Danny Boyle: dal cult “Trainspotting” al biopic “Steve Jobs”
Danny Boyle torna nelle sale il 21 gennaio con il biopic “Steve Jobs”. Cineblog vi racconta la carriera di questo eclettico regista, dall’iconico cult “Trainspotting” all’incursione horror di “28 giorni dopo” passando per gli 8 Oscar dell’acclamato “The Millionaire”.
Danny Boyle, cineasta inglese classe 1956, è tornato dietro la macchina da presa per il suo secondo film biografico dopo l’intenso “127 ore” con James Franco, e stavolta sul grande schermo scorreranno vita privata e opere del pionieristico e visionario imprenditore Steve Jobs, quindi quale migliore occasione per ripercorrere la carriera di un regista che ha fatto dell’eclettismo e dell’originalità il suo marchio di fabbrica. La capacità di Boyle di confrontarsi con il cinema di genere e di sperimentare gli ha permesso di cimentarsi con horror, fantascienza, biopic, drammi, commedie e thriller regalando alla sua filmografia un ampio spettro per quel che concerne la varietà di generi e l’utilizzo, ove possibile, di un intrigante humour nero di stampo squisitamente “british”.
Gli esordi a teatro, la gavetta televisiva e l’esordio al cinema
Nato da una famiglia di emigranti irlandesi, Danny Boyle inizia la sua carriera di regista appena ventenne dirigendo spettacoli teatrali per poi trasferirsi in quel di Londra per lavorare come direttore artistico per il Royal Court Theatre. Gli anni ’80 includono diverse regie teatrali e una lunga gavetta televisiva come produttore di diversi film e serie tv nonché regista di spettacoli per il piccolo schermo.
Boyle esordisce al cinema nel 1994 con Piccoli omicidi tra amici (Shallow grave), tratto dall’omonimo romanzo di John Hodge. Una intrigante black-comedy interpretata da Ewan McGregor, Christopher Eccleston e Kerry Fox nei panni di tre amici alle prese con un cadavere e una valigia piena di soldi. Boyle si fa notare da subito, il suo stile viene elogiato e premiato dalla critica britannica, il pubblico risponde bene e Boyle è pronto ad intraprendere una luminosa carriera cinematografica.
Il cult “Trainspotting” e l’esordio Hollywoodiano
A due anni dal suo esordio Boyle si trova di fronte alla possibilità di dirigere un adattamento del romanzo “Trainspotting” dall’autore di culto Irvine Welsh e riesce a cogliere l’essenza del materiale originale confezionando un film graffiante, capace di tradurre in immagini un‘intera generazione e narrando la tossicodipendenza, in questo caso da eroina, passando con nonchalance dal dramma alla commedia con digressioni da “trip” all’insegna del grottesco…il cult è servito.
Trainspotting diventa per Boyle una vetrina internazionale e Hollywood chiama, così dopo aver rinunciato a dirigere il sequel fantascientifico Alien – La clonazione opta per la comedy Una vita esagerata (A life less ordinary), sua prima produzione internazionale che vede Ewan McGregor e Cameron Diaz protagonisti. Purtroppo il film, una commedia romantica decisamente fuori dagli schemi, al botteghino fallisce e la critica si spacca, ma Boyle non ha ancora terminato la sua trasferta hollywoodiana.
The Beach seconda produzione americana per Danny Boyle, seppur un successo al box-office, segna un momento “no” per il regista che si trova a provare con mano l’ingerenza degli studios americani che forse preoccupati dal precedente flop impongono a Boyle l’attore Leonardo DiCaprio come protagonista del film al posto di Ewan McGregor prima scelta del regista. McGregor a causa di questo episodio, era stato l’attore a proporre la storia a Boyle, non parlerà con il regista per molti anni raccontando in un’intervista che in quel momento si era sentito tradito. Fortunatamente, nel 2015, Boyle si fa perdonare e i rapporti tra i due tornano alla normalità tanto che i due attualmente si stanno preparando a girare l’atteso sequel di Trainspotting basato sul romanzo “Porno” di Irvine Welsh.
