Cannes 2011: L’Apollonide (Souvenirs de la Maison Close) – Recensione in Anteprima
L’Apollonide di Bertand Bonello: recensione in rnteprima da Cannes
L’Apollonide – Souvenirs de la Maison Close (Francia, 2011) di Bertrand Bonello. Con Hafsia Herzi, Adele Haenel, Jasmine Trinca, Noémie Lvovsky, Louis-Do de Lencquesaing e Céline Sallette. Apriamo, madame et monsieur (dato il contesto, qualche licenza francese potete pure concedercela), questa nostra rassegna dei film presentati al Festival della ridente cittadina di Cannes. Ed è solo per motivi logistici, è bene precisarlo, se il primo di questa nostra (si spera) corposa carrellata di materiale è l’ultima fatica di Bertand Bonello.
L’Apollonide è quello che i più moderni definirebbero un “luogo in” della Parigi bene. Frequentato da uomini abbienti, la merce trattata è di qualità eccelsa. Oltre agli ammennicoli vari, che denotano eleganza ed un ricercato buon gusto, è la materia prima ad attrarre così tanto e così tanta gente di eguale estrazione. Insomma, qualora non si fosse capito, L’Apollonide è un bordello! Ops, pardòn… forse sarebbe più opportuno scrivere “casa di tolleranza”?
Non sapremmo dire, ma qualcuno sosteneva che la parole servono per essere adoperate, perciò così facciamo. Non fraintendete, però, questa nostra scanzonata introduzione. Il film in questione è duro come un pugno nello stomaco, talvolta anche troppo probabilmente. Com’è facile intuire dalle brevissime coordinate che vi abbiamo fornito, la trama ruota attorno alle donne che lavorano all’interno dell’Apollonide. Una, in particolare, calamita su di sé non poca attenzione, a causa di un dramma subito. Durante un incontro di routine con un cliente affezionato, quest’ultimo recide irrimediabilmente, da entrambi i lati, la bocca della donna, tale Madeline.
Ma questo non è che l’inizio. La pellicola del regista francese si confronta con un argomento assai delicato, tutt’ora ampiamente dibattuto. Per quanto possa essere finzione, tra l’altro, quella raccontata è una storia che trasuda realismo da tutti i pori, andando a toccare i tasti giusti in molte occasioni. Se non altro rischia di inquietare tanto i sostenitori del ripristino delle case chiuse, quanto coloro che non si pongono minimamente il problema.
Durante tutto il film assistiamo alla vita condotta dalle bellissime ragazze che lavorano all’Apollonide. Giovani e meno giovani, ognuna di loro cela un universo a sé stante che certi episodi possono solo sfiorare. Sì perché la notte sarà anche la loro dimensione, il sesso il loro campo di battaglia… ma c’è un’intera giornata alla quale dover far fronte. E’ enigmatico che in una delle prime sequenze, qualche istante prima che a Madeline venga deturpato il volto, appaia una maschera. Quasi mutuando un leit motiv di kubrickiana memoria, Bonello gioca sul profondo dualismo dei suoi protagonisti – che, lo ricordiamo, non sono solo le dipendenti ma anche i loro clienti.
Donne che rivendicano, a buon diritto, quell’umanità che quella vita estrema le ha quasi sottratto. Le vediamo, lì a portare avanti quel sordido gioco con i loro pseudo-spasimanti, con fare disinvolto, da “professioniste del mestiere”. Mestiere che, nonostante tutto, non ha ancora assorbito del tutto la loro esistenza, le loro identità. Quelle ragazze hanno sogni, nutrono speranze, anche se il tutto si “riduce” sostanzialmente alla libertà (e hai detto nulla); la stessa che all’Apollinide sarà sempre loro preclusa, così come la matrona rinfaccia candidamente ad una giovane aspirante.
Non a caso non sono certo i sorrisi che mancano, gli abbracci, le chiacchiere fine a sé stesse e tutta quella sfilza di frivolezze che ben si adattano a persone tutto sommato sane. Basta osservarle durante il loro giorno libero, tornare bambine, o far finta di esserlo. Quasi a voler riconquistare quell’innocenza che mai più tornerà. E basta poco, un libro – dal tono vagamente scientifico – per sprofondare il dito nella piaga. In esso si accomunano le prostitute ai criminali, partendo dal dato che entrambe le categorie hanno la testa piccola (?). Anche allora certe finte scienze erano ridotte male, evidentemente.
E chissà voi donne non riusciate a cogliere meglio talune sfaccettature, come il profondo legame che lega tutte le ragazze, a prescindere dai normali screzi dovuti alla forzata convivenza. Ma il film non è solo questo. L’opera del regista francese risulta a tratti paradossale, come quando abbiamo modo di udire dei brani decisamente più affini agli anni ’60 0 ’70 del ‘900, che a quelli dei primissimi anni dello stesso secolo. Senz’altro è criptica in alcune sue componenti, così come emerge dall’alternarsi di taluni salti temporali in avanti e indietro, seppur fugaci e non eccessivamente marcati.
Quanto a certe trovate prettamente più… (come dire?) “personali”, non possiamo nascondere di non aver sempre colto a pieno la crudezza di certe scelte. Passi l’esplicito richiamo visivo al contesto, che passa essenzialmente da molti nudi e scene decisamente spinte. Fino a qui ci sembra si sia optato per la scelta largamente più funzionale alla narrazione. Tuttavia, come accennato, alcune uscite le abbiamo trovate un po’ eccessive.
Ciò non toglie che a noi L’Apollonide è piaciuto. Ci ha colpito quel suo voler soffermarsi sul rovescio della medaglia di un mestiere così vecchio che ci sembra naturale legittimarlo anche solo per questo. Ognuno avrà una propria idea a riguardo, ponderata o meno che sia. Fatto sta che il semplice, puro e sfrenato piacere per il sesso pare non disporre di legna a sufficienza per continuare ad ardere. O almeno, questo ci dice Bonello, il quale però non nutre chissà quale speranza. E lo fa dire agli stessi protagonisti, quando l’avvicendarsi tra le case di tolleranza e la strada comincia a divenire realtà.
L’impressione, in buona sostanza, è che la differenza tra un copertone che brucia ed un’ambientazione di lusso – qual era quella garantita da posti come L’Apollonide – sia più poetica che sostanziale. La miseria è la stessa, così come il divertimento, lo svago e la spensieratezza di chi ci passa e di chi ci rimane. Ciò che in simili scenari poteva avvenire dentro una vasca colma di champagne (sì, si vede anche questo nel film), adesso, semplicemente, accade sul sedile posteriore di un’automobile qualsiasi, o, al peggio, dietro un vicolo nascosto, inghiottito dal buio.
Ora come allora, dunque, non è il sesso il problema. Ora come allora bisognerebbe capire chi, ed in che misura, viene profondamente segnato da tutto ciò. Come quel cliente facoltoso, che racconta alla matrona di non poter più fare a meno di quelle puttane, alle quali è legato a tal punto da aver instaurato un rapporto che va al di là dell’amore, seppur tutto si riduca a delle pittoresche scopate. Per poi sentirsi rispondere dalla non più giovane donna, serafica: “ti capisco, so cosa vuoi dire“. E chissà che la maschera permanente (in tutto e per tutto simile a quella del Joker) di Madeline non stia ad indicare proprio questa sua condizione infame, beffarda: “ridi, cara… non ti resta altro da fare“.
Voto Antonio: 8