Dopo che George e la sua sposa, benedetti da Veltroni, hanno salvato l’autunno di Venezia, il cinema si riaffaccia su Roma
Sarà questo un momento scosso e disoccupato ma la stagione autunno e inverno della fiction e dei film, affronta una passerella con un tacco sì e un tacco no, zoppica.
Da Venezia a Roma. Ho resistito alla tentazione di frequentare, dopo le relative “fatiche” venezia, il Fiction Fest e adesso attendo il Festival di Roma che vuole vivere un’“ottobrata romana” (il sole per adesso c’è) ma senza picnic fuori porta. I picnic si continueranno ad consumare al modesto desco dei bar e di tavole fredde di entusiasmi nella lignea tartaruga di Renzo Piano, con la speranza di qualche piatto caldo (di entusiasmo, buoni film?).
Il “Fatto” intitola il suo primo servizio sul Festival in modo pertinente, così: “Da Festival a Festa: Roma pop in cerca d’autore”. In realtà, Roma un sacco di cose in campo artistico e di beni culturali, e fa un sacco di fatica, e non trova un sollevatore di pesi in grado di tamponare. Il sindaco Marino pare coinvolto in un tourbillon vorticoso, al quale il giro finale, fatidico, lo ha dato,bacchettando furiosamente, il Teatro dell’Opera una bacchetta magica, quella di Riccardo Muti, un Muti in silenzio che si è rotto e non parla più dopo il gesto di non ritorno. Tutto, o quasi, Roma pop o no è in cerca d’autore. Non vado oltre, la situazione è cosi disperante e noiosa che non vale la pena. Non facciamoci il sangue amaro e aspettiamo di vedere cosa vuol dire tornare alla Festa dopo che finora il Festival aver preso battipanni e batti redcarpet per imitare il vecchio galeone della Laguna, ora vagante in nebbie di ripetitività e di difficoltà oggettive in una grande città avvilita dai politici corrotti, finiti in galera, da autorità chiuse in qualche lussuoso buco sul Canal Grande rattrappito come un rigagnolo di vergogna.
Tutto lo spettacolo, del resto, è in cerca d’autore. I Teatri Stabili sono ingessati e paiono le figure infagottate in abiti rivoltati che chiedono un’elemosina d’interesse agli angoli delle strade. Le Cinecittà, Tuscolana e Pontina, attendono le scosse di terremoto per svegliarsi. La notizia buona è che la Metro torna negli studi della Tuscolana per girare il remake kolossal del kolossal d’antan “Ben Hur” di William Wyler (1959). Un big kolossal. Forse il primo di un nostalgico affaristico, artistico, glamour, ritorno alla Hollywood sul Tevere? Diciamolo cinicamente: speriamo.
Ma una domanda sorge spontanea: ci sarà un regista italiano capace di eguagliare le riprese girate dal giovane Sergio Leone, la corsa delle bighe, una delle pagine di storia di Cinecittà col petto in fuori? Mah. Attendiamo. Lo facciamo da anni, continuiamo. Il peggio dovrebbe essere passato. Però. Chissà. Le generazione di sessantenni che si sono dati da fare per occupare posti di potere nelle istituzioni culturali potrebbero avere maturato una provvidenziale pensione. Sarebbe l’ora. Hanno buttato reti ma hanno pescato poco, solo un sopravvivenza di ovvietà che ha garantito i garantiti, e partorito con gran fatica qualche premio o premietto, dall’Oscar o a Cannes, giusto per salvare la faccia. La faccia loro, non la faccia dei registi, che sono leccati e riveriti solo se portano a casa una statuetta e si fanno sostenere da cordate cinepolitiche capaci di mungere sostegni ministeriali, regionali, e certo televisivi, i più importanti. Miracles dei retrobottega. I festival e lobbies sono in cerca d’autore. In ogni senso. Funzionano, soluzionando, le cordate lunghe nel tempo.
La più tenace e storica è raccontata addirittura in un’enciclopedia. Quella della tv a cura di Aldo Grasso. Nella voce a lui dedicata, scritta da lui o da uno dei suoi bravi collaboratori, si legge qualcosa di molto commovente. Basta una parola per dare il senso del collante che unisce i tempi e li esalta. La parola è “gloriosi”. Riguarda i cineclub, appunti definiti, “gloriosi”, quasi un Fort Apache leggendario in cui sono state strette durature alleanze. La più duratura, limitando le citazioni, è quella con Tatti Sanguineti, un ex ragazzo che ha sempre guardato il mondo attraverso un immaginario obiettivo del cinema (secondo Grasso) , e se la cava passando moscio di video in video; ma soprattutto con Carlo Freccero, che dal cineclub ha scalato le tv e adesso è arrivato al Fiction Fest (auguri), struggendosi per la politica (oggi si propone come Della Valle) e per il cinema che si è dimenticato di lui, e ha subito chiamato il reduce di Fort Apache come collaboratore, alla presidenza della giuria. Ma fermiamoci qui. Il Fort, ospizio senza fine.
Cordate. Con benefici di giudizi da sempre fissi, inchiodati, nell’elogio. Elargiti da un Grasso che è entrato nel consiglio di amministrazione di Cinecittà e colleziona incarichi di potere , trasformandosi in un bene culturale, oggi anche corsivista pop e gossip su uno dei maggiori quotidiani italiani. Non sono dietro le cordate di settantenni o quasi. E hanno il vento a loro favore, si aggrappano, agli incarichi; dopo di che, spariscono, quieti. Invece no. Ci sono decine di persone più giovani da individuare. Non si fa, non lo fanno gli uomini delle decisioni, segreterie, salotti, lobbies. Roma, soprattutto Roma, continuerà ad essere in cerca d’autore. Roma muta che ha perduto Muti.