Confidenza: trailer e clip del film di Daniele Luchetti con Elio Germano (Al cinema dal 24 aprile)
Al cinema con Vision Distribution il nuovo film di Daniele Luchetti con Elio Germano, Federica Rosellini, Vittoria Puccini e Isabella Ferrari.
Dopo la tappa in concorso all’IFFR – International Film Festival Rotterdam nella sezione “Big Screen”, dal 24 aprile 2024 nei cinema con Vision Distribution Confidenza, il nuovo film di Daniele Luchetti, tratto dal romanzo di Domenico Starnone e interpretato da Elio Germano e Federica Rosellini.
Confidenza – Trama e cast
Di cosa ha più vergogna Pietro (Elio Germano), del segreto inconfessabile che racconta a Teresa (Federica Rosellini), la donna che dice di amare, o della sua intera esistenza, costruita per sembrare migliore di quello che è? Tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone, Confidenza ci offre il ritratto perfetto del maschio contemporaneo, un uomo in fuga dalle sue debolezze che può soltanto sperare di essere, finalmente, smascherato.
Il cast è completato da Vittoria Puccini, Pilar Fogliati, Isabella Ferrari, Roberto Latini, Luca Gallone, Giordano De Plano, Bruno Orlando e Sofia Luchetti.
Confidenza – I trailer ufficiali
Curiosità sul film
- Daniele Luchetti dirige “Confidenza” da una sua sceneggiatura scritta con Francesco Piccolo basata sul romanzo omonimo di Domenico Starnone (edito da Einaudi).
- Il cast tecnico: Fotografia di Ivan CAasalgrandi / Montaggio di Aël Dallier Vega / Costumi di Sonia Travaglia / Scenografia e arredamento di Paolo Bonfini / Trucco: Sonia Cedrone / Acconciature: Michele Vigliotta / Casting: Elena Bouryka, Adele Gallo (U.I.C.D.) & Massimiliano Pacifico / Suono in presa diretta di Carlo Missidenti / Aiuto regia Francesca Boselli / Organizzatore generale Mauro Calevi
- La colonna sonora del film include musiche e brani originali del cantautore britannico Thom Yorke, frontman dei Radiohead e dei The Smile.
- “Confidenza” è una produzione Indiana Production e Vision Distribution, società del gruppo Sky, in collaborazione con Sky, in collaborazione con Netflix.
Pietro vive con Teresa un amore tempestoso. Dopo l’ennesimo litigio, a lei viene un’idea: raccontami qualcosa che non hai mai detto a nessuno – gli propone -, raccontami la cosa di cui ti vergogni di più, e io farò altrettanto. Così rimarremo uniti per sempre. Si lasceranno, naturalmente, poco dopo. Ma una relazione finita è spesso la miccia per quella successiva, soprattutto per chi ha bisogno di conferme. Così, quando Pietro incontra Nadia, s’innamora all’istante della sua ritrosia, della sua morbidezza dopo tanti spigoli. Pochi giorni prima delle nozze, però, Teresa magicamente ricompare. E con lei l’ombra di quello che si sono confessati a vicenda, quasi un avvertimento: «Attento a te». Da quel momento in poi la confidenza che si sono scambiati lo seguirà minacciosa: la buona volontà poggia sulla cattiva coscienza, e Pietro non potrà mai più dimenticarlo. Anche perché Teresa si riaffaccia sempre, puntualmente, davanti a ogni bivio esistenziale. O è lui che continua a cercarla? Dopo “Lacci e Scherzetto”, Domenico Starnone prosegue il suo lavoro di scavo sull’ambivalenza delle persone e delle relazioni. Con uno sguardo insieme complice e distaccato, ci racconta di un uomo inadeguato a se stesso e alle proprie ambizioni. Ma in realtà ci racconta di noi, di quanto sismico sia il terreno su cui si regge la costruzione della nostra identità.
Il romanzo “Confidenza” è disponibile su Amazon.
