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Donne senza uomini – di Shirin Neshat: recensione in anteprima

Donne senza uomini (Zanan-e bedun-e mardan, Germania / Austria / Francia, 2009) di Shirin Neshat; con Pegah Feridon, Arita Shahrzad, Shabnam Tolouei, Orsi Tóth. Iran, 1953. Donne senza uomini racconta la storia di quattro donne sullo sfondo del colpo di stato architettato dalla CIA. C’è la prostituta Zarin, alle prese con i suoi clienti; c’è

pubblicato 10 Marzo 2010 aggiornato 2 Agosto 2020 09:41

Donne senza uomini (Zanan-e bedun-e mardan, Germania / Austria / Francia, 2009) di Shirin Neshat; con Pegah Feridon, Arita Shahrzad, Shabnam Tolouei, Orsi Tóth.

Iran, 1953. Donne senza uomini racconta la storia di quattro donne sullo sfondo del colpo di stato architettato dalla CIA. C’è la prostituta Zarin, alle prese con i suoi clienti; c’è Munis e la sua decisione di suicidarsi; c’è Fakhiri, con un marito che non ama; infine abbiamo Faezeh, donna dal passato traumatico. Ad unire i loro destini c’è un bellissimo giardino di orchidee, un luogo quasi utopico di indipendenza e conforto…

È ovviamente di grandissima eleganza formale l’esordio cinematografico della celebre visual artist iraniana Shirin Neshat, residente a New York ormai da anni. Viene subito da fare un paragone con il cinema iraniano che abbiamo visto negli anni in Italia (poco, e ormai sempre meno) e soprattutto nei vari festival cinematografici come Venezia e Cannes.

La Neshat sostituisce nel suo Donne senza uomini la forma del realismo poetico tipica di Kiarostami o di certo Naderi o la forma derivata direttamente dal cinema neorealista con uno stile curatissimo e perfetto, che a molti ricorderà delle videoinstallazioni. Non è certo un caso: la pellicola della regista consiste appunto nell’unione di alcune videoinstallazioni dirette dall’artista dal 2004 al 2008 che sin dall’idea iniziale della regista avrebbero formato un’unico lavoro.

L’idea dell’emancipazione femminile fa da legame alla storia di un popolo alla ricerca di un’identità democratica. La Neshat lavora di metafore e di stile, lancia chiare ombre sulla situazione politica attuale del suo paese d’origine e cerca anche la commozione. Ma se le diverse storie, man mano che s’intrecciano, faticano a trovare una coesione, offrendo un risultato alla fine anche poco chiaro, il problema principale sta proprio nello stile della regista: un vero paradosso.

Donne senza uomini è un film congelato, freddo, quasi incapace di ridare allo spettatore le emozioni, la rabbia, la voglia di lotta ed emancipazione delle sue protagoniste e dell’Iran. Questo proprio per la natura stessa delle videoinstallazioni che stanno alla base del film. Il Leone d’Argento è giustificato dalla bellezza oggettiva delle immagini, che strappano l’applauso, accompagnate poi dalle note di Ryuichi Sakamoto, ma dall’altro sembra anche un “atto dovuto” per il (sacrosanto) messaggio politico: ma a volte conviene ricordare che il cinema e la videoarte sono due cose diverse.

Voto Gabriele: 6

Dal 12 marzo al cinema.

Festival di Venezia