Cannes 2016, Vi presento Toni Erdmann: recensione del film di Maren Ade in Concorso
Festival di Cannes 2016: commedia agrodolce, lucida e spassosa. Maren Ade strappa i primi applausi del pubblico del Festival, spontanei e sinceri
Ines vive a Bucarest, dove lavora per un’importante compagnia internazionale. La sua occupazione consiste nel contribuire a ristrutturare grosse aziende; in altre parole, taglia personale. Dal punto di vista professionale è ampiamente realizzata: apprezzata da capo e colleghi, vive in una bella casa, è una donna indipendente e la cui carriera procede a gonfie vele. Il padre, Winfried, è per lo più un perditempo, uno che si diverte a fare il buffone. Il punto è: c’è spazio per lui nella vita di Ines?
Quella di Maren Ade è una commedia brillante e spigliata, contrassegnata da un’ingenuità insolita, alla quale si è tentati di credere senza riserve. Di certo è difficile resisterle. Wilnfried ha quest’alter ego, Toni Erdmann; gli basta indossare una parrucca, dei denti sporgenti ed il gioco è fatto. Quando decide di andare a trovare la figlia in Romania quest’ultima non la prende tanto bene. Non sa ancora che quella visita le cambierà la vita.
Il film della Ade avrebbe tutte le carte in regola per tirarci fuori quel classico spaccato fricchettone da «al diavolo i soldi, viva la vita», che tante volte abbiamo visto. Eppure Toni Erdmann non sbraita niente di tutto ciò, sebbene abbia qualcosa da dire e non intenda tenersela per sé. Per intenderci, Ines è quel tipo di donna che te lo fa venire duro salvo poi costringerti all’autoerotismo per il semplice gusto di farlo, o forse perché semplicemente si secca a togliersi le mutande (non a caso subito dopo è lì che fissa un appuntamento di lavoro).
No no, non procede un granché bene l’esistenza della giovane ed affermata Ines, checché ne pensi lei. Al momento lavora su di un grosso progetto, l’incarico che fa la differenza, dove non può permettersi di sbagliare. Una seriosità verso la quale, sebbene con un’umanità tutta femminile, la Ade è comunque spietata. E come sovente accade, è l’imprevedibile a stendere, non il peggio. Questa scheggia impazzita per Ines è suo padre, nei panni di Toni.
Toni diventa l’angelo custode di Ines, proprio perché anziché proteggerla la espone; spunta all’improvviso nei posti più impensabili, quando invece dovrebbe già essere tornato in Germania. Si presenta ai colleghi e superiori della figlia, inventandosi di volta in volta mansioni e conoscenze di cui non ha la più pallida idea. Il bello è che tutto ciò diverte, sin dal primo istante, quando di punto in bianco irrompe in una conversazione tra Ines e le sue amiche, dopo averla ascoltata per intero senza dire una parola.
Merito anche di un montaggio che individua costantemente i tempi, senza eccezioni: la Ade sa esattamente quando tagliare, generando quella comicità controllata che è poi una delle peculiarità di questo film. Che ha scene fantastiche, come il karaoke sulle note di Whitney Huston o l’indimenticabile party nudista, indubbiamente il passaggio più brillante dell’intero film, in un crescendo quasi surreale ma spassosissimo.
E non ha paura di osare la Ade già col titolo: a posteriori questa potrebbe benissimo essere la storia di Ines; è la storia di Ines. Tuttavia la regista tedesca vuole dirci qualcosa, e quel qualcosa effettivamente non può che dircelo lui, Toni. Chi è Toni? Winfried, certo. In realtà però Toni è ciò che ciascuno di noi dovrebbe sforzarsi di diventare, sebbene la Ade non sia così ingenua da credere che a tutti sia possibile. Anzi, è appannaggio di pochi, davvero pochi. Ecco perché basta che Toni si allontani ed ecco Ines ricadere nei vizi che le sono propri.
Ma la vera forza di quest’opera, a conti fatti, è che riesce ad essere divertente suo malgrado. Non si sforza d riuscirci, le viene naturale. Lo stesso Toni/Winfried è un personaggio che suscita al contempo tenerezza e tristezza, evidentemente sfasato. Sia chiaro, in nessun caso ci si sente in difetto nel ridere con e di lui, sebbene si sperimenti un disagio analogo a quello che Ines attraversa specie all’inizio, quando i primi exploit del padre la disorientano tanto quanto noi. Peraltro molto si deve a Sandra Hüller, l’attrice che la interpreta: mentre Toni accumula, ad Ines bastano due, tre espressioni ben assestate, letali, come quel movimento appena percettibile e quell’espressione che fa subito dopo aver finito di cantare.
È solo il prologo del cambiamento, quello che mai, se è davvero tale, arriva senza scosse di terremoto. E la Ade dà contezza di un simile processo, rendendocelo alla portata, insaporendolo senza svilirlo neanche un po’. Nemmeno quando pare che sia arrivato ad un punto morto, diciamo poco dopo la metà, più che compensata da un ultimo atto formidabile. Ma anche lì, quando sembra che la regista sia sul punto di vanificare ogni cosa per via di un finale da “mah”, ecco l’ultima inquadratura, chiusa impeccabile ma soprattutto lucida. Il resto lo fa Plainsong dei Cure sui titoli di coda: guai ad alzarsi dalla poltrona a quel punto.
[rating title=”Voto di Antonio” value=”8″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Gabriele” value=”9″ layout=”left”]
Vi presento Toni Erdmann (Austria/Germania, 2016) di Maren Ade. Con Peter Simonischek, Sandra Hüller, Lucy Russell, Trystan Pütter, Hadewych Minis, Vlad Ivanov, Ingrid Bisu, John Keogh, Ingo Wimmer, Cosmin Padureanu e Anna Maria Bergold.