Cannes 2013, domenica 26 maggio: chi vincerà la Palma d’oro?
Festival di Cannes 2013: ultimo giorno con la consegna dei premi di questa 66. edizione. Chi vincerà la Palma d’oro? Tra i rumor delle ultime ore sono in molti a dire i nomi di Farhadi, dei Coen, di Sorrentino, Kechiche e pochi altri. Il cerchio si stringe, ma tutto può succedere.
Capita a volte di non riuscire a far quadrare il cerchio. Capita che ti ritrovi il penultimo giorno ad urlare contro il cielo perché non hai ancora visto Venere in pelliccia di Roman Polanski, ma quando noti che c’è una replica prima della premiazione allora stai un po’ più tranquillo. Un modo come un altro per dirvi che sì, la recensione dell’ultimo film in concorso arriva tra un po’. Anzi: è apparsa come per magia!
Capita quindi che ti ritrovi a prendere il programma in mano, a farti un paio di conti e vedere quel che ti sei perso e puoi recuperare. Capita quindi che non puoi perderti l’ultimo Alejandro Jodorowsky, il suo primo film da 23 anni a questa parte. E capisci, a fine festival, cosa vuol dire “urgenza”: perché l’ultimo Jodorowsky è quasi il primo, nel senso che costruisce una fantasmagoria sul suo passato, sulla storia del suo paese, sulla vita, sulla famiglia e sull’arte che è una montagna russa.
La Danza de la Realidad travolge e lascia perplessi, fa sorridere e a tratti pure un po’ sbadigliare, fa togliere lo sguardo dallo schermo e altre volte lo tiene incollato. Chi lo definiva fino a pochi giorni fa un documentario ha cannato di grosso, e non solo perché è pura “fiction” costruita con i ritagli dei ricordi e delle schegge della Storia (personale, altrui e pubblica), ma perché è puro cinema. Sbandato, irregolare, folle, sovraccarico, volgare e autoriale. Jodorowsky è tornato, e per fortuna non è ancora la tazza di the di tutti.
Capita anche che ti ripeschi il vincitore della Quinzaine, Les Garçons et Guillaume, à table! di Guillaume Gallienne, tratto da un suo spettacolo teatrale, e capisci che l’ego strabordante di una persona può essere davvero irritante. Il film è un evidente crowdpleaser dal ritmo spesso fulminante, ma costruito tutto su scenette macchiette stereotipi. Racconta la propria storia personale, vero: ma il discorso queer di fondo può pure rivelarsi un boomerang.
Passiamo oltre. La questione ora è questa: chi vincera la Palma d’oro? Nelle ultime ore sono circolati rumor che vorrebbero sicuramente i Coen e Sorrentino nel palmares. Ma dei rumor “del giorno prima” non bisogna mai fidarsi molto. Mentre ci si può fidare un po’ di più delle voci che dicono che Spielberg abbia amato alla follia The Past di Farhadi, anche perché è dalla proiezione ufficiale che questo rumor non viene meno.
Insomma, per i quattro premi principali (Palma, Gran premio della Giuria, Premio della Giuria e Palma per la regia) la lotta sembra essere tra Farhadi, i Coen (Inside Llewyn Davis), Sorrentino (La grande bellezza), Kechiche (La vie d’Adele), Kore-eda (Like Father Like Son) e Jia (A Touch of Sin). Qualcuno ipotizza anche un premio per James Gray, magari per la regia (ovvero la cosa migliore di The Immigrant). Farhadi e i Coen sono il lizza anche per il premio per la sceneggiatura, assieme a Payne (Nebraska mi pare il candidato più forte), Polanski, Kore-eda e Soderbergh (Behind the Candelabra).
La scelta tra le attrici è vastissima. Se la Palma andrà a Kechiche, non potranno essere premiate Adele Exarchopoulos e Lea Seydoux per La vie d’Adele, e viceversa. Le concorrenti più agguerrite sembrano essere Bérénice Bejo (The Past), Marion Cotillard (The Immigrant), Marine Vacth (Jeune et jolie) ed Emmanuelle Seigner (Venere in pelliccia). Un po’ fuori dai giochi Kristin Scott Thomas (Solo Dio perdona). Ma tutto può succedere, e molto dipenderà dagli incastri fra i vari titoli e premi ad opera della Giuria: la combinazione col premio attoriale è consentita solo con il premio alla sceneggiatura.
Per quel che riguarda invece il miglior attore la sfida sembra essere a tre: Michael Douglas (Behind the Candelabra), Toni Servillo (La grande bellezza) e Oscar Isaac (Inside Llewyn Davis). Occhio però all’outsider, ovvero al Souleymane Deme di Grigris, film che potrebbe far breccia nella Giuria para-hollywoodiana perché di una cinematografia “altra”, quindi da sostenere.
Staremo a vedere: noi alle 19 saremo collegati da Cannes per aggiornarvi in diretta seguendo la cerimonia di premiazione.