Il ritorno in patria tra commedia, fantascienza d’autore e apocalisse horror
Dopo un breve ritorno al piccolo schermo per due film tv con la BBC e alcuni documentari musicali, nel 2003 Boyle torna al cinema e si cimenta con l’horror rivisitando il filone “morti viventi” con 28 giorni dopo, in questa mortifera apocalisse che si abbatte sulla Gran Bretagna nessun claudicante zombie, ma orde di velocissimi e rabbiosi infetti trasformati da un terrificante ceppo di un virus della Rabbia. Boyle confeziona un altro cult che lascia il segno e figlierà un sequel, 28 settimane dopo, che però Boyle non dirigerà passando la mano in favore del collega Juan Carlos Fresnadillo.
Il 2004 è l’anno della commedia Millions, Boyle racconta di due giovani fratelli dai caratteri opposti, buono e generoso uno, opportunista e furbo l’altro, che a Natale trovano fortuitamente una grossa somma di denaro e cominceranno a spenderla in maniera opposta, ma coerente con i loro rispettivi caratteri. Boyle confeziona un campione d’incassi che lo riporta nelle grazie della critica, letteralmente entusiasta di questa eccentrica commedia che racconta d’infanzia, sogni e desideri con ficcante ironia.
Nel 2007 esce in sala Sunshine, il regista si cimenta con il genere fantascientifico con un’intrigante digressione thriller e omaggi a classici di sempre come 2001: Odissea nello spazio, Solaris e Alien. Il film narra le vicissitudini di un equipaggio di 8 astronauti a bordo dell’imponente astronave Icarus II, in missione verso un Sole ormai morente allo scopo di alimentarlo con l’ausilio di un ordigno nucleare. La critica elogia messinscena ed effetti speciali per un’esperienza che Boyle definirà “massacrante”, ma capace di far aggiungere un ulteriore tassello al suo cimentarsi con il cinema di genere.
Momenti da Oscar con “The Millionaire” e “127 Ore”
Il 2008 è l’anno della trasferta a Bollywood e dell’acclamato The Millionaire, Danny Boyle sbanca il box-office mondiale e porta a casa 8 Premi Oscar, tra cui quelli come Miglior film e come Miglior regia. Il film schiva abilmente la parodia e il tocco europeo di Boyle regala alla narrazione un’intrigante miscela transculturale. La trama racconta di Jamal Malik un ragazzo povero (interpretato da Dev Patel) che vince l’edizione indiana di “Chi vuol essere milionario?” mentre su schermo si susseguono le avventurose peripezie di una storia d’amore e il percorso che ha portato Jamal di fronte a quell’ultima domanda che sta per cambiargli la vita.
Nel 2010 Boyle prova a bissare puntando ancora agli Oscar con 127 ore, dramma basato su una storia vera raccontata nell’autobiografia di Aron Ralston (interpretato da James Franco), un alpinista statunitense che nell’aprile del 2003 rimase intrappolato in un Canyon dello Utah e fu costretto ad amputarsi un braccio per potersi liberare. Il film, scritto a quattro mani da Boyle e Simon Beaufoy, riceve ben 6 nomination ai premi Oscar tra cui quella per la miglior sceneggiatura non originale, ma nessuna statuetta vinta, sarà l’anno del trionfo del biografico Il discorso del re.
Ancora teatro per Boyle nel 2011, il regista porta in scena a Londra l’acclamato spettacolo teatrale Frankenstein, ispirato all’omonimo romanzo di Mary Shelley, con protagonisti Jonny Lee Miller e Benedict Cumberbatch, il successo è tale che l’opera approderà anche nelle sale cinematografiche. L’anno successivo, il 27 luglio, sempre nella capitale inglese, Boyle dirige la cerimonia di apertura dei Giochi della XXX Olimpiade e per l’occasione realizza anche il cortometraggio Happy and Glorious, in cui dirige Daniel Craig in versione “James Bond” che scorta la regina Elisabetta II.
