Cineblog Sconsiglia: La passione di Cristo
La passione di Cristo (The Passion of the Christ– USA/Italia 2004)) di Mel Gibson. Con Jim Caviezel, Maia Morgenstern, Monica Bellucci, Rosalinda Celentano, Claudia Gerini, Sergio Rubini, Mattia Sbragia, Hristo Shopov, Luca Lionello, Christo Jivkov, Sabrina Impacciatore, Francesco De Vito, Toni Bertorelli, Fabio Sartor, Giacinto Ferro, Olek Mincer, Adel Ben Ayed, Luca De Dominicis, Pedro
La passione di Cristo (The Passion of the Christ– USA/Italia 2004)) di Mel Gibson. Con Jim Caviezel, Maia Morgenstern, Monica Bellucci, Rosalinda Celentano, Claudia Gerini, Sergio Rubini, Mattia Sbragia, Hristo Shopov, Luca Lionello, Christo Jivkov, Sabrina Impacciatore, Francesco De Vito, Toni Bertorelli, Fabio Sartor, Giacinto Ferro, Olek Mincer, Adel Ben Ayed, Luca De Dominicis, Pedro Sarubbi, Chokri Ben Zagdan, Roberto Bestazzoni, Francesco Cabras, Giovanni Capalbio.
Stasera, domenica 23 marzo, ore 21.30 su RaiUno.
Martirio e resurrezione di Cristo, raccontati dal conservatore Mel Gibson.
Si è detto talmente tanto su questo film che, per non creare altra confusione, e parlando da spettatore distratto piuttosto che da appassionato, andrò direttamente a ciò che mi interessa: quale è l’utilità di quest’opera?
La necessità di trovare nuovi proseliti non è un fatto che la chiesa cattolica tende a nascondere visto quanto spesso si lamenta, attraverso i propri rappresentanti, della diminuizione dei matrimoni oppure del numero, sempre decrescente, dei giovani che decidono di indossare l’abito talare. Lo stesso Mel Gibson, pare (del dibattito si che sono stato uno spettatore distratto) ha affermato di aver voluto realizzare questo racconto sulla figura di Cristo allo scopo di scuotere le coscienze, per risvegliare la fede nei troppi cuori sordi al richiamo della bibbia e, in fin dei conti, al fine d’ingrossare le file dell’esercito di Dio.
Premetto che la pellicola del regista statunitense mi è sembrata, dal punto di vista formale, di cattivo gusto, povera di idee, semplicistica come quegli affreschi che, dalle pareti delle chiese, avevano lo scopo di educare e spaventare i fedeli analfabeti e timorati, educati al culto di un dio iracondo e vendicativo. Sono stato infastidito soprattutto dal Male identificato iconograficamente ancora una volta con il brutto, con lo storpio, con il deforme, e mi è sembrato più pericoloso questo aspetto che tante polemiche, forse superflue (per non dire strumentali) relative ad un sentimento antigiudaico che il film avrebbe più o meno espresso.
Non mi ha stupito, devo dirlo, l’assenza di un messaggio evangelico (il bombardamento mediatico mi aveva preparato sufficientemente anche a questo), ma sono stato offeso da un Dio che, pur fattosi uomo, godeva ancora di una resistenza fisica divina di stampo, e di rappresentazione, quasi supereroistica (senza l’ironia, però, di alcuni fumetti che sfruttano ampiamente questo binomio, come il recente “Gesù contro i vampiri”).
Il film, a questo punto posso anche affermare l’evidenza, non mi è piaciuto e per essere un’opera che poneva le proprie basi in quella che è “la più bella storia del mondo”, è riuscito ad annoiarmi (con l’unica eccezione della figura di Pilato, finalmente resa con complessità ed intelligenza) ma, soprattutto in ragione delle reazioni del pubblico in sala, e delle frasi rubate dal “dopoproiezione”, ho dovuto piegarmi di fronte ad un successo ed ad una presa mediatica davvero intense e trasversali, capaci di coinvolgere anche chi, fino a quel momento, si era ritenuto estraneo alla mitologia cristologica ed al messaggio evangelico. Molti esegeti, anche piuttosto occasionali, hanno fatto coincidere il successo del film con il richiamo del sangue, e questo non è di certo possibile escluderlo. Il fedele convinto, lettore appassionato della bibbia, si è trovato di fronte ad una rappresentazione sostanzialmente fedele ai testi (e che ha avuto almeno il merito di mostrare l’altro lato di un Cristo troppo spesso rappresentato come un predicatore mellifluo ed evanescente) e non dovrebbe quindi essersi troppo sorpreso di fronte alle tanto declamate torture.
L’orrore che possiamo immaginare è sempre più terribile di quello che il cinema potrà mostrarci (e Lang ci ha donato un esempio magistrale di questo principio nel suo “M”), altrimenti rigetteremmo questa arte perché non più catartica ma pericolosa per la nostra società; inoltre l’orrore a cui la storia ci ha abituato (e qui mi viene da pensare che lo spettatore medio negli ultimi sessanta anni abbia vissuto in un bunker senza ricevere notizie dall’esterno) supera di gran lunga quello che Gibson, certo con una certa dose di compiacimento, ci ha mostrato nel suo film. Se accettiamo i principi fin qui esposti, viene allora da chiedersi cosa il fedele dell’ultima ora abbia trovato di così coinvolgente in quest’opera.
Il sacrificio è di certo un momento centrale della vicenda di Cristo ma sono sicuro, almeno lo spero, che nessun rappresentante della chiesa cattolica, anche dell’ala più oltranzista, affermerà che questo fatto di sangue, spogliato della sua contestualizzazione evangelica possa bastare a spingere un uomo che ne è privo verso la fede. Quale è il valore che hanno allora queste presunte conversioni? Quanto radicalmente la fede, grazie a questo film, ha sedimentato nei cuori di quegli spettatori che, alzatisi dalla poltrone, hanno sofferto per la vicenda di questo personaggio e con convinzione hanno affermato che “l’ha fatto per noi”? Se il dibattito fosse continuato anche dopo la fine del film, se continuasse tutt’ora, se il centro delle discussioni nei talk show e nei bar si fosse spostato dalla materia cinematografica, dallo scandalo, alla riflessione filosofica e religiosa si sarebbe potuto dire che il film ha avuto una sua utilità.
Chi scrive si accorge che, diversamente, l’entusiamo, come sempre in questi casi, va scemando, che i fiori della fede già seccano e che l’ansia dell’attesa si è già spostata sul prossimo blockbuster impossibile da perdere, da vedere assolutamente. Religione o vampiri che differenza fa? E’ sempre questione di croci.
Intanto sullo schermo, alla fine dei titoli di coda, scorre la frase di rito.
“Nessuno dei personaggi comparsi sullo schermo è esistito veramente, le vicende rappresentate sono frutto di fantasia. Ogni analogia è da considerarsi del tutto accidentale”