The Immigrant è la delusione del concorso, che si chiude con Polanski e Jarmusch
È normale che sia così, ma ancora ci si resta male quando alcuni autori particolarmente amati ed attesi deludono. Ancora di più quando si è ad un festival, in cui l’eccitazione per gli esiti delle nuove fatiche dei registi è sempre particolarmente alta. Non è certo il film più brutto del concorso, quello di James Gray, e non è certo l’unico a non essere stato all’altezza delle aspettative.
Ma, fra tutti i titoli in corsa per la Palma d’oro, è inutile negare che The Immigrant mi sembra quello più deludente. Innanzitutto perché non vale gli altri film del regista, soprattutto l’ultimo, splendido Two Lovers. E poi perché, pur essendo fatto con raffinatezza e pur avendo il solito stile “classico” di Gray, non prende mai al cuore. E da una difficile storia d’immigrazione che diventa anche un triangolo amoroso non ce lo aspettavamo.
Meno male che ci sono i vampiri di Jim Jarmusch, ovvero gli splendidi Tom Hiddleston e Tilda Swinton, coppia da secoli che ne ha passata tante (dal Medio Evo all’Inquisizione e via dicendo) e che conosce tutto perché non le è certo mancato il tempo di imparare. Solo che lui è rimasto un po’ indietro con la tecnologia: vuoi vedere che il mondo negli ultimi anni si è evoluto così in fretta? Peccato che si sia evoluto solo da quel punto di vista, perché Jarmusch ci ricorda che continuiamo ad essere degli “zombie”, oggi più di ieri.
Only Lovers Left Alive è già titolo di culto, pronto a fare il giro degli States negli spettacoli di mezzanotte (ne esistono ancora da qualche parte, no?). Film notturno come alcuni primi titoli del regista, romantico e malinconico, si prende il suo tempo per far parlare i suoi personaggi, farli ballare, sparare frecciatine…
Il film è ufficialmente quello che chiude oggi il concorso del Festival di Cannes 2013, anche se la stampa l’ha già visto ieri sera. Prima avrà la sua proiezione di gala l’attesissimo Venus in Fur di Roman Polanski, che vede Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric unici protagonisti di un ennesimo gioco al massacro condito di feticismo. Entro domani leggerete la nostra recensione in anteprima. E domani passeremo alle previsioni sulla Palma d’oro e gli altri premi, che noi seguiremo in diretta.
24 maggio: commuove Nebraska di Alexander Payne; arriva The Immigrant di Gray
Apprezzo Alexander Payne, e al contrario di molti critici italiani non trovo che sia proprio così “furbo” come viene descritto troppo spesso (come se altri non lo fossero, e come se fosse sempre un difetto). Mi piacciono le storie che porta sul grande schermo, mi piace il suo stile sobrio e al servizio della storia, mi piace il suo umorismo.
Il cinema di Payne è pacato e scritto in punta di penna, e non vuole dimostrare niente a nessuno. Ogni tanto prova a fare un ragionamento più profondo rispetto a quello che c’è in superficie, come in quest’ultimo Nebraska, che è si l’ennesimo road movie, in questo caso tra padre e figlio (a cui si uniscono poi madre e fratello), ma è soprattutto un affresco triste e non banale sul ricordo e sulle radici degli States.
Come sempre bittersweet, sospeso tra amaro e dolcezza, Payne usa il bianco e nero quasi a testimoniare che questo è il suo lavoro più piccolo, quasi di un”altra epoca” (vedi il logo vintage della Paramount). Ci sono pure le tendine! Straordinari Bruce Dern e June Squibb, nel film coppia sposata da anni con lei che vorrebbe rinchiudere lui in casa di riposo, ma infine gli dà un tenerissimo bacio sulla guancia.
Convince meno Michael Kohlhaas di Arnaud des Pallières, adattamento della novella di Heinrich von Kleist che il regista ha provato per anni a portare sul grande schermo. Come scriviamo nella recensione il film parte bene, ma poi si affloscia a causa di troppi discorsi su giustizia e moralità. Un gran peccato, vista anche l’ennesima bella prova di Mads Mikkelsen.
Il film ha la sua proiezione di gala questa sera, subito dopo quella di uno dei titoli più di attesi di quest’edizione del festival: The Immigrant di James Gray. Il film narra una storia di immigrazione a Manhattan negli anni 20, ed è interpretato da Marion Cotillard, Jeremy Renner e Joaquin Phoenix. Per Gray è la quarta volta consecutiva (su cinque film) in corsa per la Palma d’oro. L’ultima fu col suo film precedente, lo splendido Two Lovers, ed era il 2008.
Nella Quinzaine abbiamo visto anche Magic Magic di Sebastián Silva. Diciamo subito che del regista cileno preferiamo senz’altro La Nana (arrivato da noi con l’improponibile titolo Affetti e dispetti), ma questo suo ultimo lavoro non è privo di interesse. Racconta la storia di alcuni ragazzi che passano una vacanza in una villa sul mare, ed è girato con quella tensione e claustrofobia già viste in La Nana.
