Che – Guerriglia – di Steven Soderbergh: la recensione
Che – Guerrilla (Che: Part Two, USA, 2008) di Steven Soderbergh; con Benicio Del Toro, Demián Bichir, Santiago Cabrera, Elvira Mínguez, Jorge Perugorría, Edgar Ramirez, Victor Rasuk, Armando Riesco, Catalina Sandino Moreno, Rodrigo Santoro, Unax Ugalde, Lou Diamond Phillips, Kahlil Mendez, Franka Potente.Oggi tutto ha un tono meno drammatico perché siamo più maturi, ma il
Che – Guerrilla (Che: Part Two, USA, 2008) di Steven Soderbergh; con Benicio Del Toro, Demián Bichir, Santiago Cabrera, Elvira Mínguez, Jorge Perugorría, Edgar Ramirez, Victor Rasuk, Armando Riesco, Catalina Sandino Moreno, Rodrigo Santoro, Unax Ugalde, Lou Diamond Phillips, Kahlil Mendez, Franka Potente.
Oggi tutto ha un tono meno drammatico perché siamo più maturi, ma il fatto si ripete. Sento di aver compiuto la parte del mio dovere che mi legava alla rivoluzione cubana nel suo territorio, e mi congedo da te, dai compagni, dal tuo popolo, che ormai è il mio.
Rinuncio formalmente ai miei incarichi nella direzione del partito, al mio posto di ministro, al mio grado di comandante, alla mia condizione di cubano. Nulla di legale mi unisce a Cuba, solo vincoli di altra natura, che non si possono rompere con le nomine.
[estratto della lettera del Che a Fidel Castro]
Steven Soderbergh conclude Che – L’argentino con la conquista da parte del Che e dei suoi rivoluzionari dell’Avana. Una vittoria che però ha un sapore dimesso, come se Soderbergh avesse scelto dei toni pacati in previsione della seconda parte del suo enorme biopic, ovvero questo Che – Guerriglia. Che inizia con un’inquadratura fissa di un televisore acceso che sta trasmettendo la lettura da parte di Fidel della lettera che il Che gli ha scritto dopo essere sparito.
Pensato come film unico, ma diviso per ragioni distributive, il sorprendentemente bellissimo film di Soderbergh può essere giudicato nella sua completezza ora che abbiamo visto sia la prima che la seconda parte. Le quali, vuoi perché costretti a vedere i due blocchi separatamente, si presentano comunque con delle differenze di fondo. Il perché di queste differenze è semplice, persino banale: L’argentino è il film dell’ideologia, Guerriglia è il film della sconfitta. L’argentino è il film della vita, Guerriglia è il film della morte.
Tuttavia Soderbergh, regista altrove decisamente modaiolo, finto-indipendente e comunque dall’animo fortemente hollywoodiano, sceglie un registro dimesso, a tratti volutamente didascalico – e per questo originale, perché evita sempre e comunque ogni tipo di eccesso -, per raccontare anche la Rivoluzione Cubana: come se depositasse i germogli della sconfitta del Che in Bolivia. Non è tuttavia una presa di posizione, sia chiaro: Soderbergh mostra, non dimostra, e la sua distanza non è certo nei confronti di un’ideologia e dell’uomo Ernesto Guevara detto il Che, bensì da un certo modo di narrare del biopic.
Al solito, parlando di un film di Soderbergh, non si può prescindere dalla fotografia, firmata come sempre dallo stesso regista sotto lo pseudonimo di Peter Andrews. Se c’è una cosa che non si può negare al regista di Sesso, bugie e videotape è la cura maniacale e l’inventiva che dimostrano le fotografie dei suoi film. Ne L’argentino Soderbergh utilizzava uno sgranato bianco e nero per raccontare il Che durante il discorso all’ONU, e usava la nuova cinepresa digitale RED durante le battaglie per la liberazione cubana, offrendo un digitale pulitissimo.
In Guerriglia i colori invece calano, i contrasti aumentano, la luce si fa più accecante. La colonna sonora di Alberto Iglesias, compositore di Almodovar, si fa più inquietante, e compare e scompare improvvisamente. Sembra che Soderbergh lavori così con la tecnica sul senso di minaccia che nasce anche dall’interno del gruppo dei guerriglieri, e decide di scandire cronologicamente la storia, contando i lunghissimi giorni nella giungla ed evitando i continui salti cronologici che hanno infastidito molti (senza un vero perché).
Dopo l’energia e la vittoria della Rivoluzione, quindi, Soderbergh mostra la sconfitta del Che, in un crescendo di segnali che preludono a questa fine. Gli errori tattici, le false aspettative (soprattutto quella di essere aiutati significativamente dal Partito), la stessa malattia di Guevara. Un senso continuo di sconfitta che viene narrato dal regista e dallo sceneggiatore Peter Buchman anche come costante pericolo, come si vede nella figura del Che costretto a cambiare nome: prima Ramon, poi Fernando.
In più Soderbergh riesce a regalarci almeno due grandi sequenze degne di nota. La prima è lo sterminio di Tania e di altri uomini lungo il fiume, una delle sequenze in cui la tensione si fa interessante e opprimente; l’altra è la morte del Che, resa con un’impattante soggettiva. Guerriglia, lo dice il titolo stesso, non è più un film soltanto su Che Guevara – assente tra l’altro in qualche momento del film, lì dove ne L’argentino era costantemente in scena -, ed è per questo che non stona, in un film dove l’elemento emotivo si affaccia pochissime volte, il non voler mostrare la morte del Che. Che la fucilazione potesse avvenire semplicemente fuori campo, ci si può discutere.
A conclusione di quattro ore di film, il regista decide di concludere il tutto con un flash-back che ci riporta sulla nave che portava il rivoluzionario verso Cuba. Un finale significativo, più di ogni altra celebre fotografia, con il quale lo spettatore può fare i (suoi) conti: è Soderbergh che, dopo una ricostruzione che asciuga pomposità ed enfatizzazioni varie, offre un’immagine del Che ancora vivo, pronto ad iniziare a combattere la sua battaglia. Sarà compito dello spettatore commuoversi o meno. Rispetto ad un’icona così difficile da trattare, alla quale Del Toro regala una trattenuta e lodevole interpretazione, sembra la conclusione più coerente che potesse esserci.
Voto Gabriele: 8
Voto Federico: 4