Die Hard – Un buon giorno per morire: Recensione in Anteprima
Torna John McClane nel quinto episodio di una delle saghe d’azione più celebri di sempre. A voi la recensione in anteprima di Die Hard – Un buon giorno per morire
Saghe storiche come Die Hard non necessitano di presentazioni: che le si ami o le si odi, non si può quasi fare a meno di conoscerle. Emblema di un certo cinema, forse il più rappresentativo di quel filone sfacciatamente action che tanto ha contraddistinto gli anni ’80, pur giungendo proprio sul finire degli stessi. Pompato, impossibile, fiero; nell’immaginario di chi ha adorato questa sfilza di pellicole John McClane (Bruce Willis) è stato più che un semplice esponente.
Lui e il Martin Riggs (Mel Gibson) di Arma letale contemplano in sé stessi la figura dell’inconsapevole eroe contemporaneo del cinema d’azione americano, quello che tanto ha imperversato proprio in quel decennio. Un eroe nuovo, sui generis, senza poteri, senza doni di alcun tipo, ancorato ad un’ordinarietà che paradossalmente lo ha reso ancora più accattivante. Indistruttibile, ai confini con la ragionevole realtà.
Brevi ma essenziali cenni concettuali su una figura che è un po’ il simulacro postmoderno dell’eroe non per vocazione, che si tuffa nella “propria” missione con assoluta noncuranza, ribaltando certe consolidate logiche del prescelto che, intimorito da un destino col quale alla fine dovrà confrontarsi, si nega ostinatamente. Non McClane. Perché non importa se sia lui a cercare i guai o siano questi che lo inseguono: ciò che conta è l’azione, anche in Die Hard – Un buon giorno per morire!
Stavolta siamo in Russia. McClane gioca fuori casa, recandosi nell’Est Europa per andare a trovare il figlio. Appena giunto a Mosca, però, l’inossidabile John ci metterà davvero poco a scoprire che suo figlio non si è semplicemente messo nei guai, bensì che è un agente della CIA. Obiettivo della sua missione è quello di difendere a tutti i costi un certo Komarov, reo pentito per dei crimini commessi al tempo della tragedia nucleare di Chernobyl.
Ecco servito un impianto nostalgicamente old-fashion, tra tensioni con la Russia e accenno al nucleare, che fanno tanto Guerra Fredda. Un incipit, da questo punto di vista, spiccatamente e volutamente anacronistico, quasi ai limiti della compiacenza. Passato e presente si mescolano per approntare un discorso più generico, che comunque non si prende pressoché mai sul serio (e ci mancherebbe!).
Dicotomia, questa, che coinvolge non solo le premesse narrative, riversandosi anche e soprattutto sullo scontro generazionale: da un lato McClane senior, espressione di un vecchio modo di fare le cose, basato sull’estemporaneità, l’improvvisazione; dall’altro McClane junior, talmente saturo di tale impostazione da aver cambiato totalmente registro, uno di quelli più ponderati, che all’estrema flessibilità dell’altra parte oppone una rigidità per certi aspetti pure noiosa.
Su questa noia Die Hard – Un buon giorno per morire gioca pure, contrapponendo non solo un modus operandi sempre più prossimo all’estinzione, bensì tutto un discorso sul cinema d’impatto, di puro intrattenimento. Critica velata, che con ogni probabilità non tutti coglieranno. Basta osservare con un po’ d’attenzione i due binari attraverso cui procede il film nelle prime battute. Da un lato l’imprevedibile assurdità delle vicende che coinvolgono John; dall’altro la ferrea e ragionata compostezza del figlio, devotamente ancorato al classico piano al quale attenersi scrupolosamente («sei minuti di ritardo sulla tabella di marcia. Lo abbiamo perso!»). In quest’ultimo caso, dunque, niente a che vedere con la bizzarria, la stravaganza di un programma meravigliosamente mal riuscito, dove anche l’imprevisto viene gestito con troppa freddezza, troppa razionalità – e chissà che a Nolan non gli fischino le orecchie.
Difficile, se non impossibile, non patteggiare per la caotica improvvisazione del McClane per definizione, che senza porsi alcuna domanda si butta insensatamente a capofitto nell’azione, sprofondando in una serie di eventi che hanno dell’incredibile. È questo il caso dell’inseguimento per le vie di Mosca: frenetico, assurdo, frastornante. Ci sono voluti 82 giorni per girare questa scena, che a conti fatti dice tutto quello che il film vorrebbe dire: macchinoni nella migliore delle ipotesi ferocemente ammaccati, nella peggiore stritolati, sotto i colpi di vetture simil-cingolate, che tamponano, sfasciano, schiacciano. Ed è impossibile fare a meno di notare come il McClane, investito, stropicciato e strapazzato in ogni modo e maniera, non versi una goccia di sangue, né avverta alcuna botta (se non dopo metà film). L’eroe contemporaneo, grottesco, inspiegabile.
Dopo questo passaggio, il più fragoroso di una pellicola dove chiazze sparse di nonsense ve n’è a iosa, vi è il ricongiungimento: d’ora in avanti è il consolidato stile-McClane a farla da padrone. Ciò significa uscite del tipo «facciamo fuori quei figli di puttana!» a chiosa di quei momenti un attimino più teneri d’idillio familiare; l’immancabile yippie-ki-yay a precedere l’ennesima, improponibile sconsideratezza; situazioni del tipo che siamo a Chernobyl e tutti indossano tute anti-radioattive, mentre i nostri protagonisti si limitano ad un gilet ed una giacca in pelle. Cose di questo tipo insomma.
Non c’è dunque quasi nulla da cercare oltre la scorza, sebbene di approfondimenti su certi schemi se ne potrebbero fare. Die Hard – Un buon giorno per morire è un videogioco, una giostra di situazioni e uscite al limite che a null’altro aspirano se non ad intrattenere nella maniera più spettacolare possibile. Ambizione in parte riuscita, sebbene continui a mancare quel quid che rese grande Die Hard. Non basta l’astuto richiamo ad un passato morto e sepolto, nonostante Bruce Willis timbri più che dignitosamente il cartellino; al che c’è da chiedersi se il titolo (un buon giorno per morire) non sia più una domanda che un’affermazione. Tuttavia a chi sa a cosa andrà incontro almeno un briciolo di divertimento non verrà certo negato.
Voto di Antonio: 6
Die Hard – Un buon giorno per morire (A Good Day To Die Hard, USA, 2013). Di John Moore, con Bruce Willis, Jai Courtney, Sebastian Koch, Rasha Bukvic, Cole Hauser, Yuliya Snigir, Amaury Nolasco, Megalyn Echikunwoke, Mary Elizabeth Winstead, Sergey Kolesnikov, Roman Luknár, Ganzsta Doglegy Zolee, Péter Takátsy, Pasha D. Lychnikoff, Melissa Tang, Rico Simonini, Catherine Kresge, April Grace, Cooper Thornton, Jan Gallovic, Peter Kertesz, Patrik Vrbovsky, Ferenc Elek, Zhe Lin, Janos Finfera, Boris Vodokov, Aleksandr Komarov, Ivan Fenyo, Edit Balázsovits, Nadejda Savacova, Anastassija Makarenko, Scott Michael Campbell, Aldis Hodge, Joe Massingill, Jesse Burch, Justin Smith e Martin Hindy. Qui trovate il full trailer italiano. Nelle nostre sale da domani, giovedì 14 Febbraio.