Alicia, che vive in California ed è la cugina di una delle ragazze del gruppo, inizia a dare di matto anche a causa dei comportamenti dei ragazzi. Silva affronta un discorso tutto incentrato su psicologia e percezione degli atti altrui: Alicia è pazza? Sta esagerando? E gli altri ragazzi si rendono conto della situazione o no? Tra ambiguità e tensione, mi pare che il risultato sia centrato. Il cast, capitanato da un’intensa e fragile Juno Temple, è poi molto convincente.
23 maggio: La Vie d’Adele è da Palma d’oro; applausi e fischi per Solo Dio Perdona
Habemus Palmam? Non è così scontato: dobbiamo ancora vedere cinque film del concorso. Ma La Vie d’Adele (titolo internazionale Blue is the warmest colour) è un capolavoro. Ci riporta l’Abdellatif Kechiche che amiamo di più, quello onesto energico naturale ed emozionante de La schivata e Cous Cous. Con un film su una storia d’amore tra due ragazze, che è anche un coming-of-age ed una nuova tranche de vie nello stile del regista.
C’è tutto il cinema di Kechiche in La Vie d’Adele, ed anche oltre. Ne parliamo meglio nella nostra recensione, e adesso vi basta sapere che ci sono delle scene di sesso fortissime e carnali, c’è una storia d’amore toccante e addirittura straziante, ci sono due protagoniste (Lea Seydoux e Adele Exarchopoulos) da premio immediato. Dura 3 ore, che però volano via in un lampo e fanno impallidire ogni scenetta ironica di Un chateau en Italie.
Passiamo poi al film che doveva spaccare il festival e che ha invece spaccato la critica, tra fischi e applausi alla prima stampa. Non ci sono mezze misure nelle reazioni ricevute da Solo Dio perdona, il film che riunisce la coppia di Drive formata dal danese Nicolas Winding Refn e da Ryan Gosling. In molti si aspettavano Drive 2, nonostante il regista avesse già avvisato che sarebbe stato completamente diverso.
E infatti Refn ti rifà parzialemente Valhalla Rising con una patina à la Drive. Il regista chiude subito la parentesi “romantica” del suo precedente lavoro e torna al suo cinema hardcore e crudo: quello che faceva quando ancora se lo filavano in pochi, quindi quando ancora non veniva fischiato perché ai festival non lo chiamava nessuno.
Con Solo Dio perdona in molti si aspettavano di nuovo un film con l’elettronica anni 80 e i neon rosa, e invece si ritrovano con l’oscura lentezza di un omaggio a Jodorowsky (dichiarato all’inizio dei titoli di coda, fra l’altro) e i neon blu e rossi. D’altra parte Refn fa un film sull’Inferno, quindi cosa volere di diverso? I detrattori, paradossalmente, lo stroncano per i motivi sbagliati.
Incubo castrante (il maschio fa delle fini atroci, ben peggio delle donne), sintesi di stilemi estetici orientali e occidentali, una storia che sta tra vendetta e sensi di colpa “incestuosi”. Solo Dio perdona parla della ricerca della redenzione: che non c’è mai, perché il diavolo te lo trovi ovunque in ogni momento. E se Dio perdona, il diavolo non ne ha alcuna voglia.
Però. Però devo ammettere che, anche se lo vorrei tanto, non me la sento di difendere con unghie e denti quest’ultimo Refn. Lo dico col cuore in mano, alla faccia dei tanti che fanno i salti di gioia nello sbeffeggiare un autore di cui odiano tutto a priori. Durante la visione ho infatti avuto l’impressione costante di un lavoro posticcio e, ahimè, piuttosto inutile (quanto odio questa parola: mi prenderei a schiaffi solo per averla usata davvero).
Mi piace molto il “coraggio” di Refn, a cui stringerei di corsa la mano per non aver fatto davvero Drive 2: il pubblico si meritava qualcosa di diverso. Mi piacciono le intenzioni, mi piace lo stile del film. Adoro Kristin Scott Thomas, madre carogna e inquietante. Mi piace quando Refn fa menare Gosling e Pansringarm e li riprende in campo lungo e, al solito, fa davvero sentire le botte. Trovo la scena della tortura sulla poltrona raggelante, quindi riuscitissima. Però ecco: se devo difendere davvero un film di Refn, spendo le mie forze per farlo col sottovalutato Valhalla Rising.
È piaciuto a tutti All Is Lost, opera seconda di J.C. Chandor, il regista di Margin Call. Che è uno da tenere seriamente d’occhio, e già aspettiamo trepidanti il terzo film. Perché il ragazzo ci sa fare: ha una tecnica robusta che gli consente di affrontare dei veri film-sfida (il one man show di Robert Redford naufrago in mezzo all’oceano per più di 100 minuti) e temi importanti (la crisi finanziaria di Margin Call).
