Stuhlbarg, Joy Carlin, Richard Conti, Glen Caspillo, Charlie Tahan, Annie McNamara, Daniel Jenks, Max Rutherford, Tammy Blanchard, Kathy Tong, Ted Neustadt, Andrew Long, Lauren Allan, John Harrington Bland, Leslie Lyles, Glenn Fleshler, Brynn Thayer e Christopher Rubin. Nelle nostre sale da giovedì 5 dicembre.