Cannes 2021, Compartment No. 6 (Hytti nro 6), recensione del film di Juho Kuosmanen
Tenero, sagace ed anti-romantico, Compartment No. 6 è la storia di un lungo viaggio in treno e di come due sconosciuti comincino ad amarsi
Laura (Seidi Haarla) è un po’ giù di morale: la donna con cui ha una relazione, Irina (Dinara Drukarova), le ha appena detto che non potrà partire per il lungo viaggio in treno che avevano programmato, da Mosca a Murmansk. Un viaggio accademico, se vogliamo, lei che di mestiere fa l’archeologa. Essendo però tutto pronto, Laura decide di salirci comunque su quel treno, dove incontra Ljoha (Yuriy Borisov), colui con il quale condivide la cuccetta. Questo l’incipit di Compartment No. 6.
La loro prima conversazione è tutto un programma: lui, già brillo per essersi tracannato quasi un’intera bottiglia di vodka, comincia a fare delle avance in modo scomposto, fuori luogo per dire il meno. A un certa chiede a Laura se non si stia dirigendo a Murmansk per prostituirsi. Poco più avanti un’altra scena, sempre loro due protagonisti, ed è lì che qualcosa comincia a cambiare. Laura resta colpita dalla reazione di Ljoha, il quale domanda che ci faccia una donna tutta sola, su un treno come quello, ad attraversare la Russia per dei petroglifi, che, manco a dirlo, nemmeno sa cosa siano.
Laura spiega che «conoscere il passato aiuta a capire meglio il presente», ma figurarsi se il ruspante interlocutore si fa convinto; lui quel viaggio lo sta facendo per andare a buscarsi il pane, dato che è un operaio. Difficile immaginare due persone più diverse ed il lavoro di Juho Kuosmanen consiste proprio nel ribaltare le premesse, dimostrandoci che questa prima parte non è un semplice depistaggio bensì una condizione di partenza il cui sviluppo è imprevedibile.
Promosso al Concorso dopo aver vinto in Un Certain Regard nel 2016 con La vera storia di Olli Mäki, Kuosmanen non tradisce la provenienza, costruendo un road movie solido e caloroso, malgrado quel suo piglio apparentemente distaccato. Senza applicare alcun filtro, il regista finlandese si lascia quasi guidare dagli eventi, che vede questi due estranei costretti di tutta prima a conoscersi, salvo poi imparare a piacersi, senza nemmeno rendersene conto. Colpisce l’abilità con cui Kuosmanen riesce ad eludere i nostri pregiudizi, fornendoci delle precise coordinate all’inizio, per poi smontare le nostre frettolose nonché inevitabili aspettative.
Non si ha modo nemmeno di stabilire con assoluta certezza se quanto va crescendo tra Laura e Ljoha sia un’amicizia o una storia d’amore; sta di fatto che, di qualunque cosa si tratti, è autentica, e a darne contezza è il costante spiazzamento che i due manifestano, non di rado con amabile goffaggine, nelle loro reazioni, le loro espressioni. Quando Laura, dopo l’ennesima, lunga fermata di quell’altrettanto lungo viaggio osserva Ljoha giocare con la neve, quest’ultimo rischiando pure di farsi male, ecco in quell’immagine coglie l’essenza di tutto ciò che va cercando, senza essersene mai resa conto. Cos’è?
Possiamo abbozzare una risposta, contemplata in una parola: semplicità. Sia chiaro, se Compartment No. 6 fosse così banalotto non avremmo modo di lodarne, al contrario, la sua dolce schiettezza. Il punto è che è proprio bello vedere questi due ragazzi interagire, sopportarsi e poi affezionarsi. Fanno quello che farebbero due amici, due amanti, due complici, e lo fanno con una spontaneità tutt’altro che comune su uno schermo. Certo, Laura è la protagonista, il racconto centrato su di lei, sul suo percorso, che la costringe a lasciarsi andare, aprirsi. Ma quanto riesce a toccare l’assistere a come Ljoha viene fuori?
Verrebbe da esclamare «beata ignoranza!», se un’uscita del genere non suonasse arrogantella, oltre che non del tutto onesta. Eppure in lui quella totale assenza di rarefazione, la sua ruvida spontaneità, che non ne fanno certo un santo, ma nemmeno un brav’uomo (giusto un uomo), generano una bellezza rara, con quel misto di simpatia e cafonaggine irresistibili, per cui si finisce persino col volergli bene. Per dire, è il tipo che se ha bisogno di una macchina per farsi bello la ruba, ma è anche colui che, quando Laura porta nella cuccetta un altro ragazzo conosciuto per caso, la manda a quel paese e le tiene il broncio per un giorno intero, per poi dopo ancora tentare di rincuorarla per il furto della propria fotocamera, con la quale aveva impresso i suoi ricordi moscoviti.
Proprio in riferimento alla scena in cui Ljoha ruba la macchina, assistiamo a uno dei passaggi più teneri di tutto il film. La corsa prevede per quella notte una fermata più lunga, perciò il ragazzo decide di scendere in città e chiede a Laura se sarebbe interessata a venire con lui. Dopo un po’ di ritrosia, lei si convince; allora lui la porta da quest’anziana donna che vive da sola, in un luogo isolato. Mangiano, bevono, discutono… tutto qui. Poi la mattina si svegliano, debbono correre prima che perdono il treno. L’anziana che li ha ospitati li saluta, allungando loro un po’ di roba per il viaggio e complimentandosi con Laura per la scelta, invitandola in pratica a tenersi stretto Ljoha. Solo quando si rimettono in auto fa capolino la domanda: ma chi era quell’adorabile vecchietta?
Fa peraltro specie il gap tra il periodo di riferimento, verosimilmente una Russia di fine anni ’90, ed il nostro. Lasciando da parte la retorica, viene in mente quanto dice Aksel in The Worst Person in the World di Joachim Trier in merito allo scarto generazionale, all’appartenere ad un’epoca in cui buona parte della quotidianità era scandita da abitudini e possibilità diverse. Laura e Ljoha hanno modo di vivere a pieno questa loro esperienza senza intermediazioni, senza pratiche ingombranti che in buona sostanza non fanno altro che intromettersi ogni due per tre. Emblematica la scena in cui Laura scende a San Pietroburgo con l’intenzione di tornare a Mosca e, per comprendere che non ne valga la pena, deve recarsi presso un telefono pubblico.
Fino all’ultimo secondo questa storia potrebbe finire in qualsiasi modo, compreso il peggiore. Non lo sappiamo, perciò quell’ultimo segmento di Murmansk lo si vive con un misto di curiosità e ansia, sospesi come i due protagonisti, specie Laura, che a quel punto si trova come non mai in balia degli eventi. Quando tutto finisce e si ha modo di fare un rapido recap di quanto appena visto, si apprezza ancora di più il sorprendente garbo tramite cui Kuosmanen è riuscito a raccontarci tutto ciò.
Compartment No. 6 (Hytti nro 6, Finlandia/Germania/Estonia/Russia, 2o21) di Juho Kuosmanen. Con Seidi Haarla, Yuriy Borisov, Dinara Drukarova, Julie Aug, Lidia Kostina, Tomi Alatalo, Viktor Chuprov, Denis Pyanov e Polina Aug. In Concorso.