Il 2013 il ritorno dietro la macchina da presa per il thriller psicologico In Trance che ci racconta di Simon (interpretato da James MacAvoy) un assistente di una prestigiosa casa d’aste che funge da talpa per una banda di criminali che hanno intenzione di rubare un quadro di inestimabile valore. Durante la rapina Simon subisce un trauma alla testa e quando si risveglia è colpito da un’amnesia che non gli permette di ricordare dove si trova il quadro rubato, circostanza che gli metterà contro i criminali con cui ha collaborato e così, onde evitare di finire morto ammazzato, Simon ricorre all’ipnosi per ritrovare memoria e dipinto. Il film interpretato anche da Vincent Cassel e Rosario Dawson è un remake di un film tv britannico del 2001 che conquista la critica con black humour e thriller miscelati con indubbio gusto, il tutto nobilitato da un intreccio visivo intricato e intrigante che mostra come lo smalto di Boyle sia ancora intonso.
Danny Boyle racconta un’inedito Steve Jobs
Danny Boyle torna nelle sale il 21 gennaio con il biopic Steve Jobs che partendo da un backstage dei lanci dei tre prodotti più rappresentativi nell’arco della carriera dell’iconico imprenditore interpretato da Michael Fassbender, l’attore per questo ruolo è stato candidato ad un Premio Oscar, racconta in maniera più ampia un “dietro le quinte” della rivoluzione digitale, per tratteggiare un ritratto intimo dell’uomo geniale che è stato il suo epicentro. Il film è stato scritto da Aaron Sorkin (The Social Network, L’arte di vincere) che ha adattato una biografia bestseller scritta da Walter Isaacson, sceneggiatura che è valsa a Sorkin un Golden Globe.
“Steve Jobs” non sarà un biopic tradizionale come ha spiegato Danny Boyle e mostrerà anche un lato inedito e meno idealizzato dell’uomo dietro l’imprenditore e l’icona. Per raccontare l’ambiente in cui un uomo di cotanta influenza e capacità si muoveva, Boyle ha assemblato un cast variegato che include l’attrice Premio Oscar Kate Winslet nella parte dell’ex direttrice marketing della Macintosh Joanna Hoffman, la Winslet per questo ruolo ha ricevuto un Golden Globe ed è stata candidata al Premio Oscar come miglior attrice non protagonista. Seth Rogen attore comedy per antonomasia mette qui alla prova il suo registro drammatico interpretando il co-fondatore della Apple Steve Wozniak, mentre il veterano Jeff Daniels, attore estremamente versatile, sarà l’ex CEO della Apple John Sculley. Il cast del film è completato da Katherine Waterston nel ruolo di Chrisann Brennan, l’ex fidanzata di Jobs, e da Michael Stuhlbarg nei panni di Andy Hertzfeld, uno dei membri della squadra di sviluppo della Apple Macintosh originaria.
Il regista Danny Boyle parla della sceneggiatura di Aaron Sorkin:
Ho letto la sceneggiatura e ho pensato che sarei stato un pazzo a non fare il film. Mi ha lasciato senza fiato. Ho pensato che non avevo mai fatto nulla di simile prima. Le sfide che presentava, il suo essere completa e autosufficiente, il suo meraviglioso esercizio linguistico, mi intrigavano immensamente. Anche il personaggio di Steve Jobs che Aaron aveva creato, lo Steve che esiste nel copione che, per certi versi, combacia con quello storico e per altri no, mi affascinava enormemente. E’ un personaggio di proporzioni shakespeariane. E’ ipnotizzante, violento e divertente. Ho visto nella sceneggiatura di Sorkin molte persone orbitanti intorno a questo pianeta straordinario, che è il personaggio di Steve Jobs. Nella vita esistono persone come lui intorno alle quali finiamo per orbitare; le nostre vite sono vissute per certi versi nel loro riflesso e spesso siamo incapaci di staccarci da loro. Hanno una grande forza gravitazionale. Sono persone che ispirano devozione. Come personaggi sono affascinanti da esaminare. Ci sono persone nella vita di Jobs che gli sono chiaramente e profondamente devote. Altri personaggi lo ritengono un mostro. E, in un certo senso, lui è un mostro reso bello dalla lingua…e da due donne.
Iniziativa in collaborazione con Universal Pictures Italia