Note di regia
Del tempo che passa, della scuola, del lasciare il segno sugli altri – l’insegnare – di famiglie e di bugie, del non detto e del non compreso, dell’amarsi e non amarsi hanno parlato “Lacci” e “La scuola”, i due film che ho tratto da libri di Domenico Starnone. In “Confidenza” gli stessi materiali narrativi si dilatano, si distorcono, prendono sembianze allucinate.
Lavorando al copione con Francesco Piccolo abbiamo deciso di usare lo strumento del mistero, per attivare l’immaginazione di chi guarda, con la fiducia che il non detto a volte è altrettanto potente del detto. Confidenza vuole lasciare domande aperte, intrattenere e spaventare, e allo stesso tempo mettere lo spettatore di fronte alle proprie smagliature.
Al centro della storia c’è Pietro, un uomo che nonostante la sua estrazione umana e culturale non accetta rapporti paritari con le donne che hanno la sfortuna di stimarlo. Narcisista, ma allo stesso tempo terrorizzato dall’idea di non riuscire, per funzionare ha bisogno della perenne sorveglianza di qualcuno o di qualcosa. Si chiama Super-Io o si chiama Teresa? Pietro vede attorno a sé un mondo che lo stima e lo sorveglia, lo schiaccia e lo stima, lo osanna e lo getta più dal piedistallo. Perché ha bisogno, per vivere, di entrambe le spinte. Deve sapere con certezza assoluta che vale molto, ma con altrettanta certezza che non vale nulla e che tutto può crollare da un momento all’altro.
Confidenza tortura il suo personaggio, Pietro Vella, perché spreca la sua unica vita di uomo per vivere nella paura dell’amore e nell’amore per la paura. Lo pedina nello spavento e nello spavento gli augura di chiudere la sua parabola.
Con il cast abbiamo lavorato costantemente alla ricerca di sottotesti distorti, per dare il senso di uno squilibrio perenne, un bilanciamento magnetico che non è mai esattamente dentro la scena, ma fuori, spostato altrove.
La collaborazione con Ael Dallier Vega, che inizia con Lacci, si è ripetuta anche questa volta, e ha una sua particolare valenza proprio perché la visione di una montatrice francese ha fatto sì che guardare gli attori fosse più importante che ascoltare le loro parole. Il montaggio che si basa su linee interne, più che sulla comunicazione verbale, punta sul fuori centro, cercando di creare senso sottolineando l’invisibile o addirittura spingendo l’attenzione in una direzione incongrua.
Anche la fotografia di Ivan Casalgrandi, con cui lavoriamo da molto tempo, i costumi di Sonia Travaglia e le scenografie di Paolo Bonfini hanno remato contro la gradevolezza a tutti costi, ma anche contro la sgradevolezza programmatica. La ricerca del (poco) fuori fuoco, del (poco) scomodo, ha fatto sì che lo stile non fosse fuori dal film, ma dentro un progetto visivo che partisse dal quotidiano spostandolo dentro un piano leggermente inclinato, che scena dopo scena, ci fa precipitare lentamente da qualche parte, così come accade a Pietro Vella.
[Daniele Luchetti]
Confidenza – Le clip ufficiali
Intervista con cast e regista
Il film è un thriller giocato su un segreto che non appartiene al mondo reale ma a quello dell’inconscio…
DANIELE LUCHETTI: Sì, è l’idea centrale di un racconto basato su quello che non si vede, più che su quello che si vede. Nel nostro racconto Teresa ha la stessa importanza spessore rispetto al romanzo ma ho avuto bisogno di un tempo più dilatato per cercare di recuperarne la stessa forza . Nel film i rapporti di forza tra i due personaggi sono simili a quelli presenti nel romanzo, anche se con Francesco Piccolo abbiamo dovuto ricostruirli con quello che il libro raccontava in poche pagine suggestive ma con lo strumento della scrittura. Penso a tanti temi che abbiamo dovuto rendere visibili: Pietro non accetta e non sopporta rapporti paritari. Pietro attiva da un lato un sabotaggio su sé stesso, dall’altro – quello professionale – è invece ad alto funzionamento. Tra i tanti argomenti in campo c’ è quello della dannazione di dover perseguire la strada di un predominio maschile introiettato. Pietro potrebbe sembrare “un Maschio Alfa”, almeno così immagina che gli altri lo vedano. È invece una miscela tossica di narcisismo e timori. In definitiva è una persona che distrugge la propria unica vita a causa della paura, e per questo merita di essere dannato. All’inizio della nostra storia lo vediamo come un uomo quasi vicino alla glorificazione. Poi lo vediamo precipitare per tutta la vita senza mai toccare il fondo. La nostra trasposizione di “Confidenza” si basa molto sugli strumenti del cinema, sul non detto e sull’attivazione dello sguardo degli spettatori. Confido sul fatto che chi guarda non subisca il film in modo passivo, che attivi l’immaginazione per svilupparne la propria lettura”.