Un film davvero notevole, presentato fra gli applausi e che non potrà passare inosservato quando uscirà nelle sale americane a fine ottobre. Si tratta poi del periodo in cui la “macchina Oscar” inizia a scaldare seriamente i motori: in questo momento ci sentiamo di azzardare che Redford è un serio pretendente alla nomination come miglior attore protagonista. Staremo a vedere. Curiosità: il film è stato selezionato fuori concorso e non nella competizione perché si dice che fosse “troppo commerciale” secondo i selezionatori.
Oggi, assieme a La Vie d’Adele, passerà in concorso l’attesissimo Nebraska di Alexander Payne, che la stampa vedrà la mattina. La sera, invece, i giornalisti vedranno il misterioso Michael Kohlhaas di Arnaud des Pallières con Mads Mikkelsen.
22 maggio: sorprendono Steven Soderbergh e Claire Denis; arriva Solo Dio Perdona
Passato ieri il giro di boa, abbiamo finora visto 13 film in concorso su 20. La media dei titoli in corsa per la Palma d’oro quest’anno è decisamente alta, e non sono pochi quelli che potrebbero ambire al premio. E mancano ancora i film Payne, Gray, Jarmusch, Polanski… Oggi è il grande turno di Solo Dio Perdona di Nicolas Winding Refn, con Ryan Gosling e Kristin Scott Thomas. Una delle pellicole più attese della rassegna, in uscita nelle nostre sale il 30 maggio.
Mentre aspettate la nostra recensione potete leggere quella di Grigris, il secondo film del concorso ufficiale che ha la sua proiezione di gala oggi, ma che è già stato visto ieri sera dalla stampa. Una bella delusione il film africano di Mahamat Saleh-Haroun, visto anche che si tratta di uno dei favoriti per la Palma secondo i bookmaker.
La nostra impressione è che Grigris abbia davvero possibilità di non andarsene a mani vuote: una giuria “hollywoodiana” potrebbe voler premiare una cinematografia “altra”. Ma se proprio vogliono e devono fare così, speriamo si limitino ad un premio minore: sono troppi i titoli ben superiori a Grigris. Ci si è acceso anche un campanello d’allarme: non è che il protagonista Souleymane Démé sarà premiato come miglior attore battendo i favoriti Michael Douglas e Toni Servillo? Mmm…
Ieri la giornata ha regalato due belle sorprese. In concorso ha sorpreso la linearità, l’efficacia e l’intelligenza di Behind the Candelabra, l’ultimo (per ora) lavoro di Steven Soderbergh sulla storia d’amore tra Liberace e il suo amante segreto. Pazzeschi Douglas e Matt Damon, per quello che è davvero uno dei lavori più riusciti e sentiti del prolifico regista.
Nell’Un Certain Regard ha creato invece scompiglio Claire Denis con Les Salauds, storia noir che fa tornare la regista al suo cinema più crudo ed hardcore. Un uomo viene richiamato a Parigi: la sorella è disperata perché il marito si è suicidato, la famiglia è in bancarotta e la figlia è scomparsa. La donna crede di conoscere il rapitore, e l’uomo si trasferisce in un appartamento vicino alla sua presunta amante.
Chi non conosce il cinema della Denis resterà sicuramente spiazzato guardando Les Salauds, un’opera che contiene tutte le caratteristiche del suo cinema: una storia misteriosa e poco chiara, musiche spiazzanti, costruzione del ritmo diseguale, un’atmosfera che diventa sempre più disturbante ed inquietante. Un cinema radicale, che non fa sconti, che sbanda come le auto che sfrecciano nel film e che anche per questo sa regalare delle “sensazioni” come ormai si trovano raramente.
Oggi la stampa potrà vedere pure il film più lungo del concorso, La vie d’Adèle (conosciuto anche come Blue is the Warmest Colour), che ci riporta l’Abdellatif Kechiche di Cous Cous, dopo il discusso Venere nera. Il film dura tre ore, quindi un poco più della media del regista. Non vediamo l’ora.
Fuori concorso è il turno invece di All Is Lost di J.C. Chandor, la sua opera seconda dopo Margin Call. Il film vede come unico protagonista Robert Redford nei panni di un naufrago che deve sopravvivere nell’Oceano Indiano: diverrà cibo per squali? Stay tuned…
21 maggio: la stampa applaude Sorrentino tre volte; è anche il giorno di Steven Soderbergh
Giro di boa superato. Sono stati presentati 10 film del concorso, e la stampa ha già avuto modo di vedere anche La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, che avrà la sua proiezione di gala stasera ed esce oggi nelle sale italiane. Alla proiezione stampa di ieri sera ci sono stati ben tre momenti di applausi sui titoli di coda. Il film ha colpito parecchio, anche se è già destinato a dividere tutto e tutti.
La maggioranza dei critici francesi non lo amerà. Dopotutto i Cahiers si sono scagliati apertamente contro Sorrentino: ma noi a Venezia avevamo mangiato il “loro” Un Été Brûlant, quindi 1 – 1 e palla al centro… Gli spagnoli, invece, stanno adorando il film e molti inneggiano alla Palma d’oro. Staremo a vedere: per noi La Grande Bellezza è un film bellissimo, come scritto nella recensione.
