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Cannes 2015: voti, recensioni e considerazioni conclusive

Al termine di questa sessantottesima edizione del Festival di Cannes, ecco le nostre considerazioni, i nostri bilanci, attraverso ricordi, tracce e collegamenti

pubblicato 25 Maggio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 15:33

Pare di essere nel periodo dei Mondiali, di calcio chiaramente. Uno di quelli dove la nazionale ha giocato bene, benissimo, salvo poi perdere in finale. Viene in mente Italia ’90, forse l’unico tra quelli in cui gli azzurri sono arrivati più o meno fino in fondo senza esprimere un calcio eccezionale magari, ma senza prendere nemmeno un gol fino alla semifinale con l’Argentina. Solo che qui di «notti magiche» non ne abbiamo vissute, perciò trovare un corrispettivo esatto è affare arduo. Lasciamo da parte le suggestive metafore calcistiche dunque, e focalizziamoci su ciò che è stata questa edizione numero sessantotto del Festival di Cannes.

Alla vigilia gongolammo per i tre italiani in Concorso, quel Sorrentino-Moretti-Garrone che improvvisamente ci ha ricordato quanto il nostro cinema non sia poi così indietro; anche se, certo, trattasi di individualità, come nel nostro calcio prima di Arrigo Sacchi (termino qui, ve lo prometto). Ci abbiamo sperato, per quanto sappiamo che quello dei premi è un gioco, che non sempre rispetta i valori o, peggio, le aspettative. Un po’ meno “giocoso” lo sarà per chi non vince, ci crediamo, ma i segnali sono ugualmente importanti. Specie se arrivano dall’estero. Per esempio, fra i tre l’unico che ha davvero diviso è stato Youth, ma c’è da capirlo: Sorrentino arrivava da un Oscar e adesso gli toccava dimostrare. Chi scrive non ha mai coltivato particolare amore per La grande bellezza, da subito. Qui il regista partenopeo si contiene, mostrandosi meno compiaciuto dal suo stile eccessivo per natura, e tira fuori un film dalla filosofia trita quanto volete… ma raccontata a suo modo. Auspico il suo prossimo film come il vero capolavoro del Sorrentino post-Sorrentino: in un’altra cosa come Il divo ci spero, ma a questo punto della sua carriera non vedo come possa più girare un film del genere, nel bene o nel male.

Ma non parliamo solo degli italiani, quantunque Mia Madre e Il racconto dei racconti siano due film che sopravvivranno in ogni caso, anche a questo pallido esito cannense. No, in realtà altre sono le magagne. La Palma d’Oro a Jacques Audiard è un colpo di genio che non ci meraviglierebbe sapere frutto della mente di Thierry Fremaux: Dheepan è un bel film, di un autore affermato che il massimo premio a Cannes non l’ha mai vinto. Però che peccato assegnargliela in un anno in cui sinceramente non la meritava. Il sottoscritto non ha nascosto nemmeno per un istante il suo mancato entusiasmo per Carol (contro il quale mi sono scontrato io stesso), che tutti davano favorito, e nonostante tutto sono soddisfatto: a Carol, se dicono bene gli altri, farà giustizia il tempo, ammesso che ne abbia di bisogno.

Non posso tacere i miei veri colpi di fulmine dunque, ovvero Sicario e The Assassin. Proprio al fotofinish sono riuscito a ritagliarmi un po’ di spazio per una seconda visione di entrambi, e… che dire? Tutti e due ne escono ancora più rinvigoriti. Sicario, se ci ho visto giusto, è un thriller maestoso, tra i migliori dell’ultimo decennio. Solido, attraversato da un misticismo tormentoso che non dà pace, tempi perfetti ed un Benicio Del Toro che ad avercene. Allegoria di un mondo dove i confini tra bene e male si mescolano in continuazione, come dice il superiore di Kate (Emily Blunt): «i limiti sono stati rivisti». Villeneuve riesce a far riconsiderare l’idea di un nuovo Blade Runner, che è fantascienza, ok… ma lì fuori non ne vedo di cineasti altrettanto intelligenti e con la propensione a saper maneggiare bene i giocattoli di Hollywood (lasciate stare Nolan, ché quello è un altro discorso). Con un Roger Deakins così poi.

