Ero insopportabile, ma sono migliorato, storia di Citto Maselli
La storia del cinema italiano è costellata di nomi e di personalità che vale la pena di conoscere: una di queste è Francesco Maselli, regista e animatore, in una lunga stagione che comincia tra i Visconti, i Rosi e Fellini, Risi, Comencini, Monicelli…
Francesco Maselli detto Citto è tra i registi più curiosi,svegli e imprendibili del cinema italiano. In cui i gironi infernali, che sono i suoi intestini di lotte e compromessi, ospitano un campionario di sconvenienze, doppiezze, ipocrisie; ma anche entusiasmi e felicità. Citto è l’unica persona che è stato capace di farsi un’autocritica, senza scherzare. Lo disse in pubblico. In mezzo a un dibattito caotico negli anni Settanta. Disse: “Lo so, posso risultare antipatico e presuntuoso. Ma quando ero più giovane, poco più che adolescente, ero davvero insopportabile”. Ma non per me. La sua freschezza e franchezza mi piaceva. E piacevano anche a molti altri che lo sopportavano con pazienza e affetto, che peraltro non gli sono mai mancati nego anni degli anni.
E’ il cinema italiano ad essere insopportabile, da molti punti di vista della sua storia e dei suoi film meno grandi. Una storia che va ricordata in breve.
Citto, figlio di artisti, introdotto in un ambiente intellettuale e anche mondano, aveva fatto il Centro sperimentale di cinematografia e si era diplomato nel 1949. Era proprio in quell’asilo d’apprendistato per il set, le tecniche, le lezioni teoriche, chei si creavano rapporti decisivi. Non voglio fare le cronache di una scuola fondata dal fascismo, in cui si nascondevano o erano protetti dalle loro capacità intellettuali già antifascisti. Una citazione soltanto.
Uno di questi intellettuali, anni prima del 1949, prima degli anni della frequenza di Citto, era Pietro Ingrao. Pochi conoscono un libro intitolato “Mi sono divertito molto” ricavato da un montaggio di scritti di questo politico serio, che ha avuto incarichi importanti nelle istituzioni pubbliche, civili. Temi sui quali sarebbe qui fuori luogo intrattenersi, andando al di là dalla richiesta di Giacomo Martini: fornirgli da parte mia una breve testimonianza su Citto, l’autore, l’amico, il compagno.
Ingrao racconta, non voglio riassumere, l’ utilità di imparare il cinema per apprenderne l’essenza innovativa, linguistica, e per approfondirlo come mezzo di cultura di massa, in un’epoca di svolte. Ma termina con quelle parole che mi sono rimaste negli occhi e nelle orecchie: “…mi sono divertito molto”. Un titolo meraviglioso.
Tornando a Citto, posso dire che con lui e altri, non moltissimi ma non pochi, ci siamo “divertiti” moltissimo. In tante maniere. Lui, enfant terrible, nel mettere in croce il mondo, riuscendovi, per trovare i produttori, scrivere, girare, partecipare al gioco collettivo delle riprese con compagni di scena e di vita. Scene e cene , litigi, confronti, risate, formidabili momenti di apprendimento.
Ho conosciuto Citto, quando ero giovanissimo, proveniente dalla rossa Bologna, rossa ma ragionante. Aveva già realizzato un bel po’ di roba tra documentari e film. Tra questi ricordo volentieri “Gli sbandati” (1955), e poi “I delfini”, “Gli indifferenti”. Mi erano piaciuti, Erano nella qualità del cinema d’autore (Rossellini, Visconti e soci) ma avanzavano nello stile e nella scelta dei temi, dei personaggi. I “giorni di gloria”, dal titolo di un film collettivo che includeva Visconti, erano finiti presto, nel dolore e nelle amarezze: le rese dei conti tra fascisti e antifascisti, Fosse Ardeatine, l’inventario delle violenze e dei caduti.
Gli anni avanzavano ma l’Italia Liberata era vincolata per vent’anni alla dittatura, all’alleanza con i nazisti, e poi alla vittoria degli Alleati che a Yalta avevano consegnato questa Italia agli americani vincitori. E da qui scontri tra i partiti della Resistenza e frontiere munite verso Est, i territori “assegnati” all’Unione Sovietica, la Russia della rivoluzione ma poi dei suicidi (Majakowskij) di chi aveva creduto in essa, degli invii in massa nei gulag degli oppositori.
Il nostro Paese si consegnava alla commedia all’italiana che era in effetti la commedia disperata- sarcastica, satirica, critica, durissima- “degli italiani” visti da Germi, Monicelli, Rosi, e poi Scola. Film e autori accettati ma anche avversati, ritenuti troppo leggeri e radicali.
Batteva alla porta la contestazione, il ’68; e con entrambi eravamo anche noi, più giovani, senza sapere, sapere poco; senza freni, seguendo intuizioni, necessità di rompere che le vecchie generazioni, lanciarsi nelle invenzioni.
Sappiamo com’è andata a finire. Speranze cascate in allucinazioni; idee bruciate in vecchi settarismi, parole d’ordine, esecuzioni terroristiche. Molti non si fermarono. Molti assecondarono.
Citto lavorava di continuo, stanco dei bel film che aveva fatto (come Godard dei suoi fatti in Francia), generosamente proiettato a tenere insieme l’Anac, assocIazione degli autori del cinema,vecchi, meno vecchi, giovani, meno giovani. Tra discussioni sfociate in risse clamorose e chiarificatrici. Una lunga storia, bella, e superata.
Citto pensò a un film intitolato “Lettera a un giornale della sera” (1970), prendendo spunto da una missiva pubblicata da un quotidiano in cui si proponeva di formare una colonna italiana per andare a combattere con i vietcong nella sanguinaria guerra nel Vietnam, con intervento dei marines americani che erano corsi in aiuto del Sud filoamericanio che li aveva chiamati.
L’idea della colonna finì miseramente, come non poteva che essere. Il film percepisce l’inevitabile, quasi ridicola, conclusione. Ma Citto aveva avuto ragione, aveva tentato di presentare, analizzare, raccontare la “spedizione” , dando un ritratto sereno ma implacabile sul progetto e i personaggi che dovevano partire. Si era “divertito”a fare il suo mestiere, ovvero il regìsta che prova e alla fine della prova mette la firma sotto l’allucinazione del proposito di armarsi e partire.
Poi la sua esistenza di autore e di persona ha continuato a lungo, continua ancora, come può, senza tradire la parte che aveva scelto. Lui contava ancora nel cinema ma era sopportato, forse anche “viziato” da quei compagni di strada che lo adoravano (ma sparlavano alle sue spalle).
Gli voglio bene perché non ha mai cambiato strada, nei percorsi sbandati delle sinistre fino alla loro si spera momentanea disgregazione; ma non solo per questo. Anzi, ne ho scritto volentieri perché verso certe sinistre provo la stessa nausea che provo per le destre fasciste e le intolleranze populistiche vogliono. La pancia trasferita nei cervelli storditi dai media.
Meglio Citto, ragazzaccio “insopportabile”.
A Maselli, Giacomo Martini, esperto di cinema e organizzatore culturale, ha dedicato un libro che arriverà presto in libreria , in cui compare questo mio racconto.