Come avete lavorato in fase di sceneggiatura con Francesco Piccolo?
D.L.: Io e Francesco ci siamo “palleggiati” il film mille volte: io puntavo verso una storia incentrata sulla punizione del narcisismo e ho avuto la tentazione di essere più esplicito e di dire di più sul segreto da nascondere che arrovella il protagonista. Piccolo invece ha tenuto molto duro sul non raccontare e sul non dire e di questo gli sono molto riconoscente: il punto di forza sia del film che del libro credo che risieda nel non detto e su questo Francesco ha avuto sempre maggiore consapevolezza rispetto a me Io invece ogni tanto non mi fidavo di questa circostanza che mi “agganciava” come lettore del libro e mi portava a una lettura vorace e interessata, ma non avevo il coraggio di scommettere sullo stesso meccanismo. Ho girato una grande quantità di indizi da disseminare nell’arco del racconto, nella prima versione del film il possibile “segreto” era suggerito per suggerimenti obliqui e contraddittori. Poi però li ho tagliati quando ho verificato che l’immaginazione di chi guarda è più forte e che Piccolo aveva totalmente ragione..
Che cosa ti ha portato a scegliere Elio Germano come protagonista e come avete costruito insieme il personaggio di Pietro?
D.L.: Era bello pensare che un personaggio che vedo come il cattivo esempio di una vita sprecata fosse interpretato da una persona che sa alternare empatia e respingimento. Per me Elio è una sorta di alter ego, sospetto addirittura che in un paio di scene mi abbia anche quasi imitato e questo non fa che aumentare la mia adesione alla storia. Amo il nostro modo di lavorare assieme: quando vuole sapere di più del personaggio io gli rispondo: “non lo so, cerchiamo..”., il film è un gorgo psicanalitico, non ha troppa importanza sapere che cosa è vero e che cosa è falso, è importante stratificare la ricerca sul personaggio e sui suoi nodi relazionali. In questo Elio è un grande collaboratore alla costruzione della storia e del suo senso…
Tu e Germano avete cementato ulteriormente un forte rapporto dialettico..
D.L.: Abbiamo dato vita continuamente a lunghe discussioni e alla fine ci dicevamo: “vabbè, non abbiamo capito niente ma giriamo..”: per attori del calibro di Elio la cosa importante è capire, ma soprattutto essere in relazione, aperto, vibrante. Sapevamo che il personaggio di Pietro poteva risultare insopportabile e abbiamo cercato di renderlo empatico nonostante tutto, con la sua piccolezza e le sue contraddizioni: ci tenevo che avesse anche un lato ridicolo, in altre epoche avrebbe potuto interpretarlo benissimo un attore come Ugo Tognazzi a cui alla fine di una storia volevi comunque bene, qualsiasi cosa facesse. Io e Elio ne abbiamo parlato a lungo e lui ha tenuto ben presente l’indicazione di stare sempre dalla parte del personaggio, di cercare sempre un’empatia…
Come sei arrivato invece a scegliere Federica Rosellini per la parte di Teresa Quadraro?