The Assassin è un film che lo vedi e non riesci a fare a meno di innamorartene. Subito. Lo puoi vivisezionare in innumerevoli pezzettini (e succederà), ma ciò che resta è una poesia pregna di un romanticismo vero, lirico oserei dire. Il film di Hou Hsiao-hsien e quello di Villeneuve hanno proprio questo in comune: il loro farsi sinfonia. Ciascuno declinandola a proprio modo, ma non riesci a pensare a questi due film come a qualcosa di “tradizionale”; dal primo momento mi è parso più naturale pensarli come opere liriche, come un concerto di violini, oboe e tromboni che seguono uno spartito ben preciso, dove il regista è direttore d’orchestra e autore al tempo stesso. Specie il cinese, che neanche il tempo di mettere piede nel wuxia sconquassa tutto, obbligando a ripensarlo, o quantomeno a ragionarci sopra.

Peraltro The Assassin si presta anche ad un altro “paragone”, più ardito, ossia quello con Love di Gaspar Noé. Due modi d’intendere il cinema diametralmente opposti, differenze che questi due lavori esasperano ulteriormente. Da un lato un maestro del tocco delicato, della discrezione che si fa poesia, tatto, personalità; dall’altro uno che del cannibalismo su schermo ne ha fatto la propria cifra, con quella sua reiterata, violenta e non di rado immotivata violazione della carne, non solo dei suoi personaggi ma anche degli argomenti che tratta. Da un lato (Hou) la forza creatrice della distanza, dall’altro (Noé) quella distruttrice dell’effrazione brutale. A ciascuno il suo, ma in fondo non dispiace che esistano entrambe le tipologie.

Un Festival che è stato sopratutto della donna, delle donne. Se ne contano almeno tre di titoli validi, apprezzati, in cui è la figura femminile centro gravitazionale non solo della trama ma anche del senso dell’opera di riferimento. Mad Max: Fury Road rientra tra quelli che ci hanno più entusiasmato; lì si racconta una civiltà pronta a ripartire proprio da un gruppo di donne, dapprima semplici compagne di concubinato, salvo poi, a seguito di un viaggio rocambolesco, elementi indispensabili da cui dipenderanno le sorti del mondo per come lo lasciamo alla fine del film. Abbiamo detto di The Assassin, che hai voglia se è pure lui un film “al femminile”. Anche qui, le sorti della Cina sono in mano agli umori, le azioni e le debolezze di donne che quasi nemmeno comunicano tra loro; ed è un trionfo di grazia e purezza che non sta tanto nell’immagine di queste donne di un’altra epoca, quanto nelle loro condotte, sempre ispirate ad un ordine superiore, contraddistinto da una mistica fredda, a cui non interessa derivare un principio ordinatore per osservare la «regola», ma che attraverso l’esercizio della «regola» incappano nel principio, secondo una logica di natura orientale. Per ultimo c’è un film di cui non abbiamo avuto modo di parlare, che vola decisamente più in basso, parlando più che altro di solidarietà al femminile, specie nelle situazioni più estreme, ovvero il turco Mustang, vincitore in Quinzaine. Un film duro, intelligente, che non riesce a fare a meno di cedere alla naturale inclinazione di virare all’horror nel finale.

Onore a László Nemes, che con Son of Saul finalmente è riuscito a girare un film sui generis sull’olocausto ebraico, partendo da un’intuizione una, impegnativa anche per registi più navigati: 4/3 con macchina costantemente alle spalle del protagonista, mentre il resto dell’inquadratura resta per lo più sfocata. Menzione pure per Roberto Minervini, che sebbene in Un Certain Regard non abbia vinto nulla, ha presentato uno dei film migliori della selezione. Chi scrive continua a preferire Stop the Pounding Heart a The Other Side, ma il lavoro di Minervini è encomiabile, e si avverte quanto impegno, dedizione ed abilità ricettiva servano per portare a termine progetti così estremi come i suoi, di cui non si sa nemmeno come catalogarli; né documentario né film di finzione. Nondimeno, opere dure, forti, con l’occhio attento ma al tempo stesso disincantato di questo italiano prestato al cuore oscuro degli States.