La giornata di ieri è stata per il resto decisamente deludente. Ha lasciato con l’amaro in bocca Shield of Straw, che si è beccato i primi (e finora unici) sonori fischi del concorso. Miike sposa la confezione hollywoodiana, ma il matrimonio non funziona. Potete leggere cosa ne penso più dettagliatamente nella nostra recensione. Abbiamo poi visto anche Un château en Italie di Valeria Bruni Tedeschi, unica donna del concorso: vi anticipiamo che è per chi scrive il peggior titolo della competizione.
Delusione anche per Blood Ties di Guillaume Canet e scritto da James Gray. Si tratta di un crime movie ambientato nella Brooklyn degli anni 70, nel quale due fratelli stanno in due parti opposte della barricata: uno, Billy Crudup, è poliziotto, l’altro, Clive Owen, è appena uscito dal cercare. Il secondo tenta di rifarsi una vita, ed entrambi trovano anche la fidanzata (Zoe Saldana e Mila Kunis). Ma i guai non sono lontani.
Lo zampino di Gray si vede soprattutto nel soggetto, più che nello script, che è invece parecchio stereotipato e allungato (140 minuti per una storia del genere sono troppi). E l’uso della musica, soprattutto sul finale, può davvero uccidere. Un prodotto, si dirà: già, c’è chi si accontenta. Curiosità: Marion Cotillard, che interpreta l’ex moglie di Owen, è una immigrata italiana, e nel film parla spesso la nostra lingua. In più gestisce una casa chiusa. In The Immigrant, il film in concorso di James Gray, interpreta un’immigrata polacca che viene costretta a prostituirsi.
Oltre al film di Sorrentino, oggi è il giorno di Behind the Candelabra, il queer movie di Steven Soderbergh sulla vita di Liberace, con Michael Douglas e Matt Damon. Ma i nostri occhi sono tutti per Claire Denis, che presenta in Un Certain Regard il suo Les salauds. Il film era atteso da molti nel concorso, ma poi ha trovato spazio in questa sezione: oggi capiremo se vale più o meno di Un chateau en Italie…
20 maggio: La Grande Bellezza di Sorrentino si svela alla stampa; Borgman ufo del festival
Il gran giorno non è ancora arrivato, visto che La Grande Bellezza avrà la sua proiezione di gala domani sera, nella giornata in cui la pellicola viene distribuita in Italia. Ma la stampa potrà vederlo già oggi, alle 19. La paura dei giornalisti italiani è quella di restare fuori dalla Salle Debussy: due giorni fa erano tantissimi infatti gli accreditati blu (non parliamo dei gialli) che sono stati rimbalzati alla prima di Inside Llewyn Davis. Certo, sono i Coen; certo, il loro era almeno tra i primi 3 film di punta della stampa internazionale; ed era pur sempre il sabato del primo week-end.
Fatto sta che oggi, verso sera tardi, si sapranno già le prime reazioni al film, ed usciranno le primissime recensioni, tra cui ovviamente la nostra. Potete invece già leggere la recensione di Borgman, il film olandese e l’ufo del concorso. Un film che per alcuni è stata una vera rivelazione, il cult del festival. Per chi scrive si tratta solo di un abbaglio collettivo…
Ieri abbiamo poi avuto modo di vedere, all’interno del programma della Semaine de la Critique, l’attesissimo Ain’t Them Bodies Saints, il film diretto da David Lowery che tanta fortuna ha avuto all’ultimo Sundance. E se pensiamo che questa edizione è stata vinta dal sopravvalutato Fruitvale Station (leggi il commento nella sezione relativa al 17 maggio), mentre questo gli è ben superiore, non sappiamo che dire. Certo, Fruitvale Station è più diretto, più popolare, e Harvey Weinstein, che li distribuisce entrambi, farà meno fatica a venderlo rispetto all’opera di Lowery.
Ain’t Them Bodies Saints è una ballata indie ambientata in Texas, che vede per protagonista un uomo che fugge di prigione per poter rivedere la moglie e soprattutto la figlia che non ha mai conosciuto. Si tratta di una pellicola sicuramente risaputa dal punto di vista della trama, ma estremamente interessante dal punto di vista tecnico: la bellissima colonna sonora è quasi una presenza costante, e la fotografia è tutta giocata su colori forti ed evidenti chiaroscuri.
Mentre lo guardi sembra quasi che in certi momenti lo stai sognando, Ain’t Them Bodies Saints. Che col suo ritmo lento semina pian piano sottopelle tutti i semi che germoglieranno emotivamente verso la fine. Sono ben evidenti echi del cinema di Malick, e non è un caso che il regista sia anche il montatore di Sun Don’t Shine, che è come in questo caso la storia d’amore tra due delinquenti e che si rifà non poco a La rabbia giovane. Perfetti i tre interpreti principali, Rooney Mara, Casey Affleck e Ben Foster.
