Cannes 2014: Palma d’Oro a Winter Sleep, film turco di Nuri Bilge Ceylan
Il regista turco si aggiudica la sua prima Palma d’Oro alla quinta partecipazione al Festival di Cannes, dopo un Premio per la Regia e due Gran Premi della Giuria
Un palmares imprevedibile. Eppure su un premio non abbiamo avuto dubbi quasi da subito, ossia la Palma d’Oro. Stamane nel consueto appuntamento con il nostro diario giornaliero lo avevamo dato per scontato ed infatti alla fine così è stato: Winter Sleep vince il massimo premio qui a Cannes. Meritato? Beh, il film di Ceylan è un film che odorava di Palma da tempo, già prima di essere proiettato al Festival. Al di là delle sensazioni, sempre troppo aleatorie, era il film che più di tutti soddisfava certi requisiti, tanto che a un certo punto sembrava così telefonata che per un momento abbiamo creduto che i pronostici potessero essere ribaltati. C’est la vie, direbbero da queste parti.
Ad ogni modo ci sembra un giusto riconoscimento nei riguardi un regista che Cannes ama particolarmente, tanto da invitarlo sulla Croisette a partire dal suo terzo film, Uzak. Era il 2002 e da allora Nuri Bilge Ceylan non ha mai lasciato questa manifestazione a mani vuote. Proprio con Uzak arriva il Gran Premio della Giuria, ma non è che l’inizio. Certo, nel 2006 con Il piacere e l’amore (Iklimler) si è dovuto “accontentare” di un premio FIPRESCI, ma ci sono voluti appena due anni per vincere la miglior regia per Le tre scimmie (Uc Maymun), altra tappa importante d’avvicinamento. Alla sua quarta partecipazione, infatti, nel 2011, C’era una volta in Anatolia si aggiudica nuovamente il Gran Premio della Giuria, battuto solo dall’incontenibile The Tree of Life.
Capite allora con quali e quante aspettative il regista turco potesse avvicinarsi a questo appuntamento. Che alla fine lo ha visto trionfare, avendo ragione su altre potenziali ed accreditate Palme, su tutti Mommy e Leviathan. In conferenza stampa il presidente di Giuria, Jane Campion, ha motivato tale scelta con le seguenti dichiarazioni: «se fossi stata io a scrivere certi personaggi sarei orgogliosa di me», aggiungendo che a dispetto della già cospicua durata «non avrebbe avuto problemi se il film fosse durato due ore in più». Ecco invece cosa scrivemmo a chiusura della nostra recensione, pubblicata appena qualche giorno fa su queste pagine.
Winter Sleep, nonostante tutto, va affrontato con disinvoltura, consapevoli che nulla di veramente buono si ottiene senza fatica. Da quanto appena rilevato si potrebbe trarre una lezione ulteriore che Ceylan ha voluto (in coscienza o meno) impartire; ma poi si rischia di farsi dare del moralista. E allora costoro stiano certi che non per loro è stata concepita tale pellicola. O meglio. Certi epigoni della via più facile ne beneficerebbero primariamente; noi, per esempio, ne abbiamo tratto enorme giovamento, a più livelli. «Il mio regno sarà piccolo, ma di questo regno almeno sono il re», sbatte in faccia Aydin ad una Nihal stremata. Basterebbe andare al cuore di questa frase per comprendere parecchie cose. E Winter Sleep è decisamente una di queste, sì.
Impressioni che chiaramente ribadiamo, non fosse altro che il ricordo è ancora fresco. Così come in fondo ci diciamo soddisfatti, perché sebbene le nostre personali preferenze tendessero un po’ altrove, Winter Sleep rimane un gran bel pezzo di cinema: impegnativo, serio, importante. Ed in un’annata come questa, tra un Godard e un Dolan (rispettivamente il più anziano ed il più giovane in concorso) che irrompono facendo saltare tante regole, la scelta più sicura non poteva che cadere su Ceylan. Al quale estendiamo i nostri virtuali complimenti.