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Chronic: recensione in anteprima del film di Michel Franco in concorso a Cannes 2015

Festival di Cannes 2015: all’inizio sembra un onesto, anche se duro, tentativo di descrivere la solitudine di un uomo alle prese con la malattia degli altri. Poi Chronic di Michel Franco si rivela per quello che è: una cinica copia di Haneke, con finale assurdo.

pubblicato 22 Maggio 2015 aggiornato 30 Luglio 2020 15:37

Inizia bene, anche molto bene, Chronic. C’è un rigore estremo che Michel Franco applica per mettere in scena una storia delicatissima, dai rischi enormi. Camera quasi sempre fissa su inquadrature mai strette su dettagli o visi, se non all’inizio, quando la macchina da presa si muove per inquadrare il volto del protagonista che sta guidando l’auto, e al finale, assai discusso.

Una decisione di stile che è già nelle corde del regista di After Lucia, ma che è assolutamente dettata dalla materia stessa. Il protagonista David infatti fa l’infermiere per malati terminali. Sempre efficiente e dedito alla sua professione, l’uomo sviluppa delle relazioni molto forti e persino intime con ogni persona di cui si prende cura. Chiaramente per chissà quale motivo ha bisogno di loro tanto quanto i pazienti hanno bisogno di lui.

Michel Franco azzecca la partenza, come si diceva. Niente musica, distanza in tutti i sensi dai corpi e dal patetismo, lunghe sequenze che mostrano e in cui spesso succede poco o nulla. È quella la quotidianità di David, passata a pulire i corpi dei pazienti, ad aiutarli nelle faccende quotidiane, a stare con loro mentre provano a rilassarsi un po’.

Quando muore uno di loro c’è poco tempo per la tristezza, anche se ogni volta David è visibilmente devastato dalla scomparsa di un paziente. Ma ne arriva subito un altro: l’ennesimo corpo che sta deperendo, un’altra sofferenza da alleviare con i pochi strumenti a disposizione, un altro tentativo di dare speranza a casi che sono quasi sempre dati per spacciati.

C’è molto Michael Haneke in Chronic, a iniziare dal rigore freddo della messa in scena. Anche la scrittura quotidiana arriva dal cinema del regista austriaco. E poi qualche anno fa c’è stato Amour, film imprescindibile per chi oggi vuole parlare di malattia terminale, della sofferenza che provoca e di coloro che stanno a guardare provando a fare qualcosa per risolvere spesso inutilmente la sensazione.

Uno dei pazienti che viene affidato a David è John, un uomo scorbutico verso la famiglia, e che non può praticamente alzarsi dal letto. Il protagonista, assai sensibile, capisce subito le necessità del paziente come nessuno potrebbe capirle. Una di queste è, molto semplicemente, guardare qualche video porno. Avendo instaurato una relazione di complicità, David prova anche a non farsi sostituire da un altro infermiere nel turno serale, concentrandosi ogni ora su John.

Da questo momento in poi cominciano i casini: com’è che la famiglia di John ha trovato dei porno nell’iPad? E come mai David non ha detto a nulla, essendone sicuramente a conoscenza visto che è stato con lui giorno e notte? La famiglia allora lo allontana e decide di denunciarlo per molestie sessuali. Ma David continua nel suo lavoro con altri pazienti e altre situazioni, e di lui veniamo a scoprire un passato ovviamente tristissimo che l’ha portato a essere così impegnato nel lavoro…

Franco svela in questo modo il suo vero volto: la distanza stilistica è obbligatoria, ma sotto sotto c’è una chiara volontà di sfruttare corpi e dolori. La vita può essere sofferenza infinita, la morte arriva quando meno te l’aspetti (e in questo il finale a sorpresa è una vera vigliaccata). Nello sguardo di Tim Roth, che interpreta David, c’è il contraltare emotivo del dolore che il regista ci mostra in modo sempre più insistito, tra vomiti improvvisi ed escrementi che i pazienti non riescono a contenere.

Allora non si puo’ non avere il dubbio che Michel Franco quelle sofferenze le voglia usare come arma ‘contro’ lo spettatore per fare un discorso che diventa sempre più tesi e non dialogo. Anche Haneke in Amour sarà stato un po’ cinico, ma almeno ci mostrava anche l’altro lato della medaglia: qui ce n’è solo uno, messo in scena persino con un filo di compiacimento e manipolazione.

[rating title=”Voto di Gabriele” value=”4″ layout=”left”]
[rating title=”Voto di Antonio” value=”4″ layout=”left”]

Chronic (Messico 2015, drammatico 93′) di Michel Franco; con Tim Roth, Bitsie Tulloch, Claire van der Boom, David Dastmalchian, Robin Bartlett.

Festival di Cannes