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Casa dolce (vecchia) casa…

Un remake horror di lusso ancora una volta rivela l’ineguagliabile grandezza del modello originale. Stavolta tocca a “La casa”…

pubblicato 11 Maggio 2013 aggiornato 31 Luglio 2020 14:47


Nel cult generazionale Donnie Darko è presente una sequenza che mi ha sempre suscitato una certa curiosità. A un certo punto, in mezzo a conigli-Cassandra che annunciano la fine, motori di aerei che piombano giù da cielo e moti di ribellione contro il sistema, il nostro Donnie in quel di Middlesex va in un cinema dove proiettano un singolare double bill: La casa e L’ultima tentazione di Cristo. Non sono soltanto gli anni a dividere le due pellicole (la prima è del 1981 e la seconda del 1988) ma anche la loro indubbia antiteticità cinematografica: la prima è artigianato horror per eccellenza, la seconda è frutto di un’eccellenza registica; l’una parla di demoni che dilaniano corpi dentro una rustica baita, l’altra invece dei demoni che affliggono l’anima del figlio di Dio. Perché, dunque, associare le due pellicole in questo anomalo e alquanto impossibile grindhouse?

Probabilmente l’accostamento, oltre ad aumentare lo straniamento dello spettatore già risucchiato nei wormhole della storia, è anche perfettamente in linea con la filosofia anarchico-adolescenziale che pervade l’intero film di Richard Kelly: perché quelle di Ash ne “La casa” e di Gesù ne “L’ultima tentazione” in fondo non sono che due storie di ribellioni squisitamente cinematografiche. Nell’una l’adulto Scorsese dava “corpo” al suo cattolicesimo, fin lì filtrato e diluito dentro la sostanza del genere (il noir), attraverso una rappresentazione libera (e rischiosa) del corpo di un Cristo dubbioso; nell’altra il giovane Raimi esibiva la sua ossessione (il cinema) liberandola in forme nuove e movimenti inusitati, un’autentica macchina invasata che si scagliava sui corpi (degli altri) per farli a brandelli e restituire così frammenti di nuovo cinema. Due autori che muovevano, in due epoche diverse e attraverso linguaggi totalmente dissimili, le loro personali rivoluzioni, quasi filmiche casse di risonanza di quella dell’adolescente Donnie. Queste erano le vere insurrezioni che si consumavano al cinema, quelle di autori affermati che rischiavano un nome (Scorsese) per filmare la propria coerenza italo-cattolica o quelle di giovani cineasti nerd (Raimi), che si costruivano da soli i mezzi (vedi la celebre shakeycam, folle invenzione che rendeva il punto di vista del demone), rastrellando verdoni nei week-end solo per filmare riprese aggiuntive del proprio “splatterone”.

Ecco “Evil Dead” è un po’ il simbolo della rivoluzione che avrebbe investito di lì a poco l’horror, il film che sancisce ufficialmente la fine degli anni della paranoia (i magnifici seventies) e schiude le porte a quelli di una plastificata, quanto illusoria, normalità. Perché “La casa” è un horror di pelle, marcio, sozzo e shakerato ma anche una di quelle pellicole che ha il coraggio di vomitare -letteralmente- sullo stesso decennio da lei inaugurato, infischiandosene delle classiche regole di costruzione cinematografica. Psicologia spicciola dei personaggi, il passo esasperato ed impazzito di un cartoon e palate di raccapriccio misto ad ironia: cosa chiedere di più? Ovviamente saltano tutte le metafore possibili (che erano più una prerogativa degli horror anni ’70) ma di fronte al divertimento e alla paura dispensate da un così acido e astratto luna park neanche ci si fa più caso.

Forse sarebbe stato meglio riproporlo al cinema per testarne l’effetto sulle nuove generazioni piuttosto che farne l’ennesimo oggetto di onanismo produttivo da parte dell’industria ho(rror)llywoodiana (è il secondo dell’anno dopo “Texas Chainsaw Massacre” e prima di “Carrie” reloaded). Certo sorprende non poco che a volere questa operazione di aggiornamento sia stato proprio Raimi anche se, a giudicare sia dai prodotti della sua Ghosthouse che dal suo recente flirtare col digitale per famiglie (Il grande e potente Oz), la cosa non sconvolge neanche più di tanto.

Il remake, è presto detto, è svelto e sanguinoso (perfino troppo), godibile per chi decide di resettarsi la memoria del passato e più indigesto a chi ha eletto Ash a mito della propria adolescenza. Notevole la fotografia e gli ambienti, encomiabili (in tempi di CGI spinta) gli effetti artigianali e “materici” del make-up, attori meno di cartapesta del solito (con la protagonista Jane Levy una spanna sopra tutti) ma, come sempre, anche i soliti problemi che affliggono tutti i remake in 5.1: eccessivamente rivolti a un pubblico giovane e quasi “obbligati” a scioccarlo meccanicamente, senza però osare alcuna lettura alternativa, suscitare spaventi più ironici o magari (non sarebbe un reato) cercare di turbarlo. E’ il grande dilemma dell’horror del terzo millennio, genere in crisi d’identità: non poter essere nient’altro che un etichetta su un prodotto così da garantire affidabilità ai suoi consumatori. Peccato che il cinema non dovrebbe aspirare ad essere (solo) un supermarket.

Ad ogni buon conto il divertimento, per chi s’accontenta, è servito; gli altri (è un’opinione personale) si rivolgano all’ultimo Rob Zombie se sono in cerca di un horror che ambisca ad entrare sottopelle. A visione ultimata si torna a casa e si inserisce con orgoglio (nerd) il proprio dvd del vecchio e mai superato “Evil Dead” in cerca del Raimi “rivoluzionario” di un tempo e soprattutto di brividi che assicurino ancora qualche (buon) cattivo sogno. Dopotutto che quelle fossero pellicole in grado di regalare incubi autentici lo sapevano perfino gli stessi teen-ager degli anni ’80. Provate a vedere il primo, inimitabile “Nightmare” e (se non l’avevate fatto già) fate bene attenzione a cosa guarda la povera Nancy in tv poco prima di andare a nanna fra le braccia del suo Freddy… Sorpresi?