Diego Abatantuono: “Il cinema di oggi è mal ridotto, meglio la tv”
L’attore di Mediterraneo e Regalo di Natale protagonista di una nuova serie sulla ‘Ndrangheta preferisce la fiction al cinema italiano di oggi
Ognuno porta l’acqua al suo mulino e per un Luca Miniero che elogia la commedia all’italiana (la sua), troviamo un Diego Abatantuono pronto a difendere, in una recente intervista a La Repubblica, le serieTV made in Italy, panacea, a suo dire, contro il bruttume imperante sul grande schermo.
L’attore lanciato dalle commedie trash anni ’80 e poi consacrato dal cinema di Salvatores ha alle spalle una lunga e variegata carriera, in cui non sono mancate trasmissioni di intrattenimento in tv, remake piuttosto discutibili dei suoi vecchi film nazional popolareschi, presenzialismo come esperto nelle trasmissioni di calcio e, dulcis in fundo, doppiatore di un famoso (famigerato) orso che pubblicizza telefonini. Ora si torna alle serie, dopo aver già interpretato con grande successo Il Giudice Mastrangelo, alter ego nordico e tenero del Montalbano zingarettiano. L’Assalto, titolo bellico che ben si cuce al tema, l’infiltrazione delle cosche calabresi nel nord Italia, per la regia di Ricky Tognazzi, in cui l’attore sostiene di aver inserito la sua solita ironia.
L’Assalto è interessante per il tema. Sono riuscito a inserire l’ironia anche stavolta, seguendo la lezione del cinema di Scola e di Risi, in cui l’attimo prima della tragedia viene fuori il carattere del personaggio. In tutti i grandi film, se sta per succedere un dramma, il protagonista appena sveglio non lo sa e tu devi recitare quella parte. Giancarlo Ferraris, come mi chiamo nella fiction ha quello sguardo umano di Ugo Tognazzi, ha qualcosa di Alberto Sordi, in Una vita difficile.
Tognazzi e Sordi: punta altissimo il placido Diego, confrontandosi con due dei più grandi attori della storia italiana. Nessuno nega le sue capacità attoriali, ma forse l’accostamento è un po’ azzardato. Le sue doti sono emerse in più film, e oltre ai già citati è doveroso ricordare la sua grande interpretazione in Io non ho paura, ad esempio, ma rispetto a Sordi e Tognazzi, ad Abatantuono manca una capacità (geniale) non di immedesimarsi nel personaggio, ma di crearlo dal nulla, grazie a un particolare, fisico o espressivo, che ne diventi caratteristica peculiare, come tante volte abbiamo visto fare ad Albertone o al grande Ugo (capace di interpretare con la stessa intensità il conte spiantato de Amici Miei o il dramma dell’italiano medio in La tragedia di un uomo ridicolo).
Diego è sempre riuscito a raccontare la mediocre simpatia dell’uomo della strada, con i suoi egoismi, paure e debolezze: sempre con grande ironia, spesso con intensità ma non con quella versatilità che rende un attore unico. Abatantuono porta qualcosa di se stesso in ogni film, rimanendo un po’ Abatantuono, Tognazzi era unico in ogni interpretazione.
Ad accompagnarlo in questa nuova avventura Ninì Bruschetta (reso celebre dal ruolo di Duccio nella serie Boris), per raccontare le attualissime pene di un piccolo imprenditore meneghino in difficoltà strangolato dalla ‘ndrangheta:
Il ruolo drammatico mi piace, come mi era piaciuto Regalo di Natale di Pupi Avati. Sento la responsabilità e come attore ci metto la faccia. Queste store sono più difficili ma a me interessa il personaggio, con la sua umanità. Chi mi guarda deve chiedersi: cosa avrei fatto al suo posto?
L’attore (anche regista in Area Paradiso, commediola per la tv del 2012) non sembra al momento intenzionato a tornare al cinema, ma a rimanere nel mondo series, ma forse, se lo standard deve essere quello delle sue ultime tre fatiche del grande schermo (nell’ordine Ti stimo fratello, Buona giornata e Il peggior Natale della mia vita) è meglio così.