Oggi il concorso continua con Shield of Straw di Takashi Miike e Un chateau en Italie di Valeria Bruni Tedeschi: “curiosamente” il film dell’unica donna in concorso non ha proiezioni stampa. Speriamo quindi di recuperarlo domani. Fuori concorso, infine, c’è Blood Ties di Guillaume Canet, scritto da James Gray, che venerdì 24 svelerà finalmente il suo The Immigrant.
19 maggio: i Coen portano in concorso il loro magnifico Inside Llewyn Davis
Giorno 4 del Festival di Cannes 2013. Sono tre per ora i film che si contendono un premio importante: The Past, Like Father Like Son e A Touch of Sin. Non dovrebbe portarsi a casa nulla in teoria Jimmy P., il film americano di Arnaud Desplechin, con Del Toro nei panni di un nativo americano e Amalric in quelli dell’antropologo e psicoanalista Georges Devereux.
Ai francesi, manco a dirlo, piace pure: al resto del mondo decisamente meno. Colpa del regista che si appiattisce totalmente e si affida ai suoi due pur bravi interpreti, che però non possono reggere il film: che è un ragionamento monotono su psicoanalisi, etnie, rapporto medico-paziente che ricorda altri film (leggete quali nella recensione) senza averne la forza o il fascino. La prima vera grande delusione del concorso.
Non deludono affatto invece i Coen, che con il loro splendido Inside Llewyn Davis entrano prepotentemente nella rosa dei candidati alla Palma d’oro. Il film, come ho scritto nella recensione, è quasi un sequel ideale di A Serious Man, ma contiene tanto del cinema dei fratelli di Minneapolis. Tutto funziona che è una meraviglia. Il film avrà oggi la sua prima ufficiale, assieme a Borgman, il thriller olandese che la stampa vede oggi alle 08.30.
Convince nella Quinzaine des réalisateurs il primo film di finzione dell’inglese Clio Barnard, The Selfish Giant. Il tredicenne Arbor viene buttato fuori da scuola assieme all’amico Swifty, ed incontrano il rottamaio Kitten. Iniziano a raccogliere per lui del metallo di scarto. Le cose ovviamente iniziano a peggiorare e a diventare pericolose.
I film inglesi che descrivono un’Inghilterra povera, brutta e violenta fanno quasi un genere a sé. The Selfish Giant richiama alla mente le opere di Ken Loach e Andrea Arnold, ma anche Neds di Peter Mullan: eppure sembra qualcosa di (quasi) nuovo. Grazie ad una regia attenta alle atmosfere, la Barnard descrive la vita dei due ragazzini in modo sincero e crudo, e viene aiutata dalle loro fortissime interpretazioni. Una piccola grande sorpresa che ci auguriamo trovi la sua strada anche in Italia, e sarà il benvenuto se prima passerà anche per altri festival nostrani.
Per finire, siamo lieti di annunciarvi che, dopo mille incastri andati a male e due ore di fila e ritardi vari, siamo riusciti a recuperare The Congress di Ari Folman. Che dire? Ne scrivo meglio e in modo più dettagliato nella recensione, ma non è il film che mi aspettavo: non tutto funziona a dovere. Ma resta un esempio di cinema liberissimo, coraggioso, originale e, alla fine, pure toccante.
18 maggio: Farhadi e Kore-eda per la Palma; un film gay sorprende e dà scandalo
Venerdì 17: giornata di sciagura, in teoria. Lasciamo perdere il folle che ha sparato (a salve) sulla Croisette, su cui c’è ben poco da scherzare. Ma la giornata di ieri non solo ha riportato il sole – bentornato! -, ma soprattutto ha proposto film notevolissimi, tra le punte di questa edizione del Festival di Cannes.
Ad iniziare da The Past, il nuovo straordinario Asghar Farhadi. Un dramma famigliare “da camera” che carbura come un diesel e poi non molla più, come al solito col regista iraniano, che se la cava benissimo anche in Francia. Ho letto da qualche parte che anche se è a Teheran o a Parigi, Farhadi gira sempre benissimo e racconta storie universali. Permettetemi di dissentire: Una separazione traeva molta della sua forza anche dal contesto in cui era ambientato.
È con The Past, raccontando diversi personaggi, varie versioni e soprattutto “cambiando” protagonista all’interno del film stesso, che Farhadi si fa dichiaratamente universale. Il regista sa poi tirare fuori il meglio dai suoi attori: spicca, come ho già scritto nella recensione, una bravissima Bérénice Bejo. The Past è il primo serio contendente alla Palma d’oro, e sarà difficile vederlo andare a casa a mani vuote.
Così come si candida in modo prepotente per il premio maggiore, o comunque un premio importante, Like Father, Like Son, il nuovo film del giapponese Hirokazu Kore-eda. Il film avrà oggi la sua prima mondiale, ma è già stato visto ieri sera dalla stampa (qui la recensione): si tratta di un film diretto con mano leggera, con deliziosi tocchi d’ironia nello stile del regista, e che riesce davvero a commuovere. Il Presidente di Giuria Steven Spielberg lo amerà.
