Dolor y Gloria, la recensione: l’8 e 1/2 di Pedro Almodovar
Il regista spagnolo realizza il suo miglior film dai tempi di Volver. Sicuramente il più personale.
Alla soglia dei 70 anni, con due Oscar vinti, due Golden Globe, sei EFA, 7 Goya, 2 David, 5 Bafta, 2 César, un premio per la miglior regia e uno per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes, Pedro Almodovar torna sulla Croisette con il suo film probabilmante più autobiografico. Dolor y Gloria, ventiduesima fatica del regista spagnolo più famoso e premiato di sempre (al pari di Luis Buñuel).
Un affresco alquanto personale, quello sceneggiato dal regista di Donne sull’orlo di una crisi di nervi, che vede Antonio Banderas, suo attore feticcio, negli abiti di Salvador Mallo, regista cinematografico oramai sul viale del tramonto. Un uomo dal passato glorioso e dal presente costellato di sofferenze, fisiche ed emotive, distrutto da una schiena che non lo fa dormire nè deglutire, tanto da cedere per la prima volta in vita sua all’eroina, pur di abbracciare quella pace interiore da tempo dimenticata.
Ed è proprio in questi momenti che la memoria di Salvador torna ai ricordi passati: dall’infanzia vissuta negli anni ’60, quando emigrò insieme ai genitori a Paterna, comune situato nella provincia di Valencia, al suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni ‘80, passando per l’immancabile e lancinante dolore della rottura di questo amore quando era ancora vivo e palpitante alla prima indimenticata pulsione sessuale avvenuta in tenera età. La scrittura, per Salvador, si fa terapia, perché il Cinema, ovvero l’unico strumento che ha contribuito a salvarlo dalla depressione e dall’autodistruzione, è per lui diventato fisicamente quasi impossibile da sostenere.
Almodovar guarda chiaramente a Federico Fellini e al suo 8 e 1/2, con questo intenso e malinconico Dolor y Gloria, ritratto struggente e straordinariamente metacinematografico. Tutto il Cinema di Pedro è racchiuso in poco meno di due ore, anche se orientato alla complessità della creazione artistica, alla necessità di dover raccontare il proprio passato, salvandosi così da un presente di difficile sopportazione. Il regista spagnolo realizza un’ode alla Madrid culturalmente esplosiva degli anni ’80, così esaltante e ipnotica, lisergica e artisticamente travolgente.
Nel farlo chiude un’involontaria trilogia nata con La Legge del Desiderio e proseguita con La Mala Educacion, con protagonisti registi e quella settima arte che va ad intrecciarsi indissolubilmente alla narrazione, perché realtà e finzione si guardano attraverso uno specchio, mentre dolore e desiderio segnano l’esistenza di tutti noi.
Tramite il teatro, e quella quarta parete ancora una volta abbattuta, Pedro ricostruisce una storia d’amore mai dimenticata, fatta di dipendenze e parole non dette. La casualità, il destino, consentono a Salvador, interpretato da uno strepitoso Antonio Banderas, mai tanto bravo e credibilmente intenso, di chiudere finalmente porte rimaste troppo a lungo socchiuse. Andando avanti. Asier Etxeandia e Leonardo Sbaraglio completano un ‘capitolo’ di una forza emotiva ed espressiva dirompente, mentre la casa-museo del protagonista è letteralmente la reale abitazione del regista spagnolo, che mai aveva messo tanto sè stesso in un proprio film.
Un viaggio nella memoria di un uomo che ha smesso di vivere, perché sommerso da quei ricordi che trasudano quesiti, rimpianti, nostalgici momenti di gioia. Una serenità da riacciuffare attraverso l’unico amore ancora in vita: quello per la settima arte. Il Cinema che si fa terapia, prendendo vita, salvandola, attraverso uno schermo bianco che non aspetta altro di essere dipinto, proiezione di un’esistenza. Sulle note di Come Sinfonia, cullati dall’inimitabile voce di Mina, Pedro vola altissimo, nel pennellare come un acquarello la nascita di un desiderio. Il primo, unico e indimenticabile. In quegli anni ’60, dove la bellissima Penelope Cruz interpreta la mamma del regista, Almodovar si lascia accecare dalla luce, dalla bellezza di un giovane muratore interpretato dal debuttante César Vicente, mentre il presente guarda al futuro facendo finalmente i conti con il passato.
Indubbiamente auto-referenziale e metalinguistico, Dolor y Gloria ci regala un Pedro struggente e meditativo, inquieto ed emotivamente potente. Il miglior Almodovar dai tempi di Volver.
[rating title=”Voto di Federico” value=”8″ layout=”left”]
Dolor y Gloria (Spagna, drammatico, 2019) di Pedro Almodovar; con Antonio Banderas, Asier Etxeandia, Leonardo Sbaraglia, Nora Navas, Julieta Serrano, Penélope Cruz, Cecilia Roth, Raúl Arévalo, Eva Martín, Susi Sánchez – uscita venerdì 17 maggio 2019.