Blue Ruin: recensione in anteprima del film in concorso a Torino 2013
Torino Film Festival 2013: la prima sorpresa della rassegna arriva subito dal concorso. Opera seconda di Jeremy Saulnier, Blue Ruin è la versione sporca di Shotgun Stories: un indie americano a suo modo inventivo, che sa usare i topoi del revenge movie. Diverrà un cult.
Rischia addirittura di essere preso sottogamba, questo Blue Ruin. Lo si guarda, magari ci si diverte pure parecchio, e infine niente più. E invece mi sbilancio: ci troviamo di fronte ad una vera e propria sorpresa. Un indie americano a suo modo molto inventivo, che sa usare bene i topoi del suo genere, il revenge movie.
Se avete visto Shotgun Stories, l’ottimo esordio del Jeff Nichols di Take Shelter e Mud, potremmo descrivervi questo film come la sua versione più sporca e cattiva. Anche più giocosa e dissacrante, perché è come se qui venisse diluita tutta l’aria da “tragedia greca” della sanguinosa lotta tra due famiglie in un bagno di humour nerissimo. Niente poesia: qui si piscia direttamente sulle tombe dei famigliari altrui.
Dwight Evans è un senzatetto che vive di espedienti nel Maryland. Dorme nella sua vecchia Pontiac blu, si lava nei bagni delle case vuote, rovista nei cassonetti della spazzatura in cerca di cibo. Nel momento in cui scopre che l’assassino dei suoi genitori sta per tornare in libertà, decide di mettere in atto un’irrazionale vendetta.
Storia semplicissima, certo, ma raccontata con una certa sicurezza nell’usare i codici del genere e pure nel rovesciarli. Pare che Blue Ruin non si prenda infatti mai troppo sul serio. Vero, certo: ma forse sarebbe più giusto dire che sembra non prendersi troppo sul serio perché è il mondo che mette in scena che è piuttosto grottesco di suo.
Frecce, fucili, carabine, e verso nel finale quella che sembra una mitragliatrice. Blue Ruin mette in scena un bagno di sangue in cui affoga un’America rurale in cui i “poveri” lottano tra di loro con qualunque metodo, anche quando non ne sono proprio capaci… Dwight è disposto a tutto pur di portare a termine la sua vendetta, ad usare ogni arma e ogni metodo per pareggiare i conti. Finché non si fa prendere la mano.
Ma come: non era lui che voleva semplicemente rimettere le cose a posto? Quel che succede da quando decide di farsi vendetta da solo non si può quasi descrivere! Saulnier osserva il percorso del suo protagonista con sguardo asciutto e rigoroso, ma anche con una punta di “empatia”. Empatia che a tratti si trasforma in un sorriso sardonico, basti vedere come si conclude la scena della freccia conficcata nella gamba…
Macon Blair, che ci mette poco a tagliarsi la barbona e i capelli da vagabondo e se ne va in giro con una faccia stralunata che è tutta un programma, regge benissimo il gioco. Costretto a piangere, impugnare un coltello, sparare, correre mezzo nudo e quant’altro, l’attore si mette in gioco in un vero tour de force che trascina lo spettacolo.
Ecco: di Blue Ruin si può pensare quel che si vuole. È un oggetto strano, curatissimo dal punto di vista tecnico eppure low budget, e la sua natura a primo acchito può non essere chiarissima a tutti gli spettatori, che magari non sapranno bene come prenderlo. Però è innegabile che abbia anche una certa strana tensione interna ed un ritmo tutto suo che non fa cadere mai l’attenzione.
Stiamo pur sempre parlando di un film di genere che sfrutta dei vistosi momenti di silenzio, prendendosi i suoi tempi e dosando il ritmo. Mi pare che Jeremy Saulnier (che è sì all’opera seconda, ma ha una carriera da direttore della fotografia) sappia molto bene il fatto suo… Prestate infine molta attenzione al sound design: alcuni particolari e alcune sonorità sono fondamentali. Abbiamo un nuovo cult?
Voto di Gabriele: 8
Blue Ruin (USA 2013, thriller 90′) di Jeremy Saulnier; con Macon Blair, Amy Hargreaves, Devin Ratray, Eve Plumb, David W. Thompson, Bonnie Johnson, Sidné Anderson, Kevin Kolack, Stacy Rock, Ydaiber Orozco.