E se comunque da Farhadi e Kore-eda era lecito aspettarsi grandi cose, la vera sorpresa della giornata arriva dall’Un certain regard: L’Inconnu du Lac di Alain Guiraudie, il regista dello strampalato Le roi de l’évasion, passato a Cannes nel 2009 e poi visto in concorso a Torino. Si tratta di un film a tematica gay che ha fatto parecchio discutere per alcune scene di sesso molto esplicite, compresi un’eiaculazione ed una fellatio in primo piano. I personaggi, poi, sono praticamente sempre nudi.
Il film è ambientato sulla spiaggia di un lago frequentata da uomini che praticano il cruising. Franck frequenta la spiaggia e s’invaghisce di un certo Michel, e diventa amico del solitario Henri. L’Inconnu du Lac è un film ricco di ironia stralunata, ma anche inquietante e pensato in modo straordinario. Guiraudie ragiona sul sottile confine che delinea il desiderio e il pericolo, con uno stile originale e liberissimo notevole. Queer Palm, o un premio dell’Un Certain Regard, subito!
Ieri si è visto anche, sempre nell’UCR, il bel film di debutto di Valeria Golino, Miele, accolto bene pure dalla stampa estera. Oggi è il turno in concorso, oltre a Kore-eda, di Arnaud Desplechin col suo film americano Jimmy P., con Benicio Del Toro e Mathieu Amalric. Restate connessi per leggere la nostra recensione in anteprima.
17 maggio: non convince il vincitore del Sundance; è il turno del favorito The Past
Pioggia e disagio non smettono di tormentare la stampa sulla Croisette. Il malumore poi aumenta se non si riesce ad entrare in sala. Pare non siano pochi i giornalisti che non hanno preso parte alla prima proiezione stampa di The Bling Ring di Sofia Coppola (chi scrive per fortuna sì: ecco la recensione): le maschere avrebbero fatto entrare più persone con inviti del previsto, scatenando l’ira generale della stampa (bianca, rosa, blu, gialla…).
Era anche per moltissimi impensabile riuscire ad entrare alla proiezione d’apertura della Quinzaine, The Congress. Ci sono giornate “impossibili” ai festival, e ieri evidentemente era una di quelle. Nonostante tutto, il sottoscritto, rinunciando al film di Folman (spero di poterlo recuperare nei prossimi giorni), è riuscito a vedersi cinque film, di cui due in concorso: Jeune et Jolie di Ozon, già recensito in anteprima, e A Touch of Sin, che vi recensiremo oggi (vi anticipiamo che è un Jia inedito).
Ma è stata anche la giornata della presentazione in Un Certain Regard di Fruitvale Station, opera prima di Ryan Coogler che ha vinto l’ultimo Sundance Film Festival. La pellicola narra l’ultima giornata di Oscar, un ragazzo con compagna e figlioletta che ha appena perso il lavoro. È il 31 dicembre 2008, e il suo stress viene messo continuamente alla prova da diversi fattori esterni…
Cannes da un po’ sceglie di prendersi in questa sezione o il vincitore del Sundance o uno dei suoi titoli di richiamo. A volte la cosa funziona (Re della terra selvaggia, Blue Valentine), altre meno, come probabilmente in questo caso. Si tratta di un’opera basata su una storia vera durissima e tragica, quindi continuamente a rischio “manipolazione”: e si sente tutta.
Certo, l’ultima mezz’ora è tesa e può colpire, ma resta la sensazione di un film studiato per essere quello che è: un’opera che si prenderà lodi a destra e a manca per il suo “valore civile” e che, grazie al supporto non da poco di Harvey Weinstein (presente in sala) finirà dritta agli Oscar. C’è però qualcosa di ottimo: la recitazione di tutto il cast, dove spicca una Octavia Spencer bravissima nel ruolo della madre di Oscar, fiera e dignitosa.
Oggi è il grande giorno di uno dei favoriti per la Palma d’oro, The Past (qui la recensione), il nuovo film di Asghar Farhadi, regista del capolavoro Una separazione. Il secondo film in concorso della giornata ad avere la sua proiezione ufficiale è quello di Jia. Restate connessi per leggere le nostre recensioni in anteprima: compresa quello dell’italiano Salvo, che ha aperto il concorso della Semaine.
16 maggio: stampa gelida per Gatsby; scena shock in Heli; attesa per Bling Ring
Nuvole, vento e pioggia: benvenuti sulla Croisette! Primo giorno poco promettente dal punto di vista del meteo per il 66. Festival di Cannes: un tempaccio che ha già messo di malumore la stampa, che qui è sempre poco benevola di per sé coi film, figurarsi nelle condizioni più scomode… E infatti a farne le spese è stato Il Grande Gatsby, il film di Baz Luhrmann che ha aperto quest’edizione.
