Cineblog Consiglia: La società dello spettacolo
La società dello spettacolo (La socièté du spéctacle Fra – 1973) di Guy DebordStanotte venerdì 01 febbraio ore 01.35 su Rai Tre.E’ difficile parlare in uno spazio come questo di un film come “La società dello spettacolo” di Guy Debord, influentissimo, per il movimento del ’68 e per tutta la nostra epoca in generale, e
La società dello spettacolo (La socièté du spéctacle Fra – 1973) di Guy Debord
Stanotte venerdì 01 febbraio ore 01.35 su Rai Tre.
E’ difficile parlare in uno spazio come questo di un film come “La società dello spettacolo” di Guy Debord, influentissimo, per il movimento del ’68 e per tutta la nostra epoca in generale, e morto suicida il 30 Novembre 1994 (era nato il 1931). Difficile quanto, credo, necessario, anche se mi rendo conto di non averne gli strumenti. Dobbiamo la riscoperta della sua opera come cineasta ad Enrico Ghezzi che, nel 2001, riuscì ad organizzare un’interessantissima retrospettiva sulla sua opera cinematografica: un’occasione imperdibile, inattesa e forse irripetibile per quelli come me, i più, che poco conoscevano dell’opera di un’autore che molti riuscirebbero a riconoscere come regista.
Cineasta è una definizione in cui Debord si sarebbe volentieri riconosciuto. Molti dei suoi film presentano esclusivamente uno schermo bianco (a volte interrotto da lunghe sequenze di nero) davanti al quale si levava un complesso coro di voci e rumori. Chi conosce il film “Blue, del cineasta inglese Derek Jarman potrebbe pensare che le due opere sono avvicinabili: Jarman, ormai in agonia per via dell’AIDS, concepì e realizzò infatti questo film come una monotona proiezione blu (del blu di Yves Klein, per essere esatti), commentato dalla voce del regista e da una straordinaria colonna sonora composta da rumori quotidiani e dalle voci di amici e colleghi.
“Blue”, al di là di apparenti vicinanze formali, è infatti espressione della sfiducia di Jarman nelle immagini (quelle stesse immagini che lo avevano accompagnato per il corso di tutta la sua carriera), specie in occasione della sua progressiva cecità, conseguenza del morbo. Un ritirarsi discreto, dunque, riflessivo, certo a volte anche violento, ma più spesso morbido, intimistico.
“La funzione del cinema – e per estensione, aggiungo io, quella di tutti i grandi sistemi di comunicazioni du massa – è di presentare una forma coerente isolata, drammatica o documentaria, come sostituzione di una comunicazione e di un’attività assenti” (Guy Debord)
Il bianco di Debord è, non solo una violenta assenza, ma la presenza di una testimonianza, il ribellarsi determinato ad una società che ha fatto delle immagini il suo più sofisticato strumento di oppressione. La voce del regista scorre atona e si fonde con uno schermo meno che mai neutrale. L’unica alternativa, probabilmente, ad una “società che non è più capace di immaginare nulla che non sia stato prodotto nei laboratori del sistema globale Omologato”.
Fondatore del movimento Situazionista (per certi aspetti ristretti la strada ricerca utopica di una felicità quotidiana ma inevitabilmente astorica), Debord porta in “La società dello spettacolo” (tratto da un suo libro omonimo) la sua sperimentazione utilizzando in maniera spiazzante, e non semplicemente contrappuntistica (attraverso la tecnica del detournémént), tutta una serie di immagini proventienti da altri contesti e media: fotografie, filmati pubblicitari, spezzoni di film, allo scopo di dimostrare la loro fragilità, e di smascherarne i meccanismi di coercizione e repressione che ne sono alla base. Assolutamente da non perdere, anche per la difficoltà di reperirne una copia, visto che nel 1984 l’autore decise di ritirare i propri film dalle sale.