D.L.: L’ho conosciuta attraverso un normale provino e ho capito subito che era lei l’interprete che cercavo, Federica porta dietro naturalmente con sé spessore e imprendibilità e tutto questo ne fa il suo fascino: è autorevole e questo per me era fondamentale. Anche Pietro lo è, senza dubbio, ma Teresa non si lascia mai sopraffare da lui, lo guarda sempre con amore e dispiacere. In questo progetto i personaggi sono stati costruiti con istinto e pazienza allo stesso tempo e anche con Federica ho studiato, immaginato e analizzato varie ipotesi sul copione, l’intento comune era quello di stare sempre dalla parte del personaggio ma poi anche con lei poi ci siamo detti “intanto giriamo, poi si vedrà”. Nel corso delle riprese Federica veniva a girare a Torino dopo essere stata per oltre 6 ore in scena a Milano come protagonista di “Amleto” di Antonio Latella, tra noi c’era il piacere di stare insieme e di creare insieme, non sentivamo mai nessuna fatica…
Che cosa ti ha portato a scegliere Vittoria Puccini per il ruolo della moglie di Pietro, Nadia, e come avete costruito il suo personaggio?
D.L.: Stimo Vittoria e volevo girare un film con lei da tanto tempo. In questa occasione lei si è fidata subito e si è affidata volentieri mettendosi fin da subito nelle nostre mani, e dico nostre perché da tempo Elena Bouryka è diventata per me, nella veste di acting coach, un aiuto molto importante nella costruzione del progetto di recitazione di un film. Con lei e Vittoria abbiamo lavorato sul tema del fallimento e delle bugie. Nadia è una donna che per stabilizzare un rapporto d’amore genera autostima nell’altro. Non in sè, ma nell’altro. Si racconta e racconta bugie, ma questo chi guarda non lo deve sapere, è un segreto tra regia e cast. In scena lei è stata protagonista di diversi momenti che amo: quello in cui Nadia e Pietro si conoscono, quello in cui lei si emancipa da lui, quello in cui si annoia al momento della premiazione del marito al Quirinale: in prova abbiamo lavorato su diverse lunghissime improvvisazioni, sui “momenti privati”, sulla ricerca del personaggio in modo che i vari elementi e comportamenti che nascevano strada facendo si catalizzassero in scena a volte con istinto, a volte secondo un progetto. Lei ed Elena condividevano una rete segreta di non detti, e a me toccava semplicemente ammirare quello che faceva chiedendomi: “chissà cosa si sono dette..”.. Girare un film per me è far accadere qualcosa di interessante davanti alla macchina da presa, non creare le condizioni del controllo assoluto, ma quelle del deragliamento. In questo caso c’è stato un accordo quieto e intenso.
Come sei stato coinvolto in questo progetto?
ELIO GERMANO: Ho recitato per Daniele Luchetti in quattro film, compreso questo e lui mi rende comunque sempre partecipe dei suoi vari progetti al di là del fatto che poi vadano in porto o meno. In questo caso mi aveva già dato da leggere tre anni fa il libro di Starnone e tra noi ci sono stati vari incontri e scambi di idee e di punti di vista sul mondo da esplorare all’interno di quella storia. Poi il film è stato posticipato e si è di nuovo concretizzato a distanza di tempo ma nel frattempo noi abbiamo continuato a scandagliare quali fossero le cose da approfondire di quel testo che aveva colpito così tanto entrambi. Daniele diceva di sentire che c’erano tante cose che aveva voglia di raccontare ma non capiva quali e ha adottato una tecnica di lavoro usata anche in passato con altri attori: una ricerca continua per tirare fuori questo mistero. Il nostro film parla di tante cose senza mai affrontarle da vicino e la ricerca continua è stata quella di tirare fuori inquietudini, piani sfalsati e criticità che esistono nei rapporti mettendoli in scena senza spiegarli razionalmente. Così in questo nostro rapporto che prevedeva il pensare a dinamiche e il fare accadere delle cose che permettessero a queste dinamiche di prendere vita, ogni mattina al trucco partivamo dall’ultima versione che sul momento si aggiustava, si cambiava, si riscriveva tutta e una volta arrivati sul set cambiava ancora: abbiamo girato tante scene interpretate in modi diversi e abbiamo anche intrapreso strade e possibilità differenti da valutare in un momento successivo. L’ultima fase di questo enorme lavoro è stata il montaggio. Daniele gira dei film sempre diversi uno dall’altro e per ogni lavoro trova dinamiche e linguaggi inediti e in questa occasione ha coinvolto tutti in un film realizzato molto spesso “in divenire”.