Partiti i titoli di coda c’è stato un silenzio gelido. Per chi scrive si tratta del miglior modo per esprimere il proprio dissenso, al contrario di fischi e buu che comunque non tarderanno ad arrivare: a dir la verità il film si è poi preso qualche isolato buu, a cui è seguito “per reazione” qualche timido applauso. Il Grande Gatsby non è orrido come dicono, e Luhrmann gira con stile oggettivamente personale e spesso potente: poi può non piacere il suo cinema. I problemi però non sono pochi, e li ho segnalati nella mia recensione scritta subito dopo la prima proiezione stampa delle 10. Giudicherete voi a partire da oggi, visto che Il Grande Gatsby arriva finalmente in sala.
Ieri c’è stata poi la prima proiezione stampa di un film in concorso: quella di Heli, già recensito in anteprima. L’opera messicana di Amat Escalante racconta la storia di una famiglia che viene imbrigliata in un turbine di violenza e corruzione nella città di Guanajuato. Tra cani uccisi senza pietà, sevizie e uccisioni, salta fuori la prima scena shock del festival, che ha fatto praticamente urlare la sala Debussy al completo: i torturatori e rapitori del caso danno fuoco ai genitali di un uomo.
Oggi la giornata è davvero ricchissima e densa di appuntamenti. Il concorso continua per la stampa al Lumière alle 08.30 con l’atteso Jeune et Jolie di François Ozon: si dice sia uno dei titoli che farà scandalo, vista la storia (il ritratto di una giovane prostituta). Chissà. Bisogna poi scappare subito alla Debussy, perchè alle 11 c’è l’attesissimo Bling Ring di Sofia Coppola, che apre l’Un Certain Regard. Emma Watson è già sulla Croisette assieme al resto del cast. I due film avranno le loro proiezioni ufficiali quasi in contemporanea, alle 19.30 e alle 19.45 nelle stesse sale.
E si continua con Fruitvale Station – il vincitore del Sundance -, The Congress di Ari Folman (che apre la Quinzaine des Réalisateurs) e Salvo di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, opera prima italiana che apre il concorso della Semaine de la Critique. Ma non finisce qui: la stampa potrà poi vedere anche il terzo film in concorso, A Touch of Sin di Jia Zhang-ke, che avrà la sua proiezione di gala domani. Come seguire tutto questo? Un paio di (auto)consigli: dono dell’ubiquità, sperare di poter entrare a tutte le proiezioni, e togliere almeno un film dal proprio programma…
15 maggio: tutti in attesa de Il Grande Gatsby
Ormai ci siamo: oggi inizia ufficialmente il 66. Festival di Cannes. Le danze vengono aperte dalla proiezione fuori concorso de Il Grande Gatsby, che fa tornare il regista Baz Luhrmann sulla Croisette a 12 anni di distanza da Moulin Rouge, col quale aprì Cannes 2001. In America è già uscito da un po’ di giorni, e in altri paesi ci sono già state proiezioni stampa del film (gli inglesi, ad esempio, hanno da poco rotto quasi in segno di ribellione l’inutile embargo posto sulle loro recensioni).
E se la versione in 3D di Luhrmann del romanzo di F. Scott Fitzgerald ha già diviso i critici che l’hanno vista, servirà a Cannes per aprire questa edizione tra le stelle: sul red carpet sono attesissimi Leonardo DiCaprio, Carey Mulligan (che calcherà il tappeto rosso anche per Inside LLewyn Davis dei fratelli Coen, in concorso) e Tobey Maguire. Poteva la Croisette non ospitare una prima proiezione del genere, nonostante la non prima mondiale? Forse sì: ma la macchina-festival è anche questo. Il Ritz Carlton sul Boulevard de la Croisette, non a caso, festeggia il film con enormi character poster posti sulla sua facciata.
La prima proiezione stampa de Il Grande Gatsby si tiene oggi alle 10 di mattina nella seconda sala più grande del festival, la Salle Debussy: quindi mentre leggete queste righe o il sottoscritto è in sala, o è stato rimbalzato causa troppa gente (ma c’è una replica alle 16), o ha già pubblicato la sua recensione in anteprima. La proiezione ufficiale del film si tiene invece questa sera alle 19.15 dopo la cerimonia di apertura, presentata da Audrey Tautou. Presenzierà tutta la Giuria, vista la serata di gala: e con Spielberg e la Kidman ad unirsi a DiCaprio sul tappeto rosso, si prevede una folla da panico. Verso le 22 di ieri c’era addirittura gente nelle vicinanze del red carpet con tanto di sedie: non voglio pensare nemmeno per un attimo che fossero lì per “sondare il terreno”, però…
Il festival continua nella giornata di oggi per la stampa con la proiezione di Heli, il primo film del concorso ufficiale che si mostrerà sulla Croisette. Il film del catalano (ma ormai messicano) Amat Escalante è uno degli oggetti più misteriosi della selezione: ma tra corruzione, cartelli della droga e violenza, l’opera stuzzica già il palato… Il film avrà poi la sua prima ufficiale nella giornata di domani.
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