Ma si è trattato anche di delusioni. I film francesi in primis, che, a prescindere dal Palmarès, ne escono male, su tutti la Donzelli e Nicloux. C’è un Gus Van Sant che ha spezzato tanti cuori col suo The Sea of Trees, e non senza buone ragioni (da parte dei cuori infranti, s’intende). Tornando ai francesi, assurdo come si possano tenere lontano dalla selezione ufficiale film come My Golden Years di Desplechin, che non a caso ha vinto in Quinzaine e qualcosa deve proprio a quel Fremaux senza il quale tale riconoscimento non sarebbe stato possibile. Ma data la situazione, avrebbe fatto più figura anche un Garrel (padre), con il suo abitualmente piccolo ma adorabile L’Ombre des femmes. Ed invece no, meglio Marguerite et Julien, meglio Valley of Love, meglio pure Mon Roi, che poco importa se ha vinto l’interpretazione femminile, resta uno dei peggiori in Concorso. E Dolan dice che non c’erano donne che avrebbero meritato… beh, viene da chiedersi se film come Mia Madre o Mountains May Depart li abbia visti.

Altra notizia sta nel Fuori Concorso: pressoché impeccabile. Non solo, c’è di più. Due dei film migliori passati da Cannes quest’anno non erano in lizza per la Palma d’Oro, ossia Mad Max: Fury Road ed Inside Out. Dico, alla luce dell’epilogo, forse meglio lasciarli fuori; però c’è da riflettere sul perché Fremaux non li abbia considerati degni del Concorso e temo che il discorso qualitativo non c’entri. Solo che un action frenetico ed un film d’animazione sono troppo per un Festival come questo, che però li ha portati, dunque ne riconosce in qualche modo l’importanza. Perché sono importanti, non solo in relazione al genere d’appartenenza: Inside Out toglie il fiato per quanto è attuale, profondo, inventivo e divertente, stesso dicasi per Fury Road, che però non lascia respirare per altro, tipo il ritmo fuori parametro. Ma soprattutto, entrambi vivono di un’impronta autoriale che ne informa ogni singolo aspetto: senza il contributo determinate di George Miller e Pete Docter, infatti, questi film semplicemente non sarebbero concepibili per ciò che sono. Ed invece no, meglio andare sul sicuro ed inserire all’ultimo Chronic, che poi ti va per giunta a vincere la Palma per la miglior sceneggiatura (in un’edizione, cose giuste, in cui non si è vista la sceneggiatura che deve vincere e a mani basse).

Insomma, ho cercato di estrapolare alcune tracce, non tutte né in maniera troppo approfondita, relativamente ad un’edizione anomala, che mi guardo più che bene dal definire deludente però. Credo ci metterò del tempo prima di avere le idee chiare a tal riguardo, ma nemmeno avverto l’esigenza di etichette. In fin dei conti, tolta la foga agonistica del momento, dello stesso Palmarès m’interessa moderatamente; ad un Festival, mi ostino a pensare, contano i film che da lì ci passano, in un modo o nell’altro. Ed i voti che trovate immediatamente qui sotto, mica parlano di una rassegna infame, contraddistinta da opere dimenticabili o addirittura inguardabili. Anzi. Perciò, quale che siano state le aspettative o l’esperienza in sé, da questa parte ci diciamo soddisfatti. Cannes 2015 l’archivio col sorriso sulla bocca, e dinanzi a ciò che non è andato secondo i piani (quasi nulla) rispondo col francese… c’est la vie. Ecco allora di cosa sentirò in qualche modo nostalgia, sperando di non aver dimenticato nulla. Dopodiché, tranquilli, trovate davvero tutti i voti. Arrivederci Cannes, sei bella come sempre.