Chi è il Pietro che interpreti?
E.G.: E’ un piccolo uomo in apparenza non ambizioso che sembra soddisfatto della sua professione di insegnante che esercita con passione e che a differenza di altri colleghi che affrontano il lavoro in maniera più distaccata può contare un rapporto di stima intimo e profondo con i suoi studenti poco più giovani di lui. Questa empatia gli permette di iniziare una relazione con una sua studentessa molto dotata, molto sensibile e molto matura, Teresa (Federica Rosellini) che lui accetta di frequentare solo alla fine del percorso scolastico dimostrando apparentemente di avere un’etica rispetto alla sua professione. All’inizio la loro relazione sembra impostata sul fatto che Pietro aiuta la ragazza a non mollare quando apprende della sua intenzione di lasciare gli studi. Va ad incontrarla nella trattoria dove lei lavora solo per aiutarla ma poi nasce con lei un coinvolgimento diverso, una storia d’amore emotivamente alta anche se burrascosa, nel punto apicale della quale i due decidono di confessarsi reciprocamente un proprio segreto inconfessabile. Lo fanno per provare fedeltà e abbandono per l’altro, una specie di patto matrimoniale più profondo di quello classico e formale. Ma il loro rapporto invece che rafforzarsi si rompe. Pietro e Teresa da quel momento in poi in poi non smetteranno mai di pensare alle terribili rivelazioni che peseranno per sempre sulle loro vite e si sentiranno minacciati – soprattutto lui – dal fatto che il segreto possa essere rivelato. Questo tema può essere la chiave, il meccanismo che apre anche la porta a una serie di questioni cruciali, dà la possibilità di esplorare una serie di comportamenti che nella vita assumiamo rispetto alla paura di perdere fama o riconoscibilità. Che cosa vuol dire amare: accettare il modo di essere di un’altra persona o esserne i proprietari? E ancora: nascondiamo chi siamo davvero per paura che scoprirlo possa nuocere alla nostra gara quotidiana? In seguito il film si sposta in una specie di mondo interiore in cui tutte le paure sono amplificate: se dovessi raccontare quello che avviene all’interno di Pietro parlerei di una persona che a un certo punto si apre per un attimo accedendo alla possibilità di una vita di un certo tipo e improvvisamente si rinchiude per sempre su una sicurezza, in una zona formale, di mantenimento della facciata. La sua paura non è tanto quella della rivelazione del segreto indicibile ma del ritorno nella sua vita di Teresa a distanza di tempo, nel terrore che possa essere messo in crisi e con lui la figura di presunto ineccepibile che lui ha faticato a costruirsi per tutta la vita e che questo racconto, questo ricordo, possa essere messo in discussione. E’ un personaggio astratto che vive nel terrore di essere rivelato, visto, conosciuto e definito nel suo bisogno perenne di essere accettato, amato e glorificato, è un uomo perseguitato dall’aver rivelato esplicitamente anche a se stesso ciò che aveva nascosto nel profondo”.
Che cosa ti ha colpito e interessato di questo personaggio e di questa storia?
