Cult de sac. Ai confini del Paradiso di Fatih Akin
Ai confini del paradiso, un film di Fatih Akin. Con Baki Davrak, Nursel Kase, Hanna Schygulla, Tuncel Kurtiz, Nurgül Yesilçay, Patrycia Ziolkowska. Tit. orig.: Yasamin kiyisinda. Drammatico, 122 min., Germania, Turchia 2007La trama: Le storie di alcuni immigrati turchi a Brema, in Germania, si mescolano a quelle di alcuni tedeschi che cercano nel viaggio e
Ai confini del paradiso, un film di Fatih Akin. Con Baki Davrak, Nursel Kase, Hanna Schygulla, Tuncel Kurtiz, Nurgül Yesilçay, Patrycia Ziolkowska. Tit. orig.: Yasamin kiyisinda. Drammatico, 122 min., Germania, Turchia 2007
La trama: Le storie di alcuni immigrati turchi a Brema, in Germania, si mescolano a quelle di alcuni tedeschi che cercano nel viaggio e “nell’altro” le ragioni della propria identità. La vicenda si sposta poi in Turchia, ad Istanbul ed infine a Trebisonda.
Vinse il premio per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes del 2007. Qualcuno potrà obiettare che il film è fin troppo forzoso e concluso nello sciogliere gli snodi narrativi, ma questa storia di viaggi, esili, contatti e ricorsi è affascinante specie nella descrizione ambientale e nella costruzione psicologica dei personaggi. Akin, che già ne La sposa turca aveva dato prova di possedere una sensibilità ed un talento particolarmente promettente, mette al centro la dimensione socio culturale come elemento fondamentale per una comprensione tra le persone.
Il cinema di Akin è un cinema anti omologante, perchè ricerca nella storia delle persone il significato delle proprie azioni e ridimensiona il ruolo dell’ideologia. Un particolare cenno va fatto alle situazioni narrative che Akin mette in scena. Al centro vi sono spesso relazioni tra personaggi con origini geografiche e culturali molto diverse, o di personaggi della stessa etnia che si trovano in contatto fuori dai confini patri. Il regista sfugge sempre al luogo comune, alla facile comprensione dello stereotipo e alla scappatoia del patetico e del populismo.
Insomma Akin, è regista che mette in scena persone prima di personaggi, cercando di creare il meno possibile mascher e per ricavarne una grande ricchezza psicologica ed una grande complessità negli sviluppi narrativi. Per questo la forzatura nella sceneggiatura di alcuni elementi e ricorsi ci appare poco in antitesi con la naturalezza delle situazioni: gli sviluppi narrativi sembrano elementi del destino perchè si è evitata la tipizzazione dei personaggi, non proni al volere delle proprie maschere ma al compiersi del loro destino.
Significativo anche il ruolo nel film dell’Unione europea, presenza ectoplasmatica nella produzione del cinema europeo. Ad essere in primo piano è innanzitutto la legislazione, il rapporto tra stati: la facilità di estradizione e i viaggi dei protagonisti tra i due paesi (Germania e Turchia) costituiscono due refrain che sottolineano il ruolo di questa entità sentita (a torto) distante dai cittadini (purtroppo, fin troppo mal informati da giornali e giornalisti imbevuti di sacro e monetario nazionalismo). Forse un film non perfetto, ma con tanta umanità e la voglia di raccontare delle storie su un palcoscenico eccezionale che si chiama Europa, il continente che vale più della somma di quei relitti politici che si chiamano stati nazionali.