La premiazione in diretta

Il Palmarès ufficiale

Mi mancherà…

  • Il tizio che vende Libération gridando «Libération!» e qualcosa tipo «comprate» tutte le mattine prima della proiezione in Grand Théâtre Lumière. Un giorno ne acquisterò anch’io una copia, per poi regalarla al mio vicino di posto;
  • Le persone che intorno al Palais ti sorridono sempre, perché tu hai un badge e loro cercano con disperazione un biglietto;
  • Il primo caffè della mattina a 1,70 euro rigorosamente senza scontrino (ma con uno sciortino di spremuta, un biscotto mignon ed il caloroso sorriso a trentadue denti del non più giovane cassiere/barista/cameriere/intrattenitore);
  • Ricevere la mail che mi aggiorna sull’upgrade del mio badge (altre due edizioni in questo modo e alle proiezioni mi ci accompagnano per la manina. Non funziona così purtroppo);
  • La Debussy (ma non la fila che ne precede l’ingresso per la proiezione delle 19);
  • L’account fake di Xavier Dolan (JudgeDolan) su Twitter, scomparso a metà Festival dando vita ad un mistero di cui non verrò mai a capo;
  • Passare tutte le mattine dal porto immaginando prima o poi di farmi un bagno, oppure di entrare in uno dei lussuosi yacht attraccati e, una volta dentro, dire «non si preoccupi, dieci minuti e vado»;
  • Lamentarmi dei francesi, chiaramente per più di un motivo;
  • Il mio primo dorayaki (tre in totale);
  • Sperare con cuore sincero che sarei arrivato a vedere tutte e tre le parti di Arabian Nights (6 ore) di Miguel Gomes (di questo mi mancherà l’ingenuità);
  • L’unica delle due cene decenti in cui ho scelto la tartare di carne (questo appunto l’avevo scritto poco prima della cena in cui avrei scelto la tartare di carne. Per questioni logistiche mi è finita con un Double Cheeseburger al McDonald. Che non mi mancherà);
  • Un decennio (anni ’90) di Disco Dance ascoltata ad alto volume quasi ogni giorno tra le 23 e le 3 di notte (o mattina, fate voi);
  • Ascoltare per la prima volta la mia canzone del Festival (questa), riconoscendola dopo pochi istanti;
  • Sperimentare i modi più disparati per nascondere le bottigliette d’acqua alle maschere. Solo l’ultimo giorno, provato dal sonno e dalla stanchezza, ho commesso un errore da principiante e mi sono fatto sgamare. Sì, ho avuto sete per tutto il film… che parlava di acqua. Non scherzo;
  • I volti dei monomani, sempre gli stessi, che beccavi alle interminabili file dei blu. Non vi conosco, non vi stimo, ma per condivisa sofferenza vi rispetto;
  • La prima di The Assassin;
  • La prima di Inside Out;
  • La prima di Sicario;
  • Il primo giorno;
  • L’ultimo giorno.

Voti ai film

Concorso

Umimachi Diary – 7

Il racconto dei racconti – 8

Son of Saul – 8.5

The Lobster – 8

The Sea of Trees – 3

Mia Madre – 9

Carol – 6.5

Mon Roi – 5

Louder Than Bombs – 7.5

La Loi du Marché – 7.5

Marguerite et Julien – 2

Sicario – 9

Mountains May Depart – 7

Youth – La giovinezza – 8.5

The Assassin – 10

Dheepan – 8

Valley of Love – 2

Chronic – 4

Macbeth – 5

Fuori Concorso

[Film d’apertura] La Tête haute – 7

Mad Max: Fury Road – 9

Irrational Man – 6

Amnesia – 5

Inside Out – 10

Love 3D – 6

The Little Prince – 8

[Film di chiusura] Ice and the Sky – 4

Un Certain Regard

An – 5

Shameless – 3

Journey to the Shore – 2

Cemetery of Splendor – 7

Lousiana – The Other Side – 7.5

The Treasure – 8

Rams – 6

Quinzaine des Réalisateurs

The Brand New Testament – 4

My Golden Years – 8

L’Ombre des femmes – 7

Mustang – 7.5

[Film di chiusura] Dope – 6

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