E.G.: Innanzitutto quella sua dimensione di non esteriorità, una dimensione interiore, quasi da romanzo ottocentesco, quella sua capacità di non restare all’interno di una comunicazione “spiccia” delle nostre vite e dinamiche che rivela il tentativo da parte del cinema di scavare in certe complessità e di mantenerle tali. “Confidenza” non è un film a tesi, non ha la volontà di spiegare ma solo di approfondire, aspira ad aprire degli “armadi”, delle zone d’ombra in cui appaiono momenti di luce e viceversa. Vuole aprire delle crepe all’interno di esistenze che sembrano perfette, si affaccia in certe dinamiche di coppia che la trama del film rende più evidenti ma riguardano la vita di tutti noi in una società performativa in cui dobbiamo sempre compiacere qualcuno e cercare il beneplacito altrui. Tutto questo ovviamente conduce le nostre vite in una dimensione di infelicità: invece di cercare qualcosa che riempia e soddisfi noi stessi cerchiamo sempre di riempire il giudizio degli altri. Il livello di funzionalità nella nostra società è dato dal giudizio altrui, dall’essere in qualche modo apprezzati e stimati anche solo formalmente e queste dinamiche possono attivarsi anche nella vita privata e in una coppia, non solo nei posti di lavoro.
Che rapporto si è creato con Federica Rosellini e gli altri attori?
E.G.: Daniele Luchetti si è dedicato a lungo alla ricerca dell’interprete giusta per il ruolo di Teresa perché aveva bisogno di una persona che nonostante fosse giovane avesse grande esperienza e sensibilità e fosse in grado di passare con fluidità da un’età all’altra, una persona di spessore con cui collaborare anche da un punto di vista autoriale: Federica Rosellini ha superato tutte le prove e si è rivelata anche per me una partner ideale sotto tanti punti di vista. Questo tipo particolare di film andava affrontato attraverso un lavoro di squadra comune fin dalle prime letture del copione, dalle scelte dei costumi, delle acconciature, degli accorgimenti per scandire i cambiamenti attraverso il tempo. C’ è stata una profonda e sentita collaborazione fra tutti i reparti, è stato immaginato tutto in funzione di quel racconto interiore e visionario, di quell’immaginario a cui accennavo, era tutto un trovare certe strade silenti, e un accordarsi su certe cose che non vengono mostrate esplicitamente ma valevano e vivevano come un profondo sottotesto. Gli attori risentono sempre del clima e del modo in cui il regista si pone sul set e un film che procede in maniera così creativa e che si basa su una sorta di ricerca quotidiana aveva bisogno di un percorso comune perché sul set poi ognuno potesse procedere per la propria strada e così ci siamo impegnati tutti al massimo per portare in scena quelle dinamiche misteriose che formano il particolare tipo di conflittualità che ognuno vie.: Se per quanto riguarda Federica, che aveva il ruolo più incisivo, abbiamo ragionato e agito a più livelli è accaduta la stessa cosa anche con Vittoria Puccini e la costruzione della sua Nadia, io e lei abbiamo girato più volte le stesse scene in strade diverse modificando in corsa certi momenti del racconto. Ma più in generale magari certe volte provavamo una sequenza in cui un personaggio si mostrava aggressivo e altre volte una in cui non lo era affatto e tutto questo presupponeva una notevole disponibilità e flessibilità da parte di tutti gli interpreti”.
Come sei entrata in questo progetto?
FEDERICA ROSELLINI: E’ nato tutto da un normale provino, erano mesi che Indiana Production stava cercando l’interprete giusta per il ruolo di Teresa e io sono stata una delle ultime attrici a essere esaminate e valutate direttamente in presenza da Daniele Luchetti. In realtà in un primo tempo ero stata contattata per l’altro ruolo femminile della storia – quello di Nadia che poi è stato interpretato da Vittoria Puccini – e dato che da diversi anni recitavo soprattutto in teatro quando sono arrivata al provino pensavo “chissà se mi ricordo come si fa..”. Poi è stato tutto meraviglioso fin da subito: ero sul punto di interpretare due sequenze che riguardavano l’altro personaggio e Luchetti mi ha detto soltanto “facciamone una e poi vediamo se abbiamo tempo per l’altra..”. Il provino è stato invece lungo e laborioso e lui dopo quasi due ore alla fine mi ha fatto recitare all’impronta anche due scene che riguardavano invece il Teresa. E’ molto raro che durante le audizioni accada di interagire con autori così incredibilmente sensibili e alla fine Luchetti ha chiamato subito la mia agente e le ha detto: ” è lei”. Prima di allora lo conoscevo soltanto come regista ma strada facendo è nata presto tra noi una bellissima sintonia, mi diceva delle cose che mi risuonavano immediatamente e profondamente e ho capito che non si trattava solo di un incontro professionale ma di anima.. E’ iniziato così un bellissimo viaggio di riscrittura comune: pur partendo da un testo molto solido ci siamo cuciti addosso il copione attraverso un lavoro profondo di costruzione e ricostruzione del personaggio. Molte novità sono arrivate attraverso mie proposte e miei studi, alcune sequenze – penso ad esempio a quella del lungo dialogo tra me e Elio in un bar di Torino – sono arrivate grazie a una completa riscrittura e a un grande lavoro di improvvisazione. Daniele è stato sempre molto “in ascolto” e trovava giusto che il mio mondo immaginifico potesse dare a Teresa una nota in più per spaziare e arricchirne e il percorso emotivo ma il suo innamoramento nei confronti degli attori che ha scelto mi è sempre sembrato anche rivolto al mondo che ognuno di noi portava in scena.
