Bronson – di Nicolas Winding Refn: recensione in anteprima
Leggi la recensione di Bronson, il film già cult in uscita il 10 giugno
Bronson (Bronson, Gran Bretagna, 2008) di Nicolas Winding Refn; con Tom Hardy, Matt King, Kelly Adams, Katy Barker, Edward Bennett-Coles, June Bladon, Amanda Burton, William Darke, Andrew Forbes, Helen Grayson.
Michael Peterson viene condannato al carcere una prima volta a 19 anni per aver rapinato una banca. È in realtà solo l’inizio di una vita vissuta in carcere, tra spargimenti di sangue, sequestri, uccisioni e pestaggi. Nei 34 anni successivi, infatti, Peterson (nome d’arte Charles Bronson…) in gattabuia ne passò 30. E anche oggi sconta l’ergastolo…
Alla Mostra di Venezia del 2009 gli spettatori avevano potuto vedere un film spiazzante e fortissimo, Valhalla Rising. Il danese Nicolas Winding Refn era già conosciuto negli ambienti cinefili di nicchia, ed aveva già partecipato a qualche festival. Ma era quello il primo segnale verso un riconoscimento più importante, prima italiano, con la retrospettiva completa nel Rapporto confidenziale del Torino Film Festival (dove fu presentato anche Bronson), ed infine il riconoscimento internazionale con la vittoria per la moglior regia quest’anno a Cannes con Drive.
Con il cinema danese che il pubblico ha imparato a conoscere negli anni, quello dei von Trier, delle Bier e dei Vinterberg, Refn non ha nulla a che vedere. Definito da qualcuno il “regista anti-Dogma”, l’autore della trilogia Pusher presenta in tutti i suoi film uno stile personale, originale e riconoscibile: dominato da una vena di follia che in Bronson diventa Leitmotiv stilistico.
Come nei film della trilogia prima citata, il protagonista si introduce da sé: “Il mio nome è Charles Bronson”. Un primo assaggio che il personaggio regala allo spettatore della sua personalità, o forse della sua maschera. Perché quello è uno pseudonimo, tratto ovviamente dal celebre autore americano, affibiatogli nel 1987 da un impresario per cui combatteva. E Bronson è un biopic che cerca, con grande efficacia, di scavare sotto la maschera, nella personalità e nelle azioni di Peterson: il carcerato più pericoloso e celebre d’Inghilterra, che ama il carcere anche se dice di non aver mai ucciso nessuno…
Refn ci introduce in un viaggio multiplo, in cui lo spettatore assiste ai comportamenti di una mente malata ma allo stesso tempo lucidissima, e anche ad una storia di solitudine. Il discorso che Bronson fa sulla pazzia e sull’arte diventa man mano sempre più interessante: il protagonista cerca sempre costantemente un modo per esprimersi. È a tutti gli effetti un’artista in tutto quel che fa: quando dipinge, quando è sul ring, quando recita, ed è un’artista della violenza. Che si compiace degli applausi dei carcerati quando picchia duro, che cerca il consenso.
Quello di Refn è uno stile saturo, in qui le inquadrature sono destrutturate e riorganizzate, e in cui (brechtianamente: il teatro che compare sin dalla presentazione del protagonista) si crea con lo spettatore un mood in qualche modo straniante. Ma che invece di allontanare le emozioni, riesce nel miracolo di creare una certa empatia con Peterson. Lo si nota bene nella scena, allucinata e soffocante, in cui i carcerati ballano a tempo di It’s a sin dei Pet Shop Boys.
Pervaso da una costante vena di umorismo grottesco, che ben si sposa con la durissima carica violenta, Bronson trova uno dei suoi maggiori punti di forza ovviamente in Tom Hardy, assoluto protagonista che offre un’interpretazione clamorosa: tra smorfie ed espressioni allucinanti, momenti di terribile fisicità, gag e siparietti, traccia un ritratto originale e fuori dagli schemi, volutamente fuori dalle righe – ma senza mai avere un effetto fastidioso – del suo personaggio.
Forse Bronson è una discesa negli Inferi, un po’ come sembrava per Valhalla Rising. Ma come per il viaggio di One Eye, la questione è più delicata. La discesa in quel caso era effettivamente un’ascesa per il protagonista, e in questo caso la violenza a tratti disperata sembra sposarsi perfettamente a Peterson, che ama picchiare duro, ma ama anche subire quella violenza che dà agli altri. Si finisce questo viaggio in una gabbia di isolamento, e ancora oggi Bronson è in gattabuia. Ma continua la sua attività artistica: l’unico modo che ha per vivere e restare in contatto con il mondo. Una storia quasi inconcepibile, ma che trova proprio nel significato più profondo dell’arte il suo senso.
Voto Gabriele: 9
Voto Carla: 9
Qui il trailer italiano.
Dal 10 giugno al cinema.
Aggiornamento – Ecco le sale per la prima settimana di programmazione:
MILANO – CINEMA CENTRALE
ROMA – CINEMA ADRIANO
FIRENZE – CINEMA ODEON
MANTOVA – CINEMA DEL CARBONE
BOLOGNA – CINEMA ODEON (SPECIAL EVENT PRESSO BIOGRAFILM FESTIVAL, DOMENICA 12)