Cannes 2016: Palma d’Oro ad un film scontato e meno interessante? E’ l’idea per il domani?
Cosa è successo davvero al Festival di Cannes quest’anno, dove per la seconda volta è stato premiato il campione dei pesi massimi della sinistra, il grande Ken Loach?
“E’ più un comizio politico (lo ha confermato anche il regista col suo discorso di ringraziamento), un’intemerata ideologica che trasforma un carpentiere in un agnello sacrificale lasciato solo…”, così scrive sul Corriere Paolo Mereghetti, autore dei famosi e utili dizionari del cinema, del film vincente I, Daniel Blake di Ken Loach.
Se lo dice Mereghetti, visto che lo conosco abbastanza bene, ci deve essere una verità nelle sue parole. Mereghetti prosegue con l’ascia: “Non mettiamo in dubbio che sia così per la classe operaia inglese ostaggio di governi reazionari, ma in un film sentiamo il bisogno di un linguaggio meno schematico, di una messa in scena meno ricattatoria, di una recitazione meno convenzionale”. Ecco dunque una bella stroncatura ai festivalieri arcigni di Cannes che non hanno voluto prendere, come sappiamo, nessuno dei tre film italiani offerti ai selezionatori su un vassoio d’argento speranzoso.
Non è, quella di Mereghetti, una idea negativa coraggiosa, anticonformista, solitaria. Anzi. Tutto sta nel doloroso silenzio di molti noti o poco noti critici, con il loro compiacente mormorar basso per non stuzzicare giurati e padroni del cinema sulla Cote d’Azur. E non è neppure una novità. Il pessimismo sui scelte delle giurie e delle loro motivazioni, scende come nubi grigi dallo schermo più che in passato. Molto dipende da un lungo viaggio di incertezza in corso dagli anni Sessanta quando la contestazione ai Festival, Cannes e Venezia, e via di seguito, determinò una svolta.
Che non fu e non si è sviluppata in modo universale, al contrario ha sottolineato una contrapposizione rigida e forte. Da una parte i festival d’arte e di cultura come si diceva un tempo che sono sempre meno colti (la figura dell’autore europeo si sta logorando) e si fanno incantare dai red carpet sempre meno glamour, addirittura rivelandosi talvolta in patetiche sfilate di poche divi e di tanti imbucati. Da un’altra parte, aumentano senza criterio, confusamente, i festival festa (a volte dei noartri der cinema) sparsi in località di vacanza o di puntiglio turistico, in cui gira di tutto.
La confusione è grande, i grandi autori sono in pensione e parlano da guru, vecchi saggi aperti ai premi alla carriera; e i giovani non sanno che pesci pigliare, non essendoci produttori e/o finanziatori in grado di riversare nei festival film adatti alle nuove situazioni. Si va avanti a motori bassi e fissi (come i mercati Conad) che fanno scena ma costruiscono troppo poco. E ci va di mezzo il coerente Loach che dalla sinistra a cui deve il successo non pensa proprio di allontanarsi. In un Europa che va a destra, o sembra, il caro e tenero Ken è diventato come un santone buddista, indispensabile per ricordarci le nostre trite miserie.