Che cosa ti ha interessato analizzare?
F.R.: Senza dubbio una cifra “selvatica” presente in Teresa e anche la sua onestà, a me lei non è mai sembrata né dura né persecutoria, credevo fosse fondamentale che avesse una schiettezza, che rivelasse qualcosa di pulito, onesto, diretto. Penso al momento in cui intuisce che c è un’attrazione tra Pietro e un’altra donna: lei è molto diretta e onesta e rivelerà per tutta la vita un elemento selvatico, una strana dolcezza e un profondo amore che l’accompagnerà verso quest’uomo che continua a scegliere nonostante conosca il terribile segreto che lui le ha rivelato. Rispetto a Teresa ero attratta dalla sua intelligenza che aveva un tratto geniale, aveva qualcosa di simile a un buco nero che per me era affascinante e anche scomposto, mi piaceva molto lavorare su queste varie sfaccettature e portare avanti il personaggio e il cambiamento di questa donna che negli anni passa da una prima parte in cui cerca sempre di studiare, di capire, di andare più a fondo a una parte successiva in età più matura in cui il suo sguardo diventa più opaco e indurito: questa parabola era molto bella nei suoi occhi oltre che nel suo corpo. L’insolita caratteristica del film è che non si capisce mai troppo bene che cosa sia reale e che cosa non lo sia, a un certo punto ne perdi la coscienza, i personaggi e gli oggetti parlano una lingua ambigua. Non è un caso che il finale sia popolato di oggetti che erano stati disseminati lungo tutto il film come se potessero a loro volta parlare una lingua ambigua così come i vari personaggi. Comunque Teresa non è una pazza alla ricerca di vendetta, è qualcosa di più e di diverso. È la rappresentazione fisica della cattiva coscienza di Pietro”.
Che tipo di rapporto si è creato con Elio Germano?
F.R.: Abbiamo fatto lunghe letture del copione come si fa abitualmente in teatro, era molto stimolante costruire le scene mentre eravamo giù sul set, a un certo punto io ed Elio eravamo così in sintonia e così “abitati” dai nostri personaggi che improvvisavamo sulla sceneggiatura sempre stimolati da Daniele che arrivava puntualmente da noi alla fine di una ripresa per dirci “è bellissima ma ora fatemela in maniera completamente diversa”. E’ stato tutto molto divertente, un gioco di continuo “palleggio”, di riscoperta di sé e del personaggio attraverso il corpo, la sensibilità e l’immaginario di Elio e credo che anche per lui sia accaduta la stessa cosa: a un certo momento era ben visibile tra i nostri Pietro e Teresa il loro grande amore e nello stesso tempo anche la “condanna” che ognuno rappresentava per l’altro…
Quali sono secondo te le doti principali di Germano?
F.R.: Elio è incredibile nella sua capacità di stare in scena e di creare all’impronta la sequenza in cui è impegnato avendo a disposizione vari “materiali” ma anche di ricrearla diversa per ogni ciak differente, c’ è sempre da parte sua un grande ascolto e una forte capacità di proposta al regista e agli altri attori e credo che anche in questa occasione sia riuscito a dar vita a un “incastro” attoriale e autoriale molto affascinante.
