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Cemento armato: le critiche sul web

Non ha avuto molto successo Cemento Armato al cinema (leggete: flop totale) e quindi, incuriosita, mi faccio un giro in rete per leggere qualche recensione: Roberto Nepoti de la Repubblica: (…) un piccolo film insolitamente attento al linguaggio, che si pone come modello dichiarato il cinema d’azione americano anni 70, diretto dai “primi”Scorsese e De

di carla
8 Ottobre 2007 10:12

Non ha avuto molto successo Cemento Armato al cinema (leggete: flop totale) e quindi, incuriosita, mi faccio un giro in rete per leggere qualche recensione:

Roberto Nepoti de la Repubblica:
(…) un piccolo film insolitamente attento al linguaggio, che si pone come modello dichiarato il cinema d’azione americano anni 70, diretto dai “primi”Scorsese e De Palma. Fatte le dovute proporzioni, l’epigono funziona a dovere; anche grazie al romanzo omonimo scritto da Martani con Sandrone Dazieri, tra i portabandiera della scuola dei duri all’italiana. (…)

Massimo Bertarelli de il Giornale:
(…) Bisogna ammettere che l’intrigo viene sbrogliato con una certa abilità (…) ma quei cattivacci da fumetto sono tragicamente sopra le righe. E Giorgio Faletti, con l’identica espressione altezzosa del prof carogna di due anni prima, è più ridicolo che terrificante (…)

Lietta Tornabuoni de La Stampa:
(…) Il film è poco riuscito: l’unica che sappia recitare è la Crescentini; dialoghi e situazioni, interpretati con superenfasi, risultano a volte risibili; botte con pugni o portacenere non mancano mai di produrare la morte; sentenze insensate (“Quando nasci perdente muori perdente”) e, vorticare di acque turbinose. Però non capita di annoiarsi troppo.

Maurizio Porro de Il corriere della sera:
(…) In ‘Cemento armato’ tutto appare artefatto, a cominciare dal perfido protagonista (…) Il film somiglia a un western ma sbaglia registro: banalizza, eccede, si dondola tra una fiction poliziesca e un romanzetto d’amore, tutto avulso da una realtà inverosimile che si vorrebbe evocare come sfida morale ma in uno stile da dilettanti allo sbaraglio (…)

Enzo Fragassi di DelCinema: “Beh, per essere un’opera prima… Tanto di cappello. Non che Marco Martani, il regista, classe 1968, sia un parvenu, ma questo suo primo lungometraggio profuma di nuovo e di fresco e dio solo sa quanto ciò sia importante per Cineitalia. (…) Film di genere (dichiarato sin dalle note di regia), solido, girato con personalità, serrato e quasi privo di sbavature, con la Bella (Crescentini, una Milla Jovovich forte e fragile al tempo stesso), il Buono (Vaporidis, che oltre a spezzare i cuori delle teenager dimostra qui di saper recitare drammatico) e un Cattivo che non t’aspetti. Giorgio Faletti, dopo il prof. burbero ma sincero di Notte prima degli esami, centra anche il carattere del boss spietato e strafottente. L’occhio azzurro si fa fessura e improvvisamente Vito Catozzo si trasforma in un Lee Van Cleef alle prese col vizio del fumo, arrogante e privo di umana pietà, che domina il suo regno di cemento col piglio di un monarca assoluto. Ma è l’insieme del film a convincere, con le interpretazioni di Ninetto Davoli nel ruolo del ricettatore dal cuore d’oro, Maria Paiato (ultrapremiata a teatro) in quello della madre di Diego e Dario Cassini (il poliziotto corrotto) in grado di dare respiro alla vicenda, arricchendola coi loro apporti, invece di appesantirla. Per cortesia, qualcuno mandi una mail a Tarantino: questo lo deve vedere”.

Alessandro Izzi di Close-Up:
(…) se dobbiamo davvero pensare che uno degli elementi distintivi di un noir sia la sua capacità di “perturbare”, la sua intrinseca abilità a togliere al proprio pubblico ogni certezza rassicurante, allora dobbiamo concludere che Cemento armato tutto è fuorché un noir.
Prende, forse, in prestito qua e là qualche regola da thriller (…). Soprattutto nella costruzione a suspence, che certo piacerà al pubblico dei più giovani, di certe scene (il cattivo che entra in casa della madre mentre il figlio corre, il dettaglio dell’accendino del malefico Sayd sembrano omaggi rubati a De Palma che a sua volta rubava da Hitchcock), ma non resta abbastanza nel solco del genere per arrivare a definirsi tale. (…)
Un nucleo quasi da tragedia greca (il terzo ed ultimo padre) che fa sentire quanto Pasolini fosse invocato come nume tutelare (anche per la presenza di Ninetto Davoli nel cast) per un film che, però, aveva tutta l’intenzione di flirtare con generi di impianto più spettacolare e meno autoriale. Da tutti questi padri viene fuori un figlio un po’ irreggimentato, un po’ troppo ansioso di far bene i suoi compiti per casa. Ancora troppo bambino per arrivare a fare davvero i conti con il mondo vero. (…) Il film così, diventa un po’ come Vaporidis: un borghese quasi pariolino che si veste da proletario e va in periferia in cerca di emozioni forti. Un gioco che piaceva tanto all’aristocrazia.
Prima della Rivoluzione francese.

Domitilla Pirro di FilmUp:
(…) Ma sono i comprimari il vero e unico fiore all’occhiello dell’opera, spesso drammaticamente tradita negli intenti dai leading roles evidentemente fuori parte: quasi tutti i personaggi minori vantano infatti una caratterizzazione apprezzabile, grazie ad un cast senza alcun dubbio capace. Ninetto Davoli poi, qui sfasciacarrozze in bilico tra l’illecito e il paterno, illumina realmente con uno sguardo. Autentico problema è invece il teoricamente feroce protagonista negativo interpretato da Faletti: il comico prestato alla canzone, cantautore prestato alla letteratura nonché giallista prestato al cinema (attendiamo con ansia ulteriori prestiti, ma speriamo di non dover assistere ai relativi esiti su grande schermo) recita meccanicamente, senza alcuna espressività, frustrando le ambizioni di un lavoro che, come detto, altrove ripara alle pecche in fase di scrittura grazie alle indubbie capacità interpretative dei suoi artisti. (…) è così che assistiamo a pose, vezzi e battute sottratte di forza ad un immaginario collettivo altro, innegabilmente molto yankee e poco capitolino, in cui i cattivi si esprimono solo con frasi ad effetto e i buoni latitano smarriti, la scala di valori è sbiadita e qualunquista (questo sì, carattere tipicamente nostrano), il futuro non esiste. De gustibus…

Qualcuno di voi lettori l’ha visto? Ci dite la vostra?