Domeniche d’agosto: Marlon Brando e Truman Capote, il Gran Sasso, Paolo Virzì e Micaela Ramazzotti, il cinema si interroga…
Come Marlon nessuno mai, così intitola Variety un ricordo del grande attore morto dieci estati fa, affidandosi a una intervista di Truman Capote
Comincio la mia “domenica d’agosto” con un numero di Variety che pubblica la bella intervista-ritratto che il grande scrittore Truman Capote (“A sangue freddo”) fece a Marlon Brando nel 1954, quando Marlon era già sulla cresta dell’onda. La pubblicazione è dovuta al fatto che dieci anni fa, proprio in agosto (come già accadde per Marilyn Monroe), l’uomo di “Un tram che si chiama desiderio” e di “Fronte del porto” morì, a ottant’anni, un uomo massiccio, pesante, un mito, dalla canottiere sudata al marines disertore sperduto nel Vietnam. Pensieri.
Come volevasi dimostrare, il cinema è l’immagine e la letteratura, di noi e del mondo, la storia del nostro passato remoto o prossimo, il sogno di un futuro. Vado in giro per l’Italia e per il mondo, in attesa di andare alla Mostra di Venezia, per fare scoperte. Che partono da un film di Luciano Emmer, “Domenica d’agosto”, primi anni Cinquanta. Sicuramente lo ricordate. Una famiglia der popolo de Roma sale sul treno per la spiaggia di Ostia. Hanno tutto: dalla pasta al sugo da cucinare al momento, ai regà che pulsano di desideri d’amore sotto i costumi stretti e i reggiseni grandi senza silicone; agli strepiti e alle lite, ai silenzi col rutto, mentre dal cielo la discesa dei manifestini di una ditta di candeggianti si spiaggia e devasta i piatti serviti e poi si mescola alla sabbia che va a impastarsi con la paste ar dente.
Il cinema, potente documento storico, mostrava l’Italietta del dopoguerra in cerca di senso e di sesso, dopo tanti magoni venuti con le bombe, le bare, la fame. Sono passati oltre sessant’anni. “Domenica d’agosto” è una reliquia sotto la teca della tv, che la trasmette di tanto in tanto, per girarsi, favorire confronti sul come eravamo mentre oggi 2014 le piogge di quest’estate, la crisi, la minaccia di tasse, i talkshow politici destinati ai morti ammazzati, noi pubblico brado, sono peggio dei manifestini negli spaghetti alla matriciana.
Prendo il largo. Lascio il mare, mentre si prepara un ferragosto di mercatini e di crosticini, e vado verso il Gran Sasso, dove si è svolto un Festival che porta il nome del luogo. Gran Sasso, pietra magnifica che titilla nel cielo. D’estate si sente ancora l’odore di neve. Campo Imperatore, dove gli aerei mandati da Hitler scesero in modo ardimentoso nel gelo per prelevare il duce Mussolini deposto nel luglio del 1943, portarlo in Germania e da lì, attraverso la radio, annunciare la fondazione della Repubblica Sociale Fascista, detta di Salò, sotto dettatura del “suo” ex alleato, nuovo capo. Lassù, a Campo Imperatore, in un albergo dove soggiornò un depresso Mussolini, di tanto in tanto recitano uno spettacolo, con Luca Biagini nel ruolo del duce, per la regia di Pier Francesco Pingitore, il regista del Bagaglino, un buon regista, noto per la satira politica al Salone Margherita, coi sosia: Andreotti, Craxi e compagnia bella. Il duce è solo un fatto lontano, fantasie, carte e sequenze ingiallite.
Il Festival del Gran Sasso è una novità. E’ un inizio nuovo per molti motivi. Povero, con pochi mezzi, ricco di propositi e di idee, inventato e diretto da un giovane, Federico Vittorini, che ha bussato a tante porte per organizzare una rassegna “povera ma bella”, almeno nei segnali che ha dato, proiettando film stranieri e italiani di tema ambiente e sociale, tra cui “Il vento fa il suo giro” di Giorgio Diritti. Ero lì per loro invito, presentando il mio film “Un Gigante”.
Ma questo fatto non ha importanza, vale di più quel che ho visto e capito. Ovvero, un festival che cerca un suo modo di essere specifico, l’ambiente in senso lato; che però non vuole rinunciare al cinema di qualità nel suo insieme, intende proporre per le prossime edizioni una fusione stretta ed esemplare, appunto tra il cinema che ritaglia storie e personaggi, situazioni e realtà nei luoghi dei mondi e dei paesaggi, dei rifugi e dei piccoli paesi. Vuole anche il cinema grande, quello di Hollywood o di Cinecittà, o di altre parti del mondo purchè tali da garantire un cinema cinema, e non rabberciate soluzioni globalizzate.
Non solo. Il Festival vuole andare avanti in un processo di coinvolgimento delle attività economiche abruzzesi, pur nella penosa realtà in cui verso L’Aquila ancora ferita a morte dal terromoto, in via di ripresa. Nessun accattonaggio, sollecitazione umiliante di sovvenzioni pelose. Auguri. Ero al Gran Sasso dopo essere stato a Civitanova Alta, Futura Film Festival, e a San Benedetto del Tronto. Nel Futura, un festival giunto alla seconda edizione dopo il gran successo lo scorso anno dell’incontro con Paolo Sorrentino (tremila persona a Civitanova Mare), l’incontro con la coppia Paolo Virzì e Micaela Ramazzotti è andato ancora meglio, non solo per la simpatia dei due, regista e attrice, marito e moglie, ma per il racconto dei piccoli e grandi segreti del cinema di oggi o di appena ieri. Particolari curiosi, come la lettera dei portuali livornesi per sostenere l’ammissione di Virzì al Centro Sperimentale; e così via.
Il pubblico ci ha circondato di attenzione (ero il conduttore della serata). Anche qui, è emersa, come al Gran Sasso, la volontà di non dipendere, di non cercare elemosine, sull’esempio di ciò che per molti anni è stato fatto in campo nazionale e regionale. A San Benedetto del Tronto, anche qui, con mezzi strettamente necessari, sono state tenute iniziative degne di rilievo: la premiazione di Antonio Franchini, bravo editior, direttore editoriale di Mondadori; un incontro con Matteo Codignola, Antonio Gnoli, Tullio Pericoli, Silvia Ballestra sui cinquant’anni dell’Adelphi; e infine, una serata dedicata ai miei libri e filmati su Fellini e Sergio Leone, che si è aggiunte alle altre per quanto mi riguarda come conduttore.
L’interesse per il cinema pulsa, le pulsazioni sono regolari e serene. E’ un interesse che aumenta le domande sul domani, e chi ha le carte da giocare in mano è meglio che impari a fare da sé, piuttosto che mettersi in fila tra coloro che allungano la mano per una elemosina di stato, come il pensionato “Umberto D” di Vittorio De Sica, anni Cinquanta. Marlon Brando e Truman Capote, grande attore, grande scrittore, danno la sveglia:
“La recitazione è una cosa talmente impalpabile. Una cosa fragile e umida…I film hanno un potenziale grandissimo. Ti permettono di dire cose importanti a un gran numero di persone…”
Ecco il punto: tutelare il potenziale del cinema significa tutelare un gran numero di persone. Lavorare, cercare anche tra i monti o nelle domeniche d’agosto.