Federica Rosellini – Note biografiche
Classe 1989, dopo gli studi di canto e violino, si diploma alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano nel 2011 e prosegue la sua formazione con Thomas Ostermeier e Antonio Latella.
Performer, regista e drammaturga, si specializza collateralmente come danzatrice e illustratrice. Nell’autunno 2023 un suo ritratto è esposto al Maxxi – Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma all’interno della mostra fotografica “Straordinarie. Protagoniste del presente”, a cura di Renata Ferri, insieme a quello di un centinaio di altre artiste, letterate, intellettuali che si sono particolarmente distinte per la loro forte identità, la loro ricerca e il loro percorso lavorativo.
Si divide fra cinema e teatro. Al cinema, debutta in un corto di Alice Rohrwacher “De Djess” e nel 2017 ottiene il ruolo di protagonista nel film “Dove cadono le ombre” di Valentina Pedicini per cui al 74. Festival di Venezia ottiene il premio Nuova Imaie Talent come attrice rivelazione. Dopo aver preso parte ad alcuni film fra cui “Lovely Boy”, di Francesco Lettieri, “Il Legame”, l’horror di Domenico de Feudis, e ad alcune serie fra cui “Non Uccidere” e “Petra”, nel 2024 sarà nelle sale come protagonista femminile diretta da due grandi autori: “Confidenza” di Daniele Luchetti insieme a Elio Germano e “Campo di Battaglia” di Gianni Amelio insieme ad Alessandro Borghi e Gabriel Montesi.
A teatro, come attrice/performer lavora, scivolando fra ruoli maschili e femminili, con registi come Luca Ronconi (“I beati anni del castigo” di F. Jaeggy), Antonio Latella (“Hamlet” di W. Shakespeare in cui ha interpretato Amleto; “Santa Estasi. Atridi, otto
ritratti di famiglia” di F. Bellini, L. Dalisi, A. Latella – entrambi Premio Ubu miglior spettacolo), Andrea De Rosa (“Baccanti” di Euripide in cui ha interpretato Dioniso; “La solitudine dei campi di cotone” di B. Koltès; “Solaris” di D. Greig), Gerard Watkins (“Non mi ricordo più tanto bene” di G.Watkins), collettivo Lacasadargilla (“Anatomia di un suicidio” di A.Birch – premio Ubu miglior spettacolo 2023).
Vince alcuni dei più importanti riconoscimenti del teatro italiano: Premio Hystrio alla vocazione 2011, Premio Hystrio Mariangela Melato 2018 e Premio Virginia Reiter come miglior attrice under 35 nel 2018. Ottiene per due volte il premio UBU come miglior attrice/performer under 35: il primo insieme alla compagnia di Santa Estasi nel 2016, il secondo nell’edizione biennale 2020-2021.
Dalla stagione 2021/2022, per la successiva triennalità, è Artista Associata del Piccolo Teatro di Milano in qualità di regista e drammaturga. Nella stagione 2021/2022 al Piccolo Teatro di Milano è regista, drammaturga e performer per “Carne blu”, tratto dal suo primo libro pubblicato nel 2021 per Giulio Perrone Editore, di cui è anche illustratrice. Debutta al Festival di Sacromonte con “Scivias. Du kennst die Wege”, per cui cura la nuova traduzione da Hildegard von Bingen e di cui è musicista elettronica e performer.
È regista per la Biennale Teatro di Venezia dirigendo, nel 2022, la mise en scene e, nel 2023, lo spettacolo di “Veronica” di G.Garaffoni. Il suo spettacolo “Carne blu” vince il premio Ubu 2022 come migliore scenografia. Attualmente sta lavorando alla creazione di un nuovo lavoro ispirato a “Freaks” di Tod Browning che debutterà a maggio 2024 a La Pelanda di Roma, per poi essere programmato nel prossimo Festival dei 2Mondi di Spoleto.