Cannes – Sorrentino: da Le conseguenze dell’amore a La grande bellezza
Quinta volta per il regista partenopeo al Festival di Cannes, con La grande bellezza: che sia la volta giusta per aggiudicarsi una Palma?
Pochi registi sono stati precoci come Paolo Sorrentino nel conquistare Cannes: il napoletano arrivò per la prima volta da protagonista sulla Croisette nel 2004, trentaquattrenne, presentando il suo secondo film, Le conseguenze dell’amore dopo il Nastro d’Argento vinto grazie al suo esordio con L’uomo in più del 2001, che sancì anche l’inizio della fruttuosa collaborazione con l’attore Tony Servillo, col quale oggi è nuovamente a Cannes per presentare oggi alla stampa La grande bellezza.
Sono passati quasi dieci anni quindi dalla prima volta di Sorrentino al Festival quando presentò Le conseguenze dell’amore, film atipico, come tutte le storie narrate dal regista: protagonista il salernitano Titta Di Girolamo (Toni Servillo), contabile della camorra in esilio in Svizzera, dove conduce una vita grigia e , tra partite a carte, saltuarie e metodiche dosi di eroina. Un film dove la mimica di Servillo vale più di molte parole e che ottenne a Cannes un buon successo, grazie alla didascalica esposizione di una vita tanto monotona quanto sopra le righe e dove solo l’amore sbocciato per caso nel bar di un hotel riesce a dare una sferzata autodistruttiva a una non esistenza desiderosa di affetto.
Due anni dopo fu la volta de L’amico di famiglia, una storia di stampo verghiano, che ricorda la novella La roba e dove al posto di Mazzarò troviamo un altro uomo dalla moralità discutibile, Geremia, squallido strozzino invaghito della splendida figlia di un “cliente” e destinato, come il suo illustre e ideale predecessore letterario a una squallida (e forse meritata) fine.
Dopo queste vicende riguardanti un’umanità bassa (cui si riferiva anche L’uomo in più) e degradata, Sorrentino cambiò decisamente registro, o per meglio dire, obiettivo: nel 2008 presentò a Cannes Il divo, con protagonista l’amico Servillo nella parte di Giulio Andreotti. A Cannes ottenne un successo straordinario, aggiudicandosi dieci minuti di applausi in sala e il premio della giuria nella stessa edizione in cui Gomorra di Matteo Garrone vinse il Gran premio della giuria. Un’interpretazione magnifica, intensa, capillare che mise in luce un lato meno conosciuto di uno dei protagonisti della politica del ‘900 recentemente scomparso e di cui vi proponiamo un monologo da antologia. Proprio dall’edizione del 2008 del Festival, dove Sean Penn era Presidente di Giuria, nacque un sodalizio tra la star hollywodiana e il regista partenopeo il cui risultato fu This must be the place: una grande produzione, una scommessa per Sorrentino che per la prima volta abbandonò le storie dell’Italia più “nera” per dedicarsi a un film visionario interpretato dallo stesso Penn e che fu presentato al Festival nel 2011 dove si aggiudicò il Premio della giuria ecumenica. Un film non facile, girato tra Dublino e gli States, dove il successo economico di una ex rockstar si contrappone al suo fallimento artistico, risollevato da un gesto d’amore postumo nei confronti del padre. Un film ambizioso, riuscito al 90%, ma dal quale si dipanano troppe strade che non potevano essere raccontate tutte nella stessa pellicola. Oggi Sorrentino torna a Cannes, con un’altra storia italiana, raccontata dall’ormai grande Servillo. E